lunedì 12 ottobre 2009

AKA MOON - Invisible sun (2000)



Ancora uno straordinario esempio di espressione creativa proveniente dalla periferia dell'impero musicale britannico.
Complesse partiture orchestrali e solismi di altissimo livello mescolati a momenti di dinamico freejazz o free-form assolutamente efficaci ed entusiasmanti.

Curioso a dirsi, ma i tre originari fondatori del gruppo, il sassofonista Fabrizio Cassol, il bassista Michel Hatzigeorgiou ed il batterista Stéphane Galland, sono giunti a questa dimensione creativa con AKA MOON (da leggersi rigorosamente "AH-kah MOON") dopo un approfondito studio delle tradizioni musicali dei Pigmei della Repubblica Centrafricana, iniziando ad applicare a stilemi compositivi occidentali alcuni dettagli della prassi tribale studiata (come evidente nel primo loro album del 1992).

Il percorso che ne è seguito, ovviamente, ha portato il gruppo verso il risultato entusiasmante di un clamoroso crogiolo di stili musicali quali il jazz, rock, world music, avanguardia e classica contemporanea perfettamente assemblati e collocati nel lessico originalissimo e sempre cangiante di AKA MOON.

In precedenza, probabilmente il solo FRANK ZAPPA era riuscito nell'impresa difficile di "separare" e "catturare" stilemi musicali originali e reinventarne nuove ed inedite connessioni tra loro ad uso esclusivo della sua propria creatività.

Per questi motivi ... "INVISIBLE SUN" non è solo consigliato ... ma CONSIGLIATISSIMO!

SOFT BOUNDS - Live in Paris (2004.11.26)



Ennesima "morbida" ramificazione Canterburyana datata 2004 che vede protagonisti questa volta i compianti HUGH HOPPER ed ELTON DEAN in compagnia di SOPHIA DOMANCICH e SIMON GOUBERT.

Il copione della serata è ovviamente facilmente prevedibile, caratterizzato da vecchie tracce della macchina primigenia ("Kings and queens" o "Slightly all the time") e altre composizioni più "recenti" quali ad esempio "Spanish knee" di Hopper o "Gimlet Abides" di Dean.

Come di consueto anche Sofia Domancich contribuisce con sue le composizioni ordinate ed educate, mentre anche il meno noto batterista Goubert offre esempio delle sue indubbie capacità compositive e performantiche.

Benchè la registrazione di questo documento non sia così straordinaria per qualità audio, essa risulta comunque oltremodo interessante tra le tantissime diverse proposte del più classico old-styled jazz-rock britannico.

HENRY FLYNT - Back Porch Hillbilly blues (60's)



Ecco il filosofo per eccellenza dell'anti-arte o del "nichilismo cognitivo" impegnato a liberare l'uomo occidentale dalla prigionia dell'estetica e della bellezza artistica.

Alla ricerca della SUA nuova musica "etnica" (in questo specifico caso un guazzabuglio a stelle e strisce fatto di country music de-evoluta e blues mutante) il buon vecchio Henry si lancia in esperimenti che hanno davvero dell'inquietante se presi SERIAMENTE in considerazione.

In queste "danze" (im)popolari, non c'è ritmo logico, non c'è alcuna armonia e l'assoluta immobilità di alcune pseudo-jigs sono davvero devastanti per la straordinaria sconcertante dissociata espressione (non) artistica.

Come ovvio, il "caso" Flynt meriterebbe certo un maggiore approfondimento, qui vale solo la pena ricordare che fu proprio lui a coniare il termine "concept art" nell'accezione di arte affrancata dal criterio estetico della composizione formale e portata alla sola purezza dell'aspetto performantico.

RODNEY JONES - Articulation (1978)



... all'epoca chitarrista di Dizzy Gilespie, il giovane RODNEY JONES nel 1978 si lancia in questo debutto discografico ben riuscito e calibrato, grazie anche alla presenza di alcuni musicisti non ancora noti, ma destinati a far parlare di sè negli anni a venire quali Kenny Kirkland, Wallace Roney e Bob Mintzer.

Le atmosfere presenti sono molto differenti tra brano e brano ... e questo è un fattore che indica una grande versatilità e curiosità creativa.