venerdì 30 ottobre 2009

CAN - Landed (1976)



Come si fa a non apprezzare l'universo musicale della band più innovativa della scena tedesca degli anni settanta?

Anche quando ci si trova davanti ad episodi discografici della loro seconda traiettoria creativa (apparentemente più semplice e meno intransigente alla costruzione formale di simil-songs) non si possono non considerare alcuni aspetti dell'eccellenza espressiva di Schmidt & C.

L'uso della struttura-canzone è decisamente interessante soprattutto per alcune costanti caratteristiche come le solite voci di Irmin e Michael, quelle del dopo-Damo, leggermente filtrate e apparentemente inespressive (... non robotiche scuola Dusseldorf ... quanto piuttosto una specie di "Kraut-crooning") o la sezione ritmica ridotta ad un basso semplicemente pulsante sulle note di base ed una batteria sempre ipnotica ed accordata in maniera molto originale dall'eterno Carotempo.

Menzione speciale però meritano le speed-guitars del sempre compianto Michael Karoli, con le sue aspre e penetranti melodie parallele ed integrative di quelle già presenti nel contesto generale.

Quando poi il gruppo si lancia nelle indemoniate lande dell'improvvisazione "sul-(nessun)-tema" come in "Vernal Equinox" ad esempio, allora diventa tutto molto più divertente perchè è tutto cosi ... CAN!

Ed ancora più riconducibile alla sfera creativa primigenia è il capolavoro dell'album ovvero il conclusivo "Unfinished" che riapre i cancelli della sperimentazione pura e che riporta il gruppo ai fasti dell'abbandono al flusso di suoni.

Amo questo gruppo da sempre ... YES, I CAN!

PSAPP - The only thing i ever wanted (2006)



Coniugare sperimentazione e gradevolezza non è operazione semplice da realizzare, ed è altrettanto difficile da far capire ad un qualsiasi pubblico - potenzialmente interessato ai due generi - che è invece possibile riunirli in un terzo e più stimolante prodotto finale.

Il duo anglo-tedesco PSAPP si inserisce in quelle formazioni borderline che grazie a qualche idea accattivante assume un aspetto quasi commerciale, lasciando però intendere una discreta competenza e conoscenza di linguaggi sperimentali che provengono (e si dirigono) altrove.

Naturalmente con le moderne tecnologie a disposizione oggigiorno è abbastanza normale trovare delle audio-stravaganze anche nei dischi più commerciali in assoluto (Bjork in questo senso ha asfaltato un'autostrada!), ma è proprio per questo diventa determinante ascoltare con attenzione le produzioni recenti cercando i particolari rivelatori di scelte artistiche che devono apparire evidentemente più "di principio" che di astuta operazione - falsamente - bizzarra.

Dal mio modesto punto di vista, ascoltando e riascoltando il materiale di Carim Clasmann e Galia Durant propendo evidentemente per una attribuzione di valore musicale non riconducibile a scelte opportunistiche quanto invece alla chiara volontà di mettere in atto proprio quella sinergia espressiva che può far funzionare suono, melodia e rumore.

Essere "sperimentali" qualche volta prevede il confronto e l'intreccio con il "mainstream" ... esserlo tout-court a volte rischia di essere perfino più facile e comodo.

Ascolto (modestamente) consigliato!

THE RESIDENTS - The river of crime! (2006)



Di nuovo alle prese con gli oscuri sconosciuti.

Nato nel 2006 come progetto multimediale da proporre via internet, THE RIVER OF CRIME è strutturato come una specie di radiodramma in cui vengono raccontati 5 differenti episodi con evidenti riferimenti "gialli".

Dopo la realizzazione del progetto completo, la band americana aha deciso di pubblicare in edizione limitata anche la versione solo strumentale della musica contenuta negli episodi prodotti.

Ovviamente dato il ben noto stile sonoro narrativo del progetto RESIDENTS, questa opportuna edizione permette di apprezzare la consueta cifra stilistica fatta di dissonanze oscure (in realtà MOLTO MOLTO MENO OSCURE DI UNA VOLTA) e la notevole dimestichezza con il "racconto" fatto di suoni che da soli provocano sincere emozioni.

Il risultato è decisamente bello ed evocativo.

Del resto, pensandoci bene, è nel SUONO che alberga il fascino principale e l'essenza stessa del mistero che circonda gli artefici di questo bizzarro combo che si presume provenga dal nord della Louisiana, ed è nella costruzione dei suoni che l'enigma prosegue a far restare inalterato l'intrigante sesnsazione della presenza di una qualche "energia vitale" volutamente e gelosamente nascosta al mondo reale, per mantenerla incontaminata e preservarne il dono creativo.

HAPPY THE MAN - Crafty hands (1978)



Relegata ingiustamente all'oblio durante la sua stagione iniziale più creativa, la band americana ha fortunatamente riscosso un discreto successo a posteriori, quando qualcuno si è reso conto che davvero meritava una attenzione pari a quella riservata per i maggiori esponenti della musica progressive internazionale degli anni settanta.

Appare evidente che alcune scelte musicali presenti nel sound del gruppo sono marcatamente non-europee e figlie quindi di una certa "muscolarità" esagerata tipica dell'american way of proggin', ma è altrettanto chiaro che la stragrande maggioranza del prodotto proposto da Happy the Man sia tra le migliori cose uscite dal nuovo continente.

Crafty Hands prosegue lungo il solco tracciato dal primo formidabile album uscito solo un anno prima, mantenendone la freschezza e l'originalità dell'impasto sonoro (e del resto anche questo secondo capitolo è stato realizzato dallo stesso line-up e prodotto sempre da Ken Scott). Unica differenza (relativa) la presenza di un solo brano cantato (a differenza dei due già in HAPPY THE MAN) ma dal momento che non è certo la parte cantata l'elemento distintivo del gruppo, la ulteriore limitazione dello spazio vocale non sembra poi fare troppo la differenza ... sebbene ... a distanza di anni però varrebbe la pena chiedersi se è stata proprio la mancanza di comunicazione verbale a condizionare il risultato commerciale (davvero devastante in negativo) che la band ha dovuto subire nei primi (ed unici) tre anni di esistenza in attività.

Ad ogni modo la scrittura poliritmica e politimbrica di Wyatt e Watkins rimane la caratteristica più stimolante del suono di questo gruppo ed il materiale proprosto in CRAFTY HANDS è sicuramente all'altezza di quello pubblicato precedentemente.

Purtroppo l'avvenuta contemporanea affermazione internazionale del punk e della new wave ha reso poco interessanti gli esercizi di composizione virtuosa del gruppo che è stato quindi troppo velocemente dimenticato portando i suoi dischi a rimanere sepolti ed invenduti per anni.

GONG - You (1974)



Già che ci sono, finisco la storia della trilogia ...

L'Eroe Zero ritorna finalmente sulla terra e arricchito dal suo viaggio mistico spazio-temporale, consulta Hiram il Master Builder su come organizzare la propria nuova consapevolezza al fine di costruire il suo proprio Tempio Invisibile (come quello esistente sul pianeta Gong). Una volta costruito il tempio, Zero si ripromette di organizzare lui stesso il grande incontro di Freeks nell'isola di Ognidove, a Bali.
Tutto avviene e tutto si realizza, compresa la imposizione del terzo occhio a tutti i partecipanti da parte dello Switch Doctor, solo che purtroppo per Zero, questa imposizione mistica viene impartita agli astanti mentre da solo rimane a mangiare una torta di frutta dietro alle quinte del grande palco - dove si svolge la festa ed il concerto del gruppo Gong.
Il suo isolamento dall'ambiente circostante gli impedisce di ricevere il suo terzo occhio e per questo motivo il suo spirito sarà condannato a vagare nell'universo di reincarnazione in reincarnazione cercando una nuova occasione per ottenere l'illuminazione".

YOU è il terzo capitolo della trilogia (che poi nel 1992 verrà aumentata di un quarto episodio con l'album Shapeshifter) e condensa nelle sue tracce tutto il progetto musicale e verbale partorito dalla fantasia (aiutata?) del solito Allen. Grazie al successo ottenuto nel frattempo si nota una maggiore possibilità di mezzi per creare nuove bizzarre combinazioni sonore ed è proprio per questo aspetto che YOU si distingue dai due precedenti.

Maturità e consapevolezza sono ormai parte integrante dell'espressione musicale della band ed è inutile stare a descrivere le singole eccellenze musicali presenti in questo disco.
Forse creativamente non è il disco MIGLIORE (probabilmente il più geniale è THE FLYING TEAPOT) ma la naturalezza della creatività di questo disco è talmente evidente da farlo sembrare più compatto e solido dei precedenti.

Inutile ricordare che proprio alla fine del tour dedicato alla promozione di questo album Allen e la compagna Smyth abbandoneranno il gruppo per ritirarsi a vita creativa e meditabonda alle isole Baleari (una vacanza che ci farà regalo di un disco BELLISSIMO come "Good Morning" realizzato con la banda isolana locale di EUTERPE)

GONG - Angels egg (1973)



La storia continua, così come le avventure dell'eroe Zero.

Dal momento che in questo secondo capitolo della trilogia a trama si fa un po' più intricata e mistica, di conseguenza anche la dimensione sonora acquisisce una ulteriore sfumatura di colori, grazie anche all'apporto del nuovo batterista Perre de Strasbourg (al secolo Pierre Moerlen) a ad una maggiore libertà espressiva del talento di Steve Hillage.

Aumenta anche la "verbosità" del contenuto ma, a conti fatti, l'operina rimane comunque piuttosto equilibrata ed intrigante nel suo incedere lungo le due facciate del vinile (perchè questo riascolto è effettuato con quella vetusta tecnologia).

"Hare Hare supermarket - Hare hare London Bus" è l'invocazione iniziale dell'eroe Zero che introduce il suo racconto della sua stessa perdita di riferimenti e del suo viaggiare senza rotta nel suo universo (forse) parallelo.

Forse la storia merita un riepilogo:

"Nel capitolo precedente (the flying teapot) Mista T Being, allevatore di maiali ma egittologo di passione, acquista un'orecchino magico dal bizzarro antiquario Fred The Fish.
L'anello di fatto è un apparecchio ricevente collegato all'emittente pirata Radio Gnome Invisible che trasmette dal pianeta Gong. Sconvolto da questa scoperta, Mista T Being viene accompagnato da Fred The Fish in Tibet per incontrare l'entità in grado di svelare i misteri di questo fenomeno ovvero il "gurubirra" Banana Ananda che vive in una grotta tra le montagne. Durante l'incontro Banana Ananda intona il suo mantra "Banana Nirvana Mañana" e finisce per ubriacarsi di birra Foster's.
Cambio scena e l'ineffabile Eroe Zero, del tutto estraneo a qualsiasi vicenda, improvvisamente incontra a Charing Cross Road una delle teiere volanti che provengono dal pianeta Gong .... dove tutto intorno volteggiano questi piccoli personaggi verdi dal copricapo a punta sorretti da una piccola elica che li mantiene sospesi (Pot Head Pixies).
Zero decide di seguire Cock Pot Pixie, uno degli omini verdi, alla ricerca di ... non si sa bene cosa, ma viene distratto molto presto da una micia che gli offre benevolmente e generosamente il suo cibo fatto di pesce e patatine. La verità è che la micia altri non è che la benevola strega Yoni che con il cibo sommisistra a Zero una sua pozione magica."

In questo secondo capitolo invece

Zero si addormenta per l'effetto della pozione e si ritrova lui stesso a volteggiare nello spazio senza meta. Dopo aver impaurito Capitan Capricorn, pilota spaziale incontrato per caso, riesce a localizzare finalmente il pianeta Gong e dopo esservi giunto, si intrattiene a lungo con una locale prostituta che a sua volta lo presenta a Selene, la dea della luna.
Zero continua ad essere sotto l'influenza della pozione magica di Yoni e per questo motivo viene introdotto ai misteri della tecnologia dei Pot Head Pixies (chiamata "Glidding") che permette alle Teiere Volanti di vagare nello spazio.
Grazie a questa familiarità, Zero viene addirittura accompagnato nel Tempio Invisibile del Pianeta Gong, luogo sacro e misterioso. Nel tempio, a Zero viene mostrato l' Uovo Dell'Angelo ovvero l'incarnazione dei Dottori Delle 32 Ottave (diretti discendenti della Grande Cellula Divina). Al cospetto dell'Uovo Zero viene informato di una grande rivelazione: presto sulla terra si riunirà una grande comunità di Freeks organizzata proprio dai Pot Head Pixies. Ed uno dei momenti fondamentali di questa riunione sarà una grande festa contraddistinta da un grande evento concertistico, durante il quale lo Switch Doctor (ovvero l'incarnazione terrestre di uno dei Dottori delle 32 Ottave, che vive proprio vicino a Banana Ananda in un rifugio segreto chiamato Invisible Opera Company Of Tibet) impartirà speciali istruzioni ai componenti della band GONG in modo da far apparire l'occhio della consapevolezza in tutti gli astanti, iniziando sulla terra l'era della New Age."


Flip!

GONG - Flying teapot (1973)



Ed ecco - inevitabile ri-ascolto - il primo capitolo della saga avventurosa di Zero the Hero e le teiere volanti pilotate dai Pot Head Pixies.

Per capire appieno l'impatto di questo album bisognerebbe utilizzare una macchina del tempo e portare tutte le nuove generazioni al lontanissimo 1973 perchè in quel modo diventerebbe chiarissima e limpida la luce nuova portata nel mercato della musica (cosiddetta) impegnata ed intelligente da questo consesso di freaks.

Il disco in sè è certamente più serio e concettuoso del precedente "Camemebert Electrique" pur nel suo ridicolo raccontare la visionaria storia degli omini verdi e delle loro teiere provenienti dal pianeta Gong e guidati nelle rotte da seguire dalla voce madre della Radio Gnome Invisible.

La tavolozza di audio-colori che contraddistinge questo primo capitolo della saga risulta arricchita principalmente dalle chitarre di Steve Hillage e Christian Tritsch e dalle sonorità "fumose" elettroniche di Tim Blake, anche se a recitare la parte del leone qui è ancora il suono di Good Count Bloomdido Bad De Grass (Didier Malherbe) in grado di marchiare in modo indelebile ed inequivocabile l'intero paesaggio sonoro presente.

Memorabili ed indimenticati momenti di questo disco sono "Flying teapot", "The Pot Head Pixies" e la evocativa e definitiva (per comprendere il "suono GONG") "Zero The Hero & The Witch's Spell".

Altro disco che riascoltato dopo tanti anni non perde il suo fascino e contribuisce ad alimentare una certa qualche nostalgia per un'epoca trascorsa troppo velocemente ed altrettanto tropppo velocemente cancellata dalla vendetta dell'industria discografica late 70's.

GONG - Camembert Electrique (1971)



Epifania psichedelica della comune musicale più bizzarra e famosa vissuta all'epoca della pura freakness post sessantottina.

Difficile non riconoscere, anche a distanza di tutti questi anni, la clamorosa e grande visione prospettica che questo ensemble di apparenti freakoids hanno concretizzato nelle loro pubblicazioni discografiche.

E tutto questo nonostante Camembert Electrique avesse avuto (per gli attenti musicomani dell'epoca) una specie di straordinario precedente in quel "MAGICK BROTHER MYSTIC SISTER" accreditato al solo Allen, ma chiaramente una sorta di "numero zero" della letteratura sonora della band a venire, un certo quale primo colpo ... ehm ... di GONG.

La musica di questa combriccola di svitati si è subito contraddistinta per una sostanziale imprevedibilità ritmico melodica generale e per le bizzarre interpretazioni vocali del leader Daevid Allen e della poetessa Gilli Smyth in grado di mantenere quasi sullo stesso piano e nello stesso contesto stile cabarettistico e stile mistico evocativo, permettendo al suono complessivo di rimescolare ulteriormente le emozioni.

La cosa che mi ha sempre impressionato di Allen è che nel suo "cantare" non c'è mai traccia di serietà, ma sempre una forma di ironia beffarda ed irriverente, nonostante qualche volta il contenuto dei testi non sia affatto divertente.
Scegliere di cantare IN QUEL MODO in quel periodo ha comunque reso i GONG completamente a sè stanti nel panorama invece serioso ed impegnato della scena progressive europea, ulteriore fattore questo di originalità e ... perchè no? ... genialità.

Ad una attenta analisi "musicale" poi emerge in tutta chiarezza la potente forza creativa di musicisti quali Didier Malherbe ai fiati e Pip Pyle alla batteria (oltre alla sorprendente chitarra dello stesso Allen).
Malherbe in particolare con questo disco aggiunge nuova vita e nuove prospettive ad uno strumento - il sax - già abbondantemente presente nello scenario progressive dell'epoca, rendendolo "divertente" e meno oscuro che non in altri contesti (per esempio le inquietanti massificazioni di David Jackson dei Van Der Graaf Generator), attingendo anche a delle suggestioni interpretative più propriamente jazzistiche.

Per fortuna eravamo solo all'inizio dell'avventura GONG e - questa la scrivo a titolo personale - Steve Hillage doveva ancora arrivare ad aggiungere la sua inconfondibile eccellente "super-echoed-freak-guitar" ... !!!!.

giovedì 29 ottobre 2009

NAPALIS - Napalis (1976)



Una piacevolissima sorpresa nel campo del "funkified 70's jazz-rock" europeo viene dal debutto discografico di questi (per me) fino ad ora sconosciutissimi olandesi.

Con una solida sezione ritmica (benchè elementare nelle armonie e nelle divagazioni modali) ed un buon talento solistico per tastiere, chitarra e sax, le composizioni si fanno ascoltare (e riascoltare ... e questo è l'elemento importante).

Il suono spesso è figlio del jazz contemporaneo di allora dove ... il chitarrista assomiglia spesso al Gary Boyle conosciamo con gli Isotope ... ed il Fender Rhodes riporta qualche volta a Francoise Cahen, ma in generale l'impatto globale è - a volte - anche del tutto originale (come nella sbilenca seconda parte del brano "I'll smile").

Consigliato con molto piacere!

ALEX - Alex (1973)



Eccellente (a tratti addirittura superba) deriva musicale dove il Kraut-rock (scuola CAN) incontra la musica orientale, in un connubio non meditativo fine a se stesso (come talvolta è capitato a certi episodi di bands come gli EMBRYO), quanto piuttosto estremamente dinamico e pulsante.

Alex Wiska è chitarrista di Colonia appassionato della musica mediorientale e delle ipnotiche e magmatiche sonorità dei connazionali (e concittadini) CAN e quindi chiede ovviamente aiuto alla macchina umana del ritmo CAN per eccellenza, ovvero JACKI LIEBEZEIT, di contribuire con il suo stile inconfondibile al massiccio supporto ritmico necessario.
Con l'occasione chiede cortesemente anche la supervisione alla registrazione di un certo HOLGER CZUKAY che non solo accetta l'incarico, ma diviene di fatto il produttore del progetto che vede ovviamente la sua realizzazione finale proprio presso gli INNER STUDIOS (e come poteva essere altrimenti?).

Da queste piccole informazioni appare quindi chiaro che un appassionato dei CAN non può esimersi dall'ascoltare questa esperienza sonora che, benchè certamente "freakoid" in direzione orientale (voluta fortemente da Wiska), risulta allo stesso tempo assolutamente interessante per la forte personalità dei musicisti coinvolti in grado di portare un contributo spaventoso in termini di qualità creativa.

Alex non è Damo (infatti canta in inglese testi di pace, fratellanza e consapevolezza) ma il suo stile vocale non è per nulla trascurabile ed è una piacevole ulteriore sorpresa nel contesto.
Alex non è Michael perchè usa prevalentemente il saz e la chitarra acustica, ma ciò nonostante è dotato di grande sensibilità nella modulazione delle (pur se limitate) armonie orientali proposte. Ci sono dei momenti in cui sembra quasi voler provare a trovare ispirazione nelle sonorità del folk americano mescolandole a melodie lontane ... e in questo risulta acrobaticamente curioso.

Altrettanto acrobatico quando Wiska inizia a fare il folksinger a-la-Dylan con tanto di armonica ma accompagnandosi al saz (... ed armonica e saz sono davvero duri da integrare) il che è davvero bizzarro (ed è un eufemismo).

A conti fatti, sono molti i momenti interessanti contenuti in questo esordio discografico e sono anche comprensibili alcune stravaganze dettate probabilmente dal tentativo di inventare qualcosa di nuovo a tutti i costi.

Musico-logicamente Consigliato!

GENESIS - 1970 - 1975



Il pezzo forte di questa collezione non è certo l'ennesima versione della pur bella "Happy the man" o dell'incompresa "Twilight alehouse" e nemmeno le monotone BBC sessions (fatta eccezione per un brano come "Let us now make love").

Il vero, succoso documento per "l'ermeneuta genesisiano" è qui rappresentato dal pacchetto di 4 brani che presentano le versioni grezze di un corpus creativo che si sminuzzerà in tantissime parti nel repertorio della band (in alcuni casi, alcune scompariranno definitivamente dalla tavolozza di audio-colori della band) creando poi le solide basi per molti memorabili lavori.

Bello scoprire COME nascevano quei capolavori, ed è bello scoprire anche quanta attenzione nella composizione e nell'arrangiamento veniva messa in opera da quei ragazzetti impegnati nel creare una loro propria ambiziosa dimensione musicale, lontana dalla sola pulsazione animale del ritmo, ma vicina alle possibili innumerevoli percezioni del cervello.

KING CRIMSON - Lizard (1970)



Anche, anzi SOPRATTUTTO, per ammissione dello stesso Robert Fripp, LIZARD è un disco controverso e assolutamente unico nella già complessa discografia della band. Ed è incredibile come questo stato "controverso" ne abbia di fatto soffocato il valore, finendo in una specie di "musical assassination" messo in atto proprio dal suo stesso creatore.

Le polemiche nate (e mai sopite) tra il RE e l'allora cantante e bassista GORDON HASKELL (all'epoca ancora amico di Fripp) hanno fatto di LIZARD una specie di campo di battaglia per una acrimonia in-comprensibile ex-post, soprattutto se purtroppo riferita al VERO CAPOLAVORO in realtà prodotto.

Per fortuna, a ritenerlo tale (oltre all'inutile sottoscritto) si è dimostrato anche il ben più eminente ed influente STEVE WILSON (Porcupine tree) che ha intrapreso una vera e propria battaglia con il Re per poter riproporre QUELLA musica in un contesto tecnologico attuale come il formato 5.1, con il risultato (non certo disprezzabile) di dare il via alla riedizione in 5.1 di TUTTI i dischi del catalogo reale (sono già usciti RED ed è ormai pronto per la distribuzione il leggendario IN THE COURT OF THE CRIMSON KING ed i prossimi sono in lavorazione con la collaborazione di un altro fan di LIZARD ovvero JAKKO JAKSZYK).

Riascoltando LIZARD in questo nuovo contesto il RE ha formulato un giudizio meno lapidario del solito, ammettendo che probabilmente si tratta di un disco che contiene molte, troppe idee (a suo modo forse non tutte belle) ed è comunque permeato da una forza creativa unica nel suo genere.

Nel libretto che accompagna questa riedizione Fripp scrive:
"All'inizio del 1970 sentivo che tutto ciò che sarebbe stato fatto nei successivi due anni sarebbe stato SBAGLIATO in partenza. Ma ERA NECESSARIO farlo comunque proprio per SUPERARE quella fase e raggiungerne una nuova. Non sapevo certo COSA ci sarebbe stato nella nuova fase, ma sapevo che qualsiasi cosa ci fosse stata l'avrei trovata proprio in quella NUOVA FASE".

Basta questa considerazione per capire che davvero la percezione artistica del Re era proprio alterata a priori, la qual cosa conferma una sua evidente "tanto sostanziale quanto paradossale" incompetenza nel giudicare la sua stessa opera.

Comunque ... ascoltando il nuovo missaggio digitale di Steve Wilson (approvato da RF) diventa possibile apprezzare alcune parti che erano obiettivamente state "macinate" dalla improbabile e fangosa (ma comunque BELLISSIMA) qualità della stampa dell'epoca, e il riemergere di questi elementi sonori mette comunque "ordine" nel corpo generale del lavoro.

Ad integrazione del materiale contenuto del CD e nel DVD/A tre soli BONUS ... non proprio straordinari fatta eccezione per una interessante prova di "Lady of the dancing water" (gli altri due sono "Bolero" nella versione già editata nell'antologia FRAME BY FRAME e "Cirkus" già recentemente proposta agli appassionati collezionisti del materiale proposto dalla DGMLive (assieme ad altre perle dall'archivio profondo che avrebbero meritato pubblicazione proprio in questo contesto!!!).

Rimane certamente vero però che chi NON HA MAI AMATO questo disco non avrà tanti motivi per cambiare idea, ma chi lo HA AMATO avrà invece la conferma assoluta del REALE motivo di quell'amore!

mercoledì 28 ottobre 2009

THE GORDIAN KNOT - The gordian knot (1968)



All'epoca questo disco venne clamorosamente stroncato perchè accusato di eccessiva leggerezza, ma a distanza di anni è davvero incomprensibile questo giudizio così estremo, probabilmente è uno di quei casi in cui qualcosa di "alieno" sembra affossare in modo ineluttabile lo sforzo creativo di un artista.

Personalmente l'ho sempre ritenuto uno dei dischi del pop USA più riusciti e perfino anche - in un certo qual modo - "innovativo" nel suo campo con l'uso delle voci polifoniche (ok ... c'erano i Beach Boys, ovviamente ... ma questo è un altro discorso!) e di alcuni strumenti "obliqui" in grado di contemporaneamente interpretare QUEL tempo presente (e la ingenua dimensione quasi naive della generazione contemporanea) e proporre timidamente possibili derive (di evidente influenza beatlesiana).

MICHAEL HEDGES - Beyond boundaries (2001)



Superba antologia tutta strumentale dedicata ad uno straordinario musicista ed artista capace di disegnare traiettorie armoniche incredibili con uno degli strumenti più "normali" che la storia "dell'uomo-musicale" possa annoverare.

La presenza poi di un omaggio a Zappa con "Sofa n.1" rende tutto ancor più malinconico dato il comune destino (sebbene differente nei tempi e nelle modalità).

MICHAEL HEDGES - Breakfast in the field (1981)



... era il tempo della new age acustica ... proprio all'inizio degli anni della depressione "new wave" chimica e della ottusa "discottanta" ... lontani dal prog e lontani dal soul.

Michael Hedges è stato un prezioso intervallo nella musica di quel "periodo di mezzo", peccato averlo perso così presto!

martedì 27 ottobre 2009

POINT BLANK - Point blank (1976)



Texana, potente e grezza ... POINT BLANK era (all'epoca) tutto questo ma non solo!

L'uso compatto ma allo stesso raffinato delle chitarre hanno dato a questa band una cifra stilistica ben precisa e ha dato loro modo di distinguersi da altri southern rockers contemporanei rendendoli gradevoli ed interessanti anche a chi - oltre alla sanguigna dose di rock'n'roll - apprezzava la costruzione intelligente e la produzione attenta dei brani.

Un disco consigliatissimo anche oggi!

BERT JANSCH - Moonshine (1973)



Ottavo disco come solista per il chitarrista dei PENTANGLE che centra perfettamente il bersaglio con un album misurato ed intelligente, calibrato nelle scelte musicali e nell'equilibrio tra tradizione e personale intuizione ed elaborazione del linguaggio folk allora contemporaneo, (soprattutto la eccellente rielaborazione in chiave folk-rock della conclusiva tradizionale "Oh my father") e con le sue interpretazioni vocali convincenti e solide.

Prodotto brillantemente dal "secondo angolo (dei cinque)" Danny Thompson che offre anche il suo inconfondibile contributo strumentale al contrabbasso, il disco vede anche la presenza di Tony Visconti, Gary Boyle, Ali Bain, Ralph McTell, Laurie Allen, Dave Mattacks e Mary Hopkins (tra i tanti).

Davvero un bel disco anche a distanza di anni.

BO HANSSON & JANNE KARLSSON - Monument (1967)



Quando nel 1967 BO HANSSON (ex chitarrista con Rock-Olga, band emergente di Stoccolma) decise di provare a registrare un disco di rock-blues psichedelico accompagnando il suo organo Hammond dal solo JANNE KARLSSON alla batteria, a tutti gli addetti ai lavori il progetto doveva essere sembrato un tantino eccessivo per la periferica (rispetto al mercato britannico) terra scandinava.

Ma, come spesso la storia ha insegnato (a partire dai tempi della Decca e del suo direttore commerciale che nel 1963 stabilì la prossima fine di gruppi come i Beatles non prendendoli nemmeno in considerazione per un contratto di prova), fortunatamente qualcuno dell'etichetta discografica Polydor ebbe invece il coraggio e l'intuizione giusta sufficiente per proporre una copertura economica al duo ... che di fatto tra il 1967 ed il 1969 diventò uno dei maggiori gruppi di successo in patria e - più in generale - nel nord europa (perfino Hendrix chiese di conoscere e di poter jammare con il dinamico duo).

Prima della svolta più personale e sperimentale (solo per certi aspetti) che vedrà Hansson protagonista di un etereo lavoro dedicato alla saga degli Hobbitt di Tolkien (Lord of the rings, pubblicato dalla Charisma di Tony Stratton Smith nel 1972), ecco quindi questo brillantissimo disco di grande feeling e classe interpretativa per nulla freddino, trattenuto o anche solo minimamente condizionato dalla scarna formazione a duo.

CZESLAW NIEMEN - Katharsis (1976)



Dalla Polonia ecco un disco clamoroso, una "fornace cosmica" tutta europea.

Nascosta dalla pesante cortina culturale dell'europe degli anni settanta, l'opera del cantautore Czesław Juliusz Wydrzycki (nato in Bielorussia da esuli polacchi nel 1939) non ha la benchè minima possibilità di superare i rigorosi confini di una mefitica atmosfera coercitivamente soporifera del socialismo (troppo) reale.

Dagli inizi e dalle prime ispirazioni psichedeliche e Beatlesiane, Niemen passa prima ad una forma di cantautorato "ibrido", tra la protesta e l'ammiccamento commerciale (che lo spinge perfino a partecipare ad un "cantagiro" ed a collaborare con la cantante Concetta Giangi (aka "Farida" per il pubblico di sorcini).

Nel 1975 pubblica all'estero (perchè gli viene VIETATO in patria) un bizzarro album solo intitolato "Mourner's rhapsody" in compagnia di personaggi come Rick Laird, Jan Hammer, John Abercrombie, Michael Urbaniak e Steve Khan tra gli altri.

Ma è proprio a metà degli anni settanta che Niemen ri-scopre la voglia di sperimentare e inizia un suo percorso di approfondimento sulle tecnologie elettroniche applicate agli strumenti musicali, da cui ne trae non solo fonte di ispirazione, ma motivo essenziale della sua successiva proposta musicale.

Nel 1976 esce questo indefinibile capolavoro "Katharsis" che vede un ampio uso di EMS synth, theremin, mellotrons, tapes, filtri e tutto l'occorrente per produrre una musica visionaria e futuribile (resa ancora più criptica dalla presenza di testi recitati in polacco ... per me equivalente ... ehm ... al Kobaiano) .


SABICAS - Rock encounter (1970)



Al secolo Agustín Castellón Campos (Pamplona, 1912 – New York, 1990), SABICAs è stato sicuramente uno dei più interessanti chitarristi di flamenco spagnolo moderno. La circostanza ancora più curiosa lo vuole, dopo un lungo esilio in Sud America e sucessivamente negli USA, alfiere di una specie di evoluzione in chiave rock dello stile "flamenco" nella chitarra.

Accompagnato da alcuni tra i più prestigiosi session man della New York dell'epoca (tra cui il giovane Tony Levin al basso), nel 1970 registra con il chitarrista Joe Beck questo formidabile disco di "crossover" ... perchè di questo si tratta ... tra rock psichedelico elettrico e flamenco acustico.

Forse datato, oggi, ma comunque storicamente molto, molto interessante!

Ascoltare per credere.

TODD RUNDGREN - Todd (1974)



Questo è uno di quei dischi che cambiano la vita dell'adolescente ascoltatore avido di conoscere la musica che lo circonda. E la cambiano perchè è tale e tanta la mole di informazioni musicali contenute (allora) nel doppio vinile originale da stordire ed annientare l'ascoltatore inesperto. Ma questo effetto devastante ha anche un suo risvolto fondamentale e positivo, ovvero quello di aprire completamente l'orizzonte, sparigliare tutte le carte disponibili (al momento) ed invitare a conoscere altre combinazioni altre possibilità.

Il suono, la canzone, la voce, la chitarra il sax ... nulla è più lo stesso dopo aver ascoltato questo disco, alla faccia di chi non crede che l'arte non sia in grado di COMUNICARE a più livelli.

Gli anni a venire hanno poi raccontato grazie ai vari biografi dell'artista di Upper Darby la storia e la genesi di questo capolavoro, costellata anche di grandi difficoltà e di pesanti squilibri comportamentali ... ciò nonostante TODD rimane un disco magico, dove non è presente solo la celebrazione dell'eccesso, ma anche la preziosa sensibilità che alimenta la fragilità di una struttura molecolare ordinata sempre in bilico sull'abisso esistenziale e sempre a rischio di venire stritolata dall'ingranaggio industriale.

Rundgren potrà non essere un esempio di virtuosismo fine-a-se-stesso (per fortuna) ma la sua straordinaria capacità di organizzare le sue parole ed i suoi suoni è davvero UNICA e lo rende inarrivabile per qualità e grado di innovazione quasi come un altro grande americano ... nato questa volta a Baltimora.

TODD è ancora uno dei pochi dischi della mia esperienza adolescenziale che graffia tutto quello che mi sono lasciato alle spalle ... e rappresenterà sempre un personale punto di partenza e scuola di "comprensione" sonora ... cosa della quale non potrò mai (purtroppo virtualmente) smettere di ringraziare quel tizio dai capelli colorati, quella specie di Cousin Kevin per il povero Tommy (sicuramente il migliore amico che i miei genitori potessero mai sperare per la mia buona educazione!).

lunedì 26 ottobre 2009

IGOR WAKHEWITCH - Logos (1970)



Musicista francese di culto (nato nel 1948 in Provenza), artefice di straordinarie combinazioni musicali a cavallo tra musica concreta, progressiva d'avanguardia, elettronica, kraut, psichedelia, rock e dodecafonia. Una moltitudine di suggestioni che si concretizzano interagendo tra loro nella maggior parte delle sue incredibili (ed imperdibili) testimonianze discografiche.

Per lui (che nel 1974 ha composto la musica per l'opera di Salvador Dalì intitolata "Etre Dieu") è stato spesso usato il termine "mentalscapes" che da solo definisce efficacemente l'aspetto altamente evocativo della sua musica, dotata di una forza espressiva che trasporta l'ascoltatore in dimensioni interessanti e suggestive.

Chi ascoltava una certa musica creativa europea negli anni settanta si deve per forza essere imbattuto in questa forte personalità artistica (per gli appassionati di un certo rock di culto, era nota la sua amicizia con Mike Ratledge e Robert Wyatt ai quali il musicsta francese dedicò il suo secondo lavoro ititolato "Doctor Faust").

Per fortuna, solo ultimamente è stato sconfitto - in gran parte grazie alla rete - l'ostracismo commerciale che per anni ha reso praticamente impossibile reperire sul mercato discografico italiano anche una minima parte della sua straordinaria produzione.

LOGOS (datato 1970) è un lavoro dove a dominare lo scenario è una siderea oscurità rotta spesso dal pulsare dinamico di una tribalità che racconta di un'energia vitale presente evidentemente ovunque ... in qualsiasi spazio ipotizzabile.

Un disco BELLISSIMO per un autore che merita di essere riascoltato con grande attenzione.

MIKE WESTBROOK BRASS BAND - Goose sauce (1978)



Disco d'altri tempi ... con una banda formata essenzialmente da strumenti a fiato e di voci con il solo piano (quando presente) e la batteria ad offrire un qualsiasi appoggio ritmico melodico.

Un esempio di virtuosismo compositivo e d'arrangiamento per Mike Westbrook realizzato nel periodo della collaborazione con la cult-band HENRY COW del 1977 (senza però la collaborazione dei componenti della band di Frith & co).

GOOSE SAUCE è stato registrato tra Dicembre 1977 ed il Gennaio 1978 con la collaborazione di Paul Rutherford (trombone, euphonium e voce), Phil Minton (tromba, voce), Nisar Ahmad Khan (sax baritono, soprano e flauto), Dave Chambers (sax tenore, soprano e flauto), Kate Westbrook (sax tenore, flauto e voce) e di Trevor Tomkins (batteria).

E' un disco d'altri tempi perchè alterna momenti di pregevole esercizio orchestrale, ad altri di puro spirito free-jazz ad altri ancora di concettuoso quasi-cabaret di spirito tutto britannico (difficile da apprezzare appieno).

Comunque è un lavoro oltremodo interessante che fotografa una meritevole prospettiva innovativa e contaminata nel paludato ambiente di estrazione jazzistica inglese ed europea.

GENESIS - Foxtrot (1972)



Non so cosa potrei davvero scrivere di questo disco che non sembri assolutamente scontato e inutile.

Chi lo conosce sa perfettamente trattarsi di uno dei migliori esempi di progressive-rock europeo (e non soltanto uno dei migliori album dei Genesis) in assoluto.
La maturità dimostrata dai singoli musicisti nelle composizioni che fanno parte di questa raccolta è ormai talmente evidente da non lasciare spazio ad alcun dubbio (ed ancora non sapevamo che in un futuro allora molto prossimo avrebbero scritto pagine eccellenti come quelle di "Selling England by the pound" o "The lamb lies down on Broadway"!!). Ogni singolo elemento musicale proposto nei vari brani è semplicemente perfetto, coerente con il contesto e calibrato con una meticolosità che è figlia soprattutto dell'ispirazione e non dell'ossessione perfezionistica o auto-referenziata.

In FOXTROT vi sono brani di grande coraggio musicale che non possono passare inosservati come "Get'em out by friday", l'immensa "Can-utility and the coastliners" senza ovviamente dimenticare l'apocalisse in 9/8 del pre-finale di "Supper's ready". Il coraggio musicale è dato anche dalla straordinaria evoluzione che il gruppo ha avuto anche dalla sua stessa precedente pubblicazione NURSERY CRYME (album bellissimo e indimenticabile, ovviamente), un segno questo di una direzione precisa e di una compattezza invidiabile nella ricerca e nell'attitudine generale del gruppo.

Benchè la storia racconti che nel gruppo vi fossero già delle tensioni tra i componenti, probabilmente non è sbagliato considerarle come delle scintille "pro-positive" al fine della ricerca di una completa crescita artistica globale.

Un disco indimenticabile (ed indimenticato) che tra i suoi punti di forza annovera anche la visionaria copertina di Paul Whitehead che tra elementi pittorici che riportano alle pubblicazioni precedenti, visioni rilette dai testi contenuti nelle composizioni presenti e piccole "trasgressioni" (giudicate da quacuno perfino "oscene") offre uno spazio enorme entro cui la mente dell'ascoltatore può viaggiare e sognare (soprattutto al tempo dei meravigliosi dischi in vinile, ovviamente).

MICHAELANGELO - One voice many (1971)



Dalla smagata costa californiana questo esempio di folk-rock educato e leggero, senza troppe velleità di impegno (anche se il periodo storico in cui questo unico album della band è stato pubblicato avrebbe potuto anche prevederlo) che permette un piacevole intervallo acustico, sereno e sufficientemente ingenuo per non destare angosce e preoccupazioni.

Il suono è contraddistinto dall'ampio uso dell'auto-harp della signorina Angela Autoharp (argh ... un nome d'arte in linea con l'originalità del progetto) e da un cospicuo utilizzo delle tipiche chitarre "californiane" dell'epoca.

Solo sul finale, con il brano che da il titolo proprio all'album, l'atmosfera si fa decisamente più interessante, lasciando forse intravvedere i possibili sviluppi futuri che il gruppo avrebbe potuto anche prendere in considerazione se non si fosse sciolto immediatamente dopo la pubblicazione di questo (ancora immaturo) album di debutto.

SKY - Sky2 (1980)



A distanza di anni mi sembra quasi impossibile che siano esistiti album (e gruppi) come questo, che rappresentano efficacemente la vera deriva delle velleità creative del prog-rock e il contemporaneo clamoroso tentativo di dare una qualche solidità di contenuti musicali ad un pop che per questo motivo diventa eccessivamente orchestrale ed auto-indulgente.

Questo, è un gruppo che non ho mai davvero capito ... ora ci ho riprovato nuovamente dopo tanti anni ... ma - per quello che mi riguarda - il risultato rimane sempre il medesimo.

POLYPHONY - Without introduction (1971)



Sorprendente (benchè fortemente "derivativo") progressive combo dagli USA (Virginia).

venerdì 23 ottobre 2009

CHRISTINE 23 ONNA - Shiny Crystal Planet (2000)



Altro "viaggio" musicale dell'ineffabile duo giapponese alle prese con gli ingredienti di una psichedelia sintetica anni 2000 ossessiva quanto quella degli Ozric Tentacles, ma fredda come la Yellow Magic Orchestra.

CATHERINE WHEEL - Chrome (1993)



In questo secondo lavoro della band di Norfolk (UK) non c'è traccia della sapiente produzione di Tim Friese-Green (Talk Talk) che aveva saputo dare al disco di debutto un'atmosfera anche originale nel suo contesto.

Qui il sound del gruppo è più cupo e rabbioso e ciò non esclude la presenza di momenti pregevoli, ma proprio la voglia di essere "cattivi" fa mancare quel "qualcosa" che forse era davvero il fattore distintivo della prima uscita discografica.

Curiosa la traccia n.10 intitolata "Fripp"!

TOE - The Book About My Idle Plot On A Vague Anxiety (2005)



Eccellente esempio di "post-rock" ancora dal Sol Levante qui caratterizzato da una solida struttura ritmica.

CHRISTINE 23 ONNA - Acid eater (2002)



Psichedelia dall'oriente per il nuovo millennio.

Finta colonna sonora forse in omaggio al film "Acid Eaters" (1968) con una musica super "spaced-out" prodotta da Fusao Toda (Angel'in Heavy Syrup) e Maso Yamazaki (che quando canta altrove usa il geniale nickname di "Masonna" ... argh!).

In questo esercizio di moderna simulazione (?) lisergica non mancano i phasers, gli echi, i feedbacks, i rumori bianchi, i riff ossessionanti, i ritmi ipnotici, le distorsioni e le melodie apparentemente infantili.

Tutto il tipico campionario semantico della psichedelia fine anni 60 è perfettamente ricompilato in sequenze suggestive che cercano di raccontare e rievocare - a posteriori - quella brillante stagione creativa.

AA VV - Better than the Beatles (1964-65)



Stupido sciovinismo semi-serio e protezionismo musicale a stelle e striscie CONTRO la musica dei Beatles e contro la "British invasion" dell'epoca.

Se voleva essere divertente questa compilation di canzoncine anti-Fab4 non riesce affatto nell'intento ed anzi, in essa sono invece riconoscibili alcuni elementi di becero nazionalismo e vera e propria offesa musicale e verbale al gruppo e all'europa in generale.

Sono rimasto davvero gelato nel considerare questo ampio movimento "CONTRO" un fenomeno di costume e di mercato che - sebbene comprensibilmente avesse generato una discreta invidia e impotenza da parte della scena musicale USA - non meritava un trattamento che assume a volte tratti "politici" di pesante rilevanza.

Volevo divertirmi ascoltando questa ennesima pubblicazione Beatles-related, ho finito invece anche per scocciarmi.

Concludo comunque SUGGERENDO di ascoltare questo materiale, perchè è sempre meglio sapere DOVE può arrivare la stupidità organizzata anche in un "innocente" contesto come la parodia (?) musicale.

THE ROTARY CONNECTION - Aladdin (1968)



Secondo disco per la band che soprendentemente ha pensato bene di fondere in un unico contenitore soul, pop, jazz, psichedelia e musica orchestrale ... e sebbene possa sembrare impossibile, il risultato che ne è venuto fuori - soprattutto nei primi album - è quantomeno intrigante.

Non è solo la voce della compianta Minnie Riperton a rivelarsi in tutta la sua versatilità, quanto piuttosto l'idea rivoluzionaria di sovrapporre pesanti arrangiamenti - a volte anche palesemente dissonanti e "borderline" - a canzoni tipicamente soul e ryhthm'n'blues creando un'entità sonora completamente a sé stante.

Con una proposta così ambiziosa ed originale, la band si è esposta al rischio di mescolare talmente tanto gli ingredienti da renderli anche indigesti in qualche circostanza, ma per ascoltare questo pezzo di storia della musica (davvero rivoluzionaria nell'intento) vale la pena anche soprassedere su qualche evidente eccesso di "psichedelica autocompiacenza" da parte degli autori.

giovedì 22 ottobre 2009

SHADES OF JOY - Music of El Topo (1970)



Nascosta dalla truculenza e dall'ipnotica aggressività della pellicola di Alejandro Jodorowsky, la musica che fa da sfondo all'avventura sembra essere in realtà una molto più classica e tradizionale serie di improvvisazioni su vaghi temi-guida musicali.

In questa rilettura "per gruppo" le percussioni giocano un ruolo importante, spostando il baricentro del riferimento musicale ora verso colori più marcatamente latini oppure verso un buon driving jazz-funk (in realtà apparentemente e sorprendentemente forse più adatto a film di blaxploitation che non alle crudeli ed imprevedibili gesta di El Topo nel deserto messicano).

Di tanto in tanto il suono si aggroviglia in momenti più free sostenuti da ottimi patterns e movimenti ritmici vari, ma sono momenti sporadici ed occasionali

KING CRIMSON - ContaKcts (1988-2000)



Bizzarro bootleg dedicato ai Crimsoniani "pigri" ... quelli amanti delle rarità disponibili "in giro per la rete" ma senza la voglia di cercarle con attenzione tra le tante possibili sorgenti a disposizione.

In questa "raccolta" non ufficiale vi sono alcune cose davvero interessanti come:

(1) la versione originale della controversa "I Have A Dream" (proposta dal solo Belew con chitarra acustica e synth) che i più attenti sapranno costituire la parte finale di "The Construkction of light", una sezione che nei tempi più recenti Fripp ha IMPOSTO diventare solo ed esclusivamente strumentale dal momento che a suo dire il deprimente testo di Belew non rappresentava un "bene" per lo spirito.

Tragedys of Kennedys,
refugees,
AIDS disease
photos of Hiroshima,
the Holocaust,
and Kosovo
Tim McVeigh,
Saddam Hussein,
the bombing of the World Trade
hostages in Bosnia,
atrocities,
South Africa,
abortion and Kevorkian,
Vietnam,
napalm,
Lady Di, and Lennon died a violent crime,
Columbine,
"I have a dream that one day...."
Rodney King, O.J.,
symbols of our life and times,
"One giant leap for mankind"

(2) il commovente soundscape originale della performance del solo Fripp al World Trade Center nel 1998

(3) l'intera documentazione audio del concerto di Roma nel 2000 tratta evidentemente dal video presente in "Heavy ConstruKction" (compresa la disastrosa versione di "Vroom"!!!)

(4) il soundscape "nascosto" contenuto nel DVD "Deja Vroom" del 1995

Le numerose uscite discografiche ufficiali (con DGMLive e KC Collector's Club) hanno ridotto parecchio la pubblicazione di bootleg nel mondo, ma ne hanno aumentato la specificità, tanto da indurre i compilatori clandestini sempre a provare a confrontarsi con casa madre per la scelta "collezionistica" del materiale da pubblicare.

Quanto presente in questo disco, comunque, in passato era già stato reso ampiamente disponibile in varie occasioni ... ovviamente online.

THE RESIDENTS - Commercial album (1980)



In sintesi:
GENIALE!

STEVE REICH - Different trains / Electric counterpoint (1989)



Era molto tempo che non riascoltavo queste due composizioni di REICH, probabilmente le avevo abbondantemente saccheggiate nell'ascolto dell'epoca ed avevo completato l'opera di "acquisizione" personale dopo averle viste eseguire live proprio dal KRONOS QUARTET nel 1994 e da PAT METHENY (non ricordo quando).

Sono due composizioni completamente diverse tra loro pur nella stessa logica minimale musicale iterativa a cui ci ha abitato ormai da anni il compositore americano.

In "Different trains" lo "Sprechstimme" dei frammenti vocali che - all'unisono con la sezione d'archi - annunciano treni ed itinerari dei possibili treni vengono inserite in un contesto sonoro a sfondo sempre cangiante a seconda del periodo a cui il compositore dichiara di fare riferimento (Prima, Durante e Dopo la seconda guerra mondiale) con modulazioni continua che raggiungono momenti di straordinaria efficacia evocativa.

"Electric counterpoint" è un pregevole esercizio di giustapposizioni ritmiche ed armoniche tra chitarre elettriche che ha (banalmente) del "matematico" e che per questo risulta comunque più "freddo" e legato solo alla riuscita delle "combinazioni" delle note tra loro (ricordo adesso che questo fu lo stesso identico pensiero che mi venne in mente mentre assistevo all'esecuzione dal vivo della stessa composizione).

Indubbiamente comunque un ottimo esempio di musica ciclica, iterativa minimalista e a "fase matematica".

BAND OF THE TAOIST ASSOCIATION OF WUDANG MOUNTAINS - "The mysterious charm of Wudang" (2004)



Ascoltare musiche che provengono da luoghi lontani spesso è esercizio suggestivo di fantasia avventurosa.

In questo caso la suadente modalità musicale della tradizione Cinese trasmette serenità e rende l'ascolto affascinante anche solo ad approccio esclusivamente sonoro (dato che le liriche sono a me ovviamente incomprensibili).

Non ho molte informazioni e dettagli relativi a questa pubblicazione se non quelli presenti ad una ovvia ricerca online che riporta ad un locale centro di cultura Taoista e ad una scuola di Kungfu (Wudang Mountains o Xuanyue Mountain).

A prescindere dalle finalità specifiche dell'associazione, la musica contenuta nel CD/DVD in questione è estremamente affascinante ed ascoltandolo permette un momentaneo salutare distacco dalla realtà circostante.

Gli unisoni corali e la vibrazione degli strumenti tradizionali a corda della cultura locale sono in grado di trasmettere positive vibrazioni che stimolano verità che forse - benchè declinate in maniera diversa - sono comuni a tutte le popolazioni di questo pianeta.

mercoledì 21 ottobre 2009

THE BOO RADLEYS - Giant steps (1993)



Troppo intelligenti per essere al 100% essenzialmente "SOLO britpop" la shoegazing band in questione ha avuto con questo disco il momento di massima consacrazione per la stampa specializzata e - sorprendemente - anche per il pubblico, prima di ritornare purtroppo nell'anonimato e di sparire definitivamente nel 1999.

PERE UBU - The modern dance (1977)



Capolavoro assoluto di un'america che si sveglia nel pieno di un incubo industriale e sulla via della totale instabilità giovanile di fine secolo scorso.

Il punk non fa in tempo a muovere i suoi primi passi che già viene masticato, digerito e rielaborato da questo mostruoso combo della devastata periferia di Cleveland.

Life stinks.
I'm seeing pink.
I can't wink.
I can't blink.
I like the Kinks.
I need a drink.
I can't think.
I like the Kinks.
Life stinks.
(Peter Laughner r.i.p)

Gli aggettivi per definire questa musica probabilmente non sono ancora stati inventati, ma una cerfta quale sfumatura apocalittca la si può cogliere sia nei costanti, frequenti inserimenti esclusivamente noise delle tastiere elettroniche che nelle disperate tessiture melodiche continuamente messe a dura prova dalla debordante e spesso blaterante (ma superba) voce di David Thomas.

THE JESUS LIZARD - Liar (1992)



Terzo album per l'aggressiva band di Chicago che - proprio con questo lavoro - ha convinto una sussidiaria di major come la Giant Records (ovvero uno dei settori "giovanili" della Capitol Records) ad accoglierli sotto contratto permettendo loro una maggiore visibilità sul mercato.

Il suono duro e violento dei primi due album non si è certo modificato a favore di una possibile mediazione dell'etichetta discografica, che peraltro aveva tutte le intenzioni di "pescare" nuovo pubblico proprio da quello potenziale appassionati di indie USA.

LIAR è un disco compatto, massiccio, monolitico nel suo desiderio di "confronto a muso duro" con la realtà e non esistono possibili compromessi con una encomiabile coerenza.

Significativi echi a-la-Pere Ubu compaiono qua e là ... e per questo è particolarmente significativo notatre il fatto che la band di David Thomas esisteva già del 1976.

KING CRIMSON - USA (1974)



Gli USA sono sempre stati fatali per il Re Cremisi ed in un modo o nell'altro, il gruppo si è sempre sciolto dopo un tour in quelle lande.

Era capitato nel 1969 al ritorno dal breve primo tour quando Giles e McDonald avevano autonomamente lasciato la corte, era capitato di nuovo nel 1972 dopo il disastroso (dipende dai punti di vista) tour di "Island" e - con una decisione del tutto inattesa - si è ripetuto ancora nel 1974 all'indomani del tour di "Starless and Bible black" e prima della pubblicazione di "Red".

A rileggere oggi le valutazioni che RF ha dato di quel particolare momento storico musicale vengono i capelli dritti data la sua puntigliosa presa di distanza da quel fenomeno giovanile, eppure sembra perfettamente cosciente del fatto che quella stagione del carrozzone regale è stata inquivocabilmente UNICA ed IRRIPETIBILE per l'energia e la creatività concettuale proposta.

"USA" è un album che - riascoltato a distanza di anni - risulta sorprendentemente incompleto nel suo ruolo di "sintesi" del "momentum crimsoniano" di allora, soprattutto considerando l'incredibile quantità di documenti live apparsi ufficialmente (e non) sul mercato in tutti questi anni di recupero documentale intorno a Re e cortigiani.

Ciò nonostante è disco potente ed ampiamente in grado di raccontare quella audio-storia così cruda nei modi e nei suoni, ma così altrettanto visionaria ed importante nell'immaginario giovanile di quella generazione.

THE RESIDENTS - The Beatles play the Residents/The Residents play the Beatles (1977)



Formidabile esempio di irriverenza musicale nei confronti dei Fab4 messa in atto dalla band del North Luisiana in un periodo storico caratterizzato (in realtà) da un interesse davvero ai minimi termini per la gloriosa carriera dei Baronetti Liverpooliani.

Nel loro progetto di sfregio sonoro dell'educata "pulizia" formale della musica dei Beatles, in realtà i Residents dimostrano la sostanziale e concreta affermazione dell'esistenza del mito Beatlesiano, contribuendo di fatto a mantenerlo vivo ed "aggiornato" in un lessico sonoro più propriamente a loro contemporaneo.

Uno dei 45 giri più sorprendenti dell'epoca ed una delle ultime grandi opere d'arte su supporto in PVC con dimensioni a 7 pollici.

THE RESIDENTS - Stranger than supper (1990)



Rara antologia dell'oscura band americana che spazia dalle prime incursioni live (definite "terroristiche" nelle note di copertina) alle più educate sequenze midi del 1990 (compresa una versione digi-orchestrale di "Oh Susanna"!).

Una pubblicazione essenziale per chi conosce il gruppo, imperdibile per un collezionista, ma allo stesso tempo assolutamente trascurabile per chi ha solo una vaga idea della magmatica produzione trentennale di questa realtà multimediale e multidisciplinare che ha comunque dato una svolta di "costume" alla musica creativa americana.

Se poi un neofita dovesse risultare affascinato dall'ermetico messaggio sonoro di Hardy Fox e compagni contenuto un questo breve audio compendio ... allora potrebbe considerarsi già ampiamente pronto per attraversare la buia residenza dei Bulbi Oculari e del Signor Teschio.

martedì 20 ottobre 2009

METABOLIST - Goatmanout (1979)



Impossibile non andare a recuperare questa gemma dell'oscurità late 70's, soprattutto dopo aver riascoltato per l'ennesima volta lo straordinario "Hansten Klork".

Registrato qualche mese prima del materiale che andrà a comporre l'unico album ufficiale della band inglese, GOATMANOUT è un manifesto programmatico di un sound che sta cavallo tra l'elettronica claustrofobica di Dark Day e le atmosfere vagamente Kobaiane di magmatica memoria (non senza ricordare le "deviazioni oscure" della banda del monocolo dalla Luisiana)

Imperdibile come tutta la produzione di questo combo, questo nastro aggiunge storia all'audioteca di un appassionato e non "integra" semplicemente storie precedenti.

METABOLIST - Hansten Klork (1980)



Questo invece è un buon esempio dell'atmosfera tetra di fine anni settanta, (completata la registrazione nel 1979 e pubblicato poi nel 1980) con una evidente ricerca di far vibrare l'oscurità senza alcun timore per la parte buia della musica o dell'arte.

Un album indimenticabile per chi lo ha incrociato al momento della sua epifania nel mercato indipendente ed autonomo, presente nelle enclavi più esclusive della new wave internazionale come esempio di "progressive new wave".

Una buona alternativa a gruppi come DARK DAY o CHROME che dagli states vomitavano oscurità e gelida penombra elettronica nelle orecchie (disposte ad accettare simile provocazione).

Dopo due tepes ancora più indipendenti ed oscuri i METABOLIST escono allo scoperto con un album che "profuma di scantinato" e di intolleranza per l'allegria e la superficialità ... in piena sintonia con i concetti del movimento architettonico da cui avevano preso il nome.

Ed il risultato che sgorga dai solchi è talvolta più nero del già nero vinile.

Qua e là in rete, si legge che questa band inglese sia lontana del risultare "fondamentale" al fine di conoscere il movimento artistico musicale dell'epoca ... ma si sà ... in rete c'è spazio per tutto ed il contrario di tutto ... dalla caverna - modestamente - mi permetto di segnalare questo disco come uno degli IMPERDIBILI della fine degli anni 70.

MICRODISNEY - Everybody is fantastic (1984)



E' pur vero che nei cupi e tetri anni ottanta - dominati principalmente dalla new wave quasi "esistenzialista" e "nichilista" dell'individualità intristita e spesso catatonica - qualche voce più "mite" si è proposta nel tentativo di raccogliere per strada quelle anime interessate anche a "sopravvivere" con qualche "sorriso" per esorcizzare il disagio dilagante.

MICRODISNEY è un buon esempio di questo timido tentativo (peraltro anche parzialmente riuscito).

Gia il titolo solare "Everybody is fantastic" stride con la stragrande maggioranza dei titoli degli album più o meno dell'epoca. Il contenuto musicale poi è la quintessenza del tentativo di pensiero positivo da offrire alle nuove generazioni.

Poi però, ascoltando il tutto ci si accorge che i testi sono tutt'altro che "leggeri", e la possibile allegria e spensieratezza si trasforma in "sorriso ironico" e talvolta beffardo per una realtà che certo tutti vorrebbero forse differente, ma che in realtà si manifesta nella sua vera essenza.

Ad ogni modo, canzoni come "I'll be a gentleman" o "A few kisses" vanno proprio nella direzione di squarciare il buio delle sonorità dark e deprimenti allora per la maggiore con il pregio di essere anche realizzate con gusto e buona fattura.

All'epoca sembrava ingenuo proporsi in questo modo - in effetti questo bagliore positivo all'epoca è stato relegato a "nicchia" - ma non si può escludere che è grazie all'esistenza di band come queste che la voglia di scrivere canzoni di intrattenimento si sia poi successivamente riaffermata nel mercato internazionale.

CABALLERO REYNALDO - Tamoxifeno funk (2009)



Della versatilità creativa di Caballero Reynaldo esistevano già numerose prove discografiche inequivocabili che documentavano le sue proprie qualità di compositore in forma canzone o forma concept, dimostrandone la vulcanica personalità musicale capace di coniugare suggestioni pop ad elegantissime soluzioni armonico melodiche pescate "altrove".

Ora, sulla scia del precedente album "Hispano Olivetti" del 2007, viene messa in evidenza la sua capacità di arrangiatore ed adattatore di musiche altrui, già evidente in occasione delle stra-versioni zappiane (elettriche ed acustiche) e non solo.

Adesso ... sorpresa delle sorprese ecco una bizzarra nuova uscita discografica che sembra strizzare l'occhiolino a certe soluzioni soul intrecciate ad accattivanti tessiture di "intellipop" "a-la 10cc" oppure a riferimenti "swindoniani"

Le suadenti voci femminili presenti creano un'atmosfera molto chic e confidenziale interrotte a volte dal giovane narratore Anibal e la sua macchina da scrivere "analogica" ed altre volte dal vocione del Caballero.

Qualche spruzzata qua e là di fiati stile Rythm'n'blues e qualche deviazione verso la musica country o la tradizione latina o la swingin' music degli anni sessanta ... insomma un collage continuo di immagini musicali colte e mescolate tra loro con grande raffinatezza ad indicare che all'origine delle idee del Caballero "esiste una storia d'ascolti e di sensibilità più che mai unica che si nasconde tra nota e nota della singola frase musicale o del singolo metodo d'arrangiamento".

Grande Caballero!

TELEGRAM - Telegram (2005)



Nonostante un evidente conflitto d'interesse, vi segnalo comunque questo prodotto perchè - alla fin fine - è stato un progetto musicale che ha davvero cercato, pur nel suo piccolo, di ridare al pop/rock italiano una dimensione anche internazionale.

L'esperienza vissuta nella produzione di questo album è stata per me sicuramente tra le più intense e coinvolgenti e - pur se di indipendenza si tratta - la professionalità e la serietà con cui è stata affrontata questa avventura da parte di tutti i protagonisti coinvolti (musicisti ed ospiti vari) è stata impeccabile.

La qualità del lavoro sta tutta nelle preziose liriche di Claudio Valente, mentre la sensibile cifra emotiva delle musiche contenute raccontano storie di ascolti multipli e differenti tra loro ... e non è poco.

Non oso recensire ciò che ho contribuito a produrre, ma posso permettermi di invitarvi ad ascoltare une esperienza che - benchè ormai da tempo conclusa - ha modestamente provato ad indicare una possibile "via" alternativa al pop italiano.

ELLA GURU - Morbius (1991)



Eccellente esempio di creatività ed organizzazione musicale supportata da una spinta curiosa verso le innumerevoli possibili interpolazioni sonore e verbali.

Il gruppo emiliano/romagnolo capitanato dal talento indiscusso del compositore, arrangiatore e chitarrista GIORGIO CASADEI permette alla musica italiana di appuntarsi una medaglia al valore con questo lavoro che sa di tanti ascolti e di altrettante elaborazioni ludico/creative.

Zappa è dietro l'angolo (come dimostrato anche dalla presenza in scaletta della cover scatenata di "Tryin' to grow a chin"), ma la sensazione che tutto possa rappresentare un "classico" per le fantasiose ri-elaborazioni di Ella Guru (dal tema di Pink Panther di Mancini, allo stravolgimento della Beatlesiana "Ticket to ride" fino alla demente "carrambata" della colonna sonora "Tuca-Tuca" dedicata all'ombelico più famoso d'italia).

Anche in questo caso la descrizione zappiana "the results of a higher education" è perfettamente calzante con le avventure musicali di questa eccellente band (dal nome - altrettanto eloquentemente - Beefheartiano).

Inutile dire che - come prevedibile - questo disco non ha permesso al gruppo di "fare carriera" e proseguire con le proprie visionarie elaborazioni nel mondo asfittico della musica intelligente, perchè soffocato ed annullato dalla quantità di inutilia presenti sul mercato, però va altrettanto detto che "Morbius" nel suo palesarsi ha posto in essere un tassello a cui affidare un ruolo d'appoggio per confortare la tesi dell'esistenza di uno scenario volitivo e curioso nell'italica creatività.

Ed è proprio vero che, alla fine dell'ascolto, ci si sente più ... "eruditi"!