lunedì 28 dicembre 2009

MARY BUTTERWORTH - Mary Butterworth (1969)



Sconosciuta band di solido rock-blues a tratti psichedelico che non ha trovato abbastanza spazio nell'immanso mare magnum del genere.

Il disco, diventato da anni ormai una tra le più ambite prede per i più accaniti ed agguerriti collezionisti del vinile di fini anni sessanta, è stato più volte ristampato in CD da etichette clandestine riscuotendo sempre un discreto successo, tanto da offrire a questo gruppo dimenticato una inattesa (e per certi evrsi sicuramente immeritata) improvvisa popolarità.

Non è un lavoro dalle sublimi intuizioni, quanto piuttosto un disco di mediocre rock-blues suonato con discreta perizia e buone intenzioni. Ascoltabile e riascoltabile, al bisogno.

BABY WHALE - The downhill climb (1973)



Un bel disco di progressive-folk talvolta nella falsariga di gruppi come i più famosi Curved Air (grazie alla presenza comune del violino e della voce feminile predominante) ma talvolta anche originalmente spostati verso un country-folk, quando non addirittura direttamente bluegrass, americano (forse grazie alle origini proprio della cantante Anne Baker).

L'insieme di suggestioni popolari qui presenti fanno di questo album un interessante raccolta di alcune delle possibili variazioni sul tema folk prese in esame nella scena anglosassone in una stagione musicale così ricca di fermento e creatività applicata alle tradizioni (vicine o lontane indifferentemente).


HUGH BANTON - The Planets (Gustav Holst) (2009)



Sicuramente uno dei dischi più ascoltati dal sottoscritto in questo 2009 data la potentissima forza evocativa dello strumento protagonista e dalla assoluta capacità interpretativa di tale HUGH BANTON (tra i miei musicisti preferiti dell'era progressive inglese con i Van Der Graaf Generator).

La musica di Gustav Holst comunque si rivela ancora una volta come elemento essenziale per moltissime deviazioni musicali parallele, dato che elementi melodici delle composizioni dedicate ai pianeti sono stati riproposti - in modo più o meno elaborato - in moltissime produzioni degli anni settanta (Zappa, Supertramp, Genesis, King Crimson, Emerson Lake & Palmer).

Questa elaborazione al solo organo di BANTON (a parte alcune sporadiche parti ritmiche di cembalo e percusssioni) offre all'ascoltatore una grandissima oportunità di cogliere nel profondo la potenza evocativa dei passaggi armonici che contraddistinguono la peculiare modernissima scrittura del compositore inglese nato a Cheltenham nel 1874.

Un disco che ripropone con grandissima sensibilità ed intelligenza una pagina essenziale per un'intera generazione musicale.

JAMES GANG - Newborn (1975)



Disco pressochè ignorato all'epoca a causa della inesorabile parabola discendente della carriera della band che era stata veicolo professionale per Joe Walsh e - seppur brevemente, ma significativamente - per Tommy Bolin.

Ma come spesso capita, con riascolti meno condizionati dal rumore di fondo contemporaneo circostante, ci si accorge che il valore di un determinato prodotto non sia stato perfettamente messo a fuoco al momento della pubblicazione e quindi riemerge il piacere di ascoltare qualcosa che si ripropone con rinnovato e ritrovato spirito.

Sembra davvero impossibile credere che tutti gli appassionati di un certo "rock" sanguigno ed energico si siano dimenticati di colpo di questa band relegando questo disco ai magazzini del macero industriale. Eppure in NEWBORN sono presenti tutte le potenziali caratteristiche del buon rock anni settanta, dagli episodi muscolari e di impatto, alle ballate melodiche e sensibili, dal rock declinato in chiave pop fino alla rivisitazione del primo rock'n'roll (con una brillante versione della "Heartbreak hotel", vero e proprio classico di Elvis).

Un peccato davvero, anche se musicologicamente si può giustificare questa circostanza con il momento di grandissimo cambiamento che si andava preparando proprio nella seconda decade degli anni 70.

Per fortuna comunque la memoria discografica digitale ha riportato alla luce anche questo piccolo goiellino a cui vale la pena dare una seconda chance di ascolto e gradimento ... compresa una nota di apprezzamento per la scelta della veste grafica che accompagna il disco, la riproduzione di una straordinaria opera di Salvador Dalì quale "Geopoliticus Child Watching the Birth of the New Man" (1943).