martedì 27 ottobre 2009

POINT BLANK - Point blank (1976)



Texana, potente e grezza ... POINT BLANK era (all'epoca) tutto questo ma non solo!

L'uso compatto ma allo stesso raffinato delle chitarre hanno dato a questa band una cifra stilistica ben precisa e ha dato loro modo di distinguersi da altri southern rockers contemporanei rendendoli gradevoli ed interessanti anche a chi - oltre alla sanguigna dose di rock'n'roll - apprezzava la costruzione intelligente e la produzione attenta dei brani.

Un disco consigliatissimo anche oggi!

BERT JANSCH - Moonshine (1973)



Ottavo disco come solista per il chitarrista dei PENTANGLE che centra perfettamente il bersaglio con un album misurato ed intelligente, calibrato nelle scelte musicali e nell'equilibrio tra tradizione e personale intuizione ed elaborazione del linguaggio folk allora contemporaneo, (soprattutto la eccellente rielaborazione in chiave folk-rock della conclusiva tradizionale "Oh my father") e con le sue interpretazioni vocali convincenti e solide.

Prodotto brillantemente dal "secondo angolo (dei cinque)" Danny Thompson che offre anche il suo inconfondibile contributo strumentale al contrabbasso, il disco vede anche la presenza di Tony Visconti, Gary Boyle, Ali Bain, Ralph McTell, Laurie Allen, Dave Mattacks e Mary Hopkins (tra i tanti).

Davvero un bel disco anche a distanza di anni.

BO HANSSON & JANNE KARLSSON - Monument (1967)



Quando nel 1967 BO HANSSON (ex chitarrista con Rock-Olga, band emergente di Stoccolma) decise di provare a registrare un disco di rock-blues psichedelico accompagnando il suo organo Hammond dal solo JANNE KARLSSON alla batteria, a tutti gli addetti ai lavori il progetto doveva essere sembrato un tantino eccessivo per la periferica (rispetto al mercato britannico) terra scandinava.

Ma, come spesso la storia ha insegnato (a partire dai tempi della Decca e del suo direttore commerciale che nel 1963 stabilì la prossima fine di gruppi come i Beatles non prendendoli nemmeno in considerazione per un contratto di prova), fortunatamente qualcuno dell'etichetta discografica Polydor ebbe invece il coraggio e l'intuizione giusta sufficiente per proporre una copertura economica al duo ... che di fatto tra il 1967 ed il 1969 diventò uno dei maggiori gruppi di successo in patria e - più in generale - nel nord europa (perfino Hendrix chiese di conoscere e di poter jammare con il dinamico duo).

Prima della svolta più personale e sperimentale (solo per certi aspetti) che vedrà Hansson protagonista di un etereo lavoro dedicato alla saga degli Hobbitt di Tolkien (Lord of the rings, pubblicato dalla Charisma di Tony Stratton Smith nel 1972), ecco quindi questo brillantissimo disco di grande feeling e classe interpretativa per nulla freddino, trattenuto o anche solo minimamente condizionato dalla scarna formazione a duo.

CZESLAW NIEMEN - Katharsis (1976)



Dalla Polonia ecco un disco clamoroso, una "fornace cosmica" tutta europea.

Nascosta dalla pesante cortina culturale dell'europe degli anni settanta, l'opera del cantautore Czesław Juliusz Wydrzycki (nato in Bielorussia da esuli polacchi nel 1939) non ha la benchè minima possibilità di superare i rigorosi confini di una mefitica atmosfera coercitivamente soporifera del socialismo (troppo) reale.

Dagli inizi e dalle prime ispirazioni psichedeliche e Beatlesiane, Niemen passa prima ad una forma di cantautorato "ibrido", tra la protesta e l'ammiccamento commerciale (che lo spinge perfino a partecipare ad un "cantagiro" ed a collaborare con la cantante Concetta Giangi (aka "Farida" per il pubblico di sorcini).

Nel 1975 pubblica all'estero (perchè gli viene VIETATO in patria) un bizzarro album solo intitolato "Mourner's rhapsody" in compagnia di personaggi come Rick Laird, Jan Hammer, John Abercrombie, Michael Urbaniak e Steve Khan tra gli altri.

Ma è proprio a metà degli anni settanta che Niemen ri-scopre la voglia di sperimentare e inizia un suo percorso di approfondimento sulle tecnologie elettroniche applicate agli strumenti musicali, da cui ne trae non solo fonte di ispirazione, ma motivo essenziale della sua successiva proposta musicale.

Nel 1976 esce questo indefinibile capolavoro "Katharsis" che vede un ampio uso di EMS synth, theremin, mellotrons, tapes, filtri e tutto l'occorrente per produrre una musica visionaria e futuribile (resa ancora più criptica dalla presenza di testi recitati in polacco ... per me equivalente ... ehm ... al Kobaiano) .


SABICAS - Rock encounter (1970)



Al secolo Agustín Castellón Campos (Pamplona, 1912 – New York, 1990), SABICAs è stato sicuramente uno dei più interessanti chitarristi di flamenco spagnolo moderno. La circostanza ancora più curiosa lo vuole, dopo un lungo esilio in Sud America e sucessivamente negli USA, alfiere di una specie di evoluzione in chiave rock dello stile "flamenco" nella chitarra.

Accompagnato da alcuni tra i più prestigiosi session man della New York dell'epoca (tra cui il giovane Tony Levin al basso), nel 1970 registra con il chitarrista Joe Beck questo formidabile disco di "crossover" ... perchè di questo si tratta ... tra rock psichedelico elettrico e flamenco acustico.

Forse datato, oggi, ma comunque storicamente molto, molto interessante!

Ascoltare per credere.

TODD RUNDGREN - Todd (1974)



Questo è uno di quei dischi che cambiano la vita dell'adolescente ascoltatore avido di conoscere la musica che lo circonda. E la cambiano perchè è tale e tanta la mole di informazioni musicali contenute (allora) nel doppio vinile originale da stordire ed annientare l'ascoltatore inesperto. Ma questo effetto devastante ha anche un suo risvolto fondamentale e positivo, ovvero quello di aprire completamente l'orizzonte, sparigliare tutte le carte disponibili (al momento) ed invitare a conoscere altre combinazioni altre possibilità.

Il suono, la canzone, la voce, la chitarra il sax ... nulla è più lo stesso dopo aver ascoltato questo disco, alla faccia di chi non crede che l'arte non sia in grado di COMUNICARE a più livelli.

Gli anni a venire hanno poi raccontato grazie ai vari biografi dell'artista di Upper Darby la storia e la genesi di questo capolavoro, costellata anche di grandi difficoltà e di pesanti squilibri comportamentali ... ciò nonostante TODD rimane un disco magico, dove non è presente solo la celebrazione dell'eccesso, ma anche la preziosa sensibilità che alimenta la fragilità di una struttura molecolare ordinata sempre in bilico sull'abisso esistenziale e sempre a rischio di venire stritolata dall'ingranaggio industriale.

Rundgren potrà non essere un esempio di virtuosismo fine-a-se-stesso (per fortuna) ma la sua straordinaria capacità di organizzare le sue parole ed i suoi suoni è davvero UNICA e lo rende inarrivabile per qualità e grado di innovazione quasi come un altro grande americano ... nato questa volta a Baltimora.

TODD è ancora uno dei pochi dischi della mia esperienza adolescenziale che graffia tutto quello che mi sono lasciato alle spalle ... e rappresenterà sempre un personale punto di partenza e scuola di "comprensione" sonora ... cosa della quale non potrò mai (purtroppo virtualmente) smettere di ringraziare quel tizio dai capelli colorati, quella specie di Cousin Kevin per il povero Tommy (sicuramente il migliore amico che i miei genitori potessero mai sperare per la mia buona educazione!).