venerdì 30 ottobre 2009

CAN - Landed (1976)



Come si fa a non apprezzare l'universo musicale della band più innovativa della scena tedesca degli anni settanta?

Anche quando ci si trova davanti ad episodi discografici della loro seconda traiettoria creativa (apparentemente più semplice e meno intransigente alla costruzione formale di simil-songs) non si possono non considerare alcuni aspetti dell'eccellenza espressiva di Schmidt & C.

L'uso della struttura-canzone è decisamente interessante soprattutto per alcune costanti caratteristiche come le solite voci di Irmin e Michael, quelle del dopo-Damo, leggermente filtrate e apparentemente inespressive (... non robotiche scuola Dusseldorf ... quanto piuttosto una specie di "Kraut-crooning") o la sezione ritmica ridotta ad un basso semplicemente pulsante sulle note di base ed una batteria sempre ipnotica ed accordata in maniera molto originale dall'eterno Carotempo.

Menzione speciale però meritano le speed-guitars del sempre compianto Michael Karoli, con le sue aspre e penetranti melodie parallele ed integrative di quelle già presenti nel contesto generale.

Quando poi il gruppo si lancia nelle indemoniate lande dell'improvvisazione "sul-(nessun)-tema" come in "Vernal Equinox" ad esempio, allora diventa tutto molto più divertente perchè è tutto cosi ... CAN!

Ed ancora più riconducibile alla sfera creativa primigenia è il capolavoro dell'album ovvero il conclusivo "Unfinished" che riapre i cancelli della sperimentazione pura e che riporta il gruppo ai fasti dell'abbandono al flusso di suoni.

Amo questo gruppo da sempre ... YES, I CAN!

PSAPP - The only thing i ever wanted (2006)



Coniugare sperimentazione e gradevolezza non è operazione semplice da realizzare, ed è altrettanto difficile da far capire ad un qualsiasi pubblico - potenzialmente interessato ai due generi - che è invece possibile riunirli in un terzo e più stimolante prodotto finale.

Il duo anglo-tedesco PSAPP si inserisce in quelle formazioni borderline che grazie a qualche idea accattivante assume un aspetto quasi commerciale, lasciando però intendere una discreta competenza e conoscenza di linguaggi sperimentali che provengono (e si dirigono) altrove.

Naturalmente con le moderne tecnologie a disposizione oggigiorno è abbastanza normale trovare delle audio-stravaganze anche nei dischi più commerciali in assoluto (Bjork in questo senso ha asfaltato un'autostrada!), ma è proprio per questo diventa determinante ascoltare con attenzione le produzioni recenti cercando i particolari rivelatori di scelte artistiche che devono apparire evidentemente più "di principio" che di astuta operazione - falsamente - bizzarra.

Dal mio modesto punto di vista, ascoltando e riascoltando il materiale di Carim Clasmann e Galia Durant propendo evidentemente per una attribuzione di valore musicale non riconducibile a scelte opportunistiche quanto invece alla chiara volontà di mettere in atto proprio quella sinergia espressiva che può far funzionare suono, melodia e rumore.

Essere "sperimentali" qualche volta prevede il confronto e l'intreccio con il "mainstream" ... esserlo tout-court a volte rischia di essere perfino più facile e comodo.

Ascolto (modestamente) consigliato!

THE RESIDENTS - The river of crime! (2006)



Di nuovo alle prese con gli oscuri sconosciuti.

Nato nel 2006 come progetto multimediale da proporre via internet, THE RIVER OF CRIME è strutturato come una specie di radiodramma in cui vengono raccontati 5 differenti episodi con evidenti riferimenti "gialli".

Dopo la realizzazione del progetto completo, la band americana aha deciso di pubblicare in edizione limitata anche la versione solo strumentale della musica contenuta negli episodi prodotti.

Ovviamente dato il ben noto stile sonoro narrativo del progetto RESIDENTS, questa opportuna edizione permette di apprezzare la consueta cifra stilistica fatta di dissonanze oscure (in realtà MOLTO MOLTO MENO OSCURE DI UNA VOLTA) e la notevole dimestichezza con il "racconto" fatto di suoni che da soli provocano sincere emozioni.

Il risultato è decisamente bello ed evocativo.

Del resto, pensandoci bene, è nel SUONO che alberga il fascino principale e l'essenza stessa del mistero che circonda gli artefici di questo bizzarro combo che si presume provenga dal nord della Louisiana, ed è nella costruzione dei suoni che l'enigma prosegue a far restare inalterato l'intrigante sesnsazione della presenza di una qualche "energia vitale" volutamente e gelosamente nascosta al mondo reale, per mantenerla incontaminata e preservarne il dono creativo.

HAPPY THE MAN - Crafty hands (1978)



Relegata ingiustamente all'oblio durante la sua stagione iniziale più creativa, la band americana ha fortunatamente riscosso un discreto successo a posteriori, quando qualcuno si è reso conto che davvero meritava una attenzione pari a quella riservata per i maggiori esponenti della musica progressive internazionale degli anni settanta.

Appare evidente che alcune scelte musicali presenti nel sound del gruppo sono marcatamente non-europee e figlie quindi di una certa "muscolarità" esagerata tipica dell'american way of proggin', ma è altrettanto chiaro che la stragrande maggioranza del prodotto proposto da Happy the Man sia tra le migliori cose uscite dal nuovo continente.

Crafty Hands prosegue lungo il solco tracciato dal primo formidabile album uscito solo un anno prima, mantenendone la freschezza e l'originalità dell'impasto sonoro (e del resto anche questo secondo capitolo è stato realizzato dallo stesso line-up e prodotto sempre da Ken Scott). Unica differenza (relativa) la presenza di un solo brano cantato (a differenza dei due già in HAPPY THE MAN) ma dal momento che non è certo la parte cantata l'elemento distintivo del gruppo, la ulteriore limitazione dello spazio vocale non sembra poi fare troppo la differenza ... sebbene ... a distanza di anni però varrebbe la pena chiedersi se è stata proprio la mancanza di comunicazione verbale a condizionare il risultato commerciale (davvero devastante in negativo) che la band ha dovuto subire nei primi (ed unici) tre anni di esistenza in attività.

Ad ogni modo la scrittura poliritmica e politimbrica di Wyatt e Watkins rimane la caratteristica più stimolante del suono di questo gruppo ed il materiale proprosto in CRAFTY HANDS è sicuramente all'altezza di quello pubblicato precedentemente.

Purtroppo l'avvenuta contemporanea affermazione internazionale del punk e della new wave ha reso poco interessanti gli esercizi di composizione virtuosa del gruppo che è stato quindi troppo velocemente dimenticato portando i suoi dischi a rimanere sepolti ed invenduti per anni.

GONG - You (1974)



Già che ci sono, finisco la storia della trilogia ...

L'Eroe Zero ritorna finalmente sulla terra e arricchito dal suo viaggio mistico spazio-temporale, consulta Hiram il Master Builder su come organizzare la propria nuova consapevolezza al fine di costruire il suo proprio Tempio Invisibile (come quello esistente sul pianeta Gong). Una volta costruito il tempio, Zero si ripromette di organizzare lui stesso il grande incontro di Freeks nell'isola di Ognidove, a Bali.
Tutto avviene e tutto si realizza, compresa la imposizione del terzo occhio a tutti i partecipanti da parte dello Switch Doctor, solo che purtroppo per Zero, questa imposizione mistica viene impartita agli astanti mentre da solo rimane a mangiare una torta di frutta dietro alle quinte del grande palco - dove si svolge la festa ed il concerto del gruppo Gong.
Il suo isolamento dall'ambiente circostante gli impedisce di ricevere il suo terzo occhio e per questo motivo il suo spirito sarà condannato a vagare nell'universo di reincarnazione in reincarnazione cercando una nuova occasione per ottenere l'illuminazione".

YOU è il terzo capitolo della trilogia (che poi nel 1992 verrà aumentata di un quarto episodio con l'album Shapeshifter) e condensa nelle sue tracce tutto il progetto musicale e verbale partorito dalla fantasia (aiutata?) del solito Allen. Grazie al successo ottenuto nel frattempo si nota una maggiore possibilità di mezzi per creare nuove bizzarre combinazioni sonore ed è proprio per questo aspetto che YOU si distingue dai due precedenti.

Maturità e consapevolezza sono ormai parte integrante dell'espressione musicale della band ed è inutile stare a descrivere le singole eccellenze musicali presenti in questo disco.
Forse creativamente non è il disco MIGLIORE (probabilmente il più geniale è THE FLYING TEAPOT) ma la naturalezza della creatività di questo disco è talmente evidente da farlo sembrare più compatto e solido dei precedenti.

Inutile ricordare che proprio alla fine del tour dedicato alla promozione di questo album Allen e la compagna Smyth abbandoneranno il gruppo per ritirarsi a vita creativa e meditabonda alle isole Baleari (una vacanza che ci farà regalo di un disco BELLISSIMO come "Good Morning" realizzato con la banda isolana locale di EUTERPE)

GONG - Angels egg (1973)



La storia continua, così come le avventure dell'eroe Zero.

Dal momento che in questo secondo capitolo della trilogia a trama si fa un po' più intricata e mistica, di conseguenza anche la dimensione sonora acquisisce una ulteriore sfumatura di colori, grazie anche all'apporto del nuovo batterista Perre de Strasbourg (al secolo Pierre Moerlen) a ad una maggiore libertà espressiva del talento di Steve Hillage.

Aumenta anche la "verbosità" del contenuto ma, a conti fatti, l'operina rimane comunque piuttosto equilibrata ed intrigante nel suo incedere lungo le due facciate del vinile (perchè questo riascolto è effettuato con quella vetusta tecnologia).

"Hare Hare supermarket - Hare hare London Bus" è l'invocazione iniziale dell'eroe Zero che introduce il suo racconto della sua stessa perdita di riferimenti e del suo viaggiare senza rotta nel suo universo (forse) parallelo.

Forse la storia merita un riepilogo:

"Nel capitolo precedente (the flying teapot) Mista T Being, allevatore di maiali ma egittologo di passione, acquista un'orecchino magico dal bizzarro antiquario Fred The Fish.
L'anello di fatto è un apparecchio ricevente collegato all'emittente pirata Radio Gnome Invisible che trasmette dal pianeta Gong. Sconvolto da questa scoperta, Mista T Being viene accompagnato da Fred The Fish in Tibet per incontrare l'entità in grado di svelare i misteri di questo fenomeno ovvero il "gurubirra" Banana Ananda che vive in una grotta tra le montagne. Durante l'incontro Banana Ananda intona il suo mantra "Banana Nirvana Mañana" e finisce per ubriacarsi di birra Foster's.
Cambio scena e l'ineffabile Eroe Zero, del tutto estraneo a qualsiasi vicenda, improvvisamente incontra a Charing Cross Road una delle teiere volanti che provengono dal pianeta Gong .... dove tutto intorno volteggiano questi piccoli personaggi verdi dal copricapo a punta sorretti da una piccola elica che li mantiene sospesi (Pot Head Pixies).
Zero decide di seguire Cock Pot Pixie, uno degli omini verdi, alla ricerca di ... non si sa bene cosa, ma viene distratto molto presto da una micia che gli offre benevolmente e generosamente il suo cibo fatto di pesce e patatine. La verità è che la micia altri non è che la benevola strega Yoni che con il cibo sommisistra a Zero una sua pozione magica."

In questo secondo capitolo invece

Zero si addormenta per l'effetto della pozione e si ritrova lui stesso a volteggiare nello spazio senza meta. Dopo aver impaurito Capitan Capricorn, pilota spaziale incontrato per caso, riesce a localizzare finalmente il pianeta Gong e dopo esservi giunto, si intrattiene a lungo con una locale prostituta che a sua volta lo presenta a Selene, la dea della luna.
Zero continua ad essere sotto l'influenza della pozione magica di Yoni e per questo motivo viene introdotto ai misteri della tecnologia dei Pot Head Pixies (chiamata "Glidding") che permette alle Teiere Volanti di vagare nello spazio.
Grazie a questa familiarità, Zero viene addirittura accompagnato nel Tempio Invisibile del Pianeta Gong, luogo sacro e misterioso. Nel tempio, a Zero viene mostrato l' Uovo Dell'Angelo ovvero l'incarnazione dei Dottori Delle 32 Ottave (diretti discendenti della Grande Cellula Divina). Al cospetto dell'Uovo Zero viene informato di una grande rivelazione: presto sulla terra si riunirà una grande comunità di Freeks organizzata proprio dai Pot Head Pixies. Ed uno dei momenti fondamentali di questa riunione sarà una grande festa contraddistinta da un grande evento concertistico, durante il quale lo Switch Doctor (ovvero l'incarnazione terrestre di uno dei Dottori delle 32 Ottave, che vive proprio vicino a Banana Ananda in un rifugio segreto chiamato Invisible Opera Company Of Tibet) impartirà speciali istruzioni ai componenti della band GONG in modo da far apparire l'occhio della consapevolezza in tutti gli astanti, iniziando sulla terra l'era della New Age."


Flip!

GONG - Flying teapot (1973)



Ed ecco - inevitabile ri-ascolto - il primo capitolo della saga avventurosa di Zero the Hero e le teiere volanti pilotate dai Pot Head Pixies.

Per capire appieno l'impatto di questo album bisognerebbe utilizzare una macchina del tempo e portare tutte le nuove generazioni al lontanissimo 1973 perchè in quel modo diventerebbe chiarissima e limpida la luce nuova portata nel mercato della musica (cosiddetta) impegnata ed intelligente da questo consesso di freaks.

Il disco in sè è certamente più serio e concettuoso del precedente "Camemebert Electrique" pur nel suo ridicolo raccontare la visionaria storia degli omini verdi e delle loro teiere provenienti dal pianeta Gong e guidati nelle rotte da seguire dalla voce madre della Radio Gnome Invisible.

La tavolozza di audio-colori che contraddistinge questo primo capitolo della saga risulta arricchita principalmente dalle chitarre di Steve Hillage e Christian Tritsch e dalle sonorità "fumose" elettroniche di Tim Blake, anche se a recitare la parte del leone qui è ancora il suono di Good Count Bloomdido Bad De Grass (Didier Malherbe) in grado di marchiare in modo indelebile ed inequivocabile l'intero paesaggio sonoro presente.

Memorabili ed indimenticati momenti di questo disco sono "Flying teapot", "The Pot Head Pixies" e la evocativa e definitiva (per comprendere il "suono GONG") "Zero The Hero & The Witch's Spell".

Altro disco che riascoltato dopo tanti anni non perde il suo fascino e contribuisce ad alimentare una certa qualche nostalgia per un'epoca trascorsa troppo velocemente ed altrettanto tropppo velocemente cancellata dalla vendetta dell'industria discografica late 70's.

GONG - Camembert Electrique (1971)



Epifania psichedelica della comune musicale più bizzarra e famosa vissuta all'epoca della pura freakness post sessantottina.

Difficile non riconoscere, anche a distanza di tutti questi anni, la clamorosa e grande visione prospettica che questo ensemble di apparenti freakoids hanno concretizzato nelle loro pubblicazioni discografiche.

E tutto questo nonostante Camembert Electrique avesse avuto (per gli attenti musicomani dell'epoca) una specie di straordinario precedente in quel "MAGICK BROTHER MYSTIC SISTER" accreditato al solo Allen, ma chiaramente una sorta di "numero zero" della letteratura sonora della band a venire, un certo quale primo colpo ... ehm ... di GONG.

La musica di questa combriccola di svitati si è subito contraddistinta per una sostanziale imprevedibilità ritmico melodica generale e per le bizzarre interpretazioni vocali del leader Daevid Allen e della poetessa Gilli Smyth in grado di mantenere quasi sullo stesso piano e nello stesso contesto stile cabarettistico e stile mistico evocativo, permettendo al suono complessivo di rimescolare ulteriormente le emozioni.

La cosa che mi ha sempre impressionato di Allen è che nel suo "cantare" non c'è mai traccia di serietà, ma sempre una forma di ironia beffarda ed irriverente, nonostante qualche volta il contenuto dei testi non sia affatto divertente.
Scegliere di cantare IN QUEL MODO in quel periodo ha comunque reso i GONG completamente a sè stanti nel panorama invece serioso ed impegnato della scena progressive europea, ulteriore fattore questo di originalità e ... perchè no? ... genialità.

Ad una attenta analisi "musicale" poi emerge in tutta chiarezza la potente forza creativa di musicisti quali Didier Malherbe ai fiati e Pip Pyle alla batteria (oltre alla sorprendente chitarra dello stesso Allen).
Malherbe in particolare con questo disco aggiunge nuova vita e nuove prospettive ad uno strumento - il sax - già abbondantemente presente nello scenario progressive dell'epoca, rendendolo "divertente" e meno oscuro che non in altri contesti (per esempio le inquietanti massificazioni di David Jackson dei Van Der Graaf Generator), attingendo anche a delle suggestioni interpretative più propriamente jazzistiche.

Per fortuna eravamo solo all'inizio dell'avventura GONG e - questa la scrivo a titolo personale - Steve Hillage doveva ancora arrivare ad aggiungere la sua inconfondibile eccellente "super-echoed-freak-guitar" ... !!!!.