martedì 6 ottobre 2009

KING CRIMSON - Birchmere - Alexandria, VA (2003.03.04)



A farla da padrone in questa registrazione del 2003 è l'influenza del povero Belew che davvero con encomiabile professionalità porta a compimento il suo obbligo contrattuale. E lo fa con grande umorismo ed autoironia senza abbassare di granchè il suo (alto) standard abituale.
In effetti, il giorno prima era stato costretto dal medico a rimanere a letto in albergo, e quindi il previsto concerto dei King Crimson di fatto si era trasformato in un estemporanea performance del Projekct Three (come documentato nel KCcc 34).
Per quello che riguarda questa registrazione resa disponibile da pochissimo nell'archivio pubblico della DGMLive! sono da notare soprattutto le interpretazioni al fulmicotone di brani come "Prozakc blues", "Level five" e "Facts of life" nonostante qualche indecisione addirittura di sua Maestà "in-persona".
RF si rifà alla grande alla volta di "The World's My Oyster Soup Kitchen Floor Wax Museum" (mentre qui è Belew che per la prima volta ha una leggera indecisone) e "Dangerous curve", ma in sostanza è l'ennesima dimostrazione della solida dimensione live dell'ultimo quartetto della (per fortuna fin qui non ancora conclusa) storia della corte Reale.
E che questa formazione fosse "muscolare" risulta evidente nonostante le sbavature del sovrano questa volta grazie soprattutto alla potenza esplosiva del drumming "ibrido" del miglior Mastelotto.

Reperibile qui.

X-LEGGED SALLY - The land of the giant dwarfs (1995)



Se l'Europa continentale seguisse con maggiore attenzione le vicende della periferia dell'impero britannico nell'industria discografica scoprirebbe esempi di notevole valore tra le fila dei gruppi collocati "albione altrove" nello spazio del vecchio continente.

"Sally con le gambe storte" viene dal Belgio, ma chi ha la fortuna di incrociarne le gesta musicali viene inevitabilemente sopraffatto dalla qualità della proposta e dalla straordinaria bravura dei musicisti coinvolti nel progetto.
Una musica che attraversa trasversalmente la complessità concettuale propria dei più contorti momenti tipici del R.I.O coniugando la lezione Zappiana e l'imprevedibilità dei Doctor Nerve di Nick Didkowski, non dimenticando brandelli di improbabile "mekanik dancing" circense contemporanea.

E' una musica intelligente nel senso più pieno del termine, dove ogni singola nota, ogni singola ombra musicale è funzionale alla storia che viene raccontata, sia si tratti di grotteschi organetti distorti o sezioni di fiati dis-connesse dal contesto generale.
Anche la lezione dell'isteria dei Cardiacs o l'ordinato disordine dei Wizards of Twiddly sembra contaminare lo scenario generale, riducendo ogni singolo brano ad un crogiolo in ebollizione dove differenti, antitetici approcci musicali si fondono in un unico amalgama in cui diventa impossibile spesso distinguere il punto di partenza.

Ora Sally non esiste più, destino normale per le realtà troppo coraggiose ed incapaci di assoggettarsi alla massificazione del mercato, ma per fortuna i dischi prodotti sono reperibili abbastanza facilmente (in un modo o nell'altro), senza dimenticare che ci sta pensando una nuova banda come FES a portare avanti questo straordinario modo di interpretare la funzione progressiva della musica giovanile.

TELEVISION PERSONALITIES - And don't the kids just love it (1981)



Lo-fi predecessore di molto minimalismo loser anni '90, questo disco pubblicato in una prima tiratura indipendente nel 1981 è stato sicuramente tra i fenomeni musicali più incredibili della prima metà della decade, sebbene così lontano dai suoni allora emergenti.
Un bizzarro disco di debutto per la band di Daniel Treacy, sebbene sia difficile considerare l'album come un lavor davvero corale di un gruppo, quanto invece una concretizzazione di alcuni tra gli incubi quotidiani della gioventù contempranea, immersa nella rigida ricetta Thatcheriana.
Il buffo "cockney" con cui le canzoni vengono cantate rende tutto ancor più curioso e - per certi versi - anche divertente (per chi era abituato alla pronuncia retorica ed altisonante dei grandi cantati dell'era progressive).
Le canzoncine sembrano essere state registrate (e lo sono state effettivamente!!!) con mezzi di fortuna e riportano più ad una dimensione "garage". Sono tanti i momenti notevoli di questo disco "post-punk" anarcoide e potentissimo nella sua fragilità, ma tra tutti sicuramente emerge con un devastante impatto emotivo "I know where Syd Barret lives", commovente dedica naif alla figura seminale della psichedelia britannica con i suoi Pink Floyd ... dove il testo parla da solo:

"There's a little man in a little house
With a little pet dog and a little pet mouse
I know where he lives and I visit him
We have sunday tea, sausages and beans
I know where he lives
Cause I know where Syd Barrett lives
He was very famous once upon a time
But no one knows even if he's alive
But I know where he lives and I visit him
In a little hut in Cambridge
I know where he lives
Cause I know where Syd Barrett lives
And the trees and the flowers are so pretty, aren't they?
He was very famous once upon a time
And no one cares even if he's alive (... WE DO!!!)
But I know where he lives and I visit him
In a little hut by the edge of the wood"

Ed i testi sembrano aprire stravaganti squarci poetici nell'abituale rabbioso grigiore del punk fine anni settanta, lasciando intravvedere crude toccanti verità come:

"I hear my father shouting at my mother
In the room next door
He's always threatening to pack his bags
'Cause he can't take it anymore
And my brother's anorexic
But no one seems to care about the state he's in
And my sister's in a club, she's a barmaid in a pub
And my mother's full of gin
Can you hear this angry silence?
I spend the days on my own
Writing silly poetry
Writing poems for the girl I love
But she doesn't love me
And I'm scared to go out at night
It's not safe on the streets
And it's hard to disagree in today's society
You can't trust anyone you meet
Can you hear this angry silence?
Listen, listen, listen... this angry silence"

o beffarde ed ironiche come:

'I telephoned God today, but all I got was the answering machine'.

La vita vera però ha messo a dura prova la fragilità emotiva dello stesso Treacy, sconvolto dall'uso costante di eroina, anfetamina ed alcol, ha trascorso gran parte di questi ultimi anni tra cliniche di riabilitazione mentale e patrie galere. Ha anche tentato di riprendere l'attività musicale nel 2006, ma senza grande risultato. Molte delle pubblicazioni uscite negli anni 90 sono composte da registrazioni senza troppe pretese e (forse) con il solo scopo di provare ad avere un qualche reddito extra grazie alla notevole fama raggiunta con i primi due album dei TVP.

Nonostante la malinconica vita reale che gravita intorno al suo creatore, comunque, "And don't the kids just love it" è disco da avere e da ascoltare con partecipazione e trasporto perchè è realmente una piccola luce nella tetra penombra di quei giorni.

THE KOOBAS - Koobas (1969)



Mentre i Beatles evolvevano il loro sound verso lo stadio creativo finale, dalle parti del Merseyside il terremoto causato dalla loro straordinaria ascesa cominciava a dare dei frutti laterali.
Sebbene fondati nel lontano 1962, messi sotto contratto da un certo Brian Epstein due anni dopo, compagni di "merende" dei Fab Four allo Star Club di Amburgo, ed opening act per una band chiamata The who nel 1966, solo nel 1967 convertono il loro suono con abbondanti dosi di psichedelia internazionale e danno alla luce il loro primo (e unico) album.
Qualcuno sottolinea il fatto che l'album sembri essere una sorta di "concept", ma essendo tutti dotati di indubbie qualità musicali ed abbondante personalità ecco che THE KOOBAS propongono un "pop psichedelico" di grande impatto e sicuramente troppo poco considerato all'epoca.
Ascoltando questi episodi "minori" del movimento giovanile musicale in marcia in quegli anni si capisce facilmente PERCHE' in pochi mesi il tutto si sia evoluto nella forma del "progressive", mettendo in risalto il grandissimo livello di elaborazione artistica che proprio quel genere ha portato alle nuove generazioni di musicisti.
Questo debutto dei Koobas comunque si ascolta con grande piacere e si fa apprezzare anche a distanza di così tanti anni. Opportuna la recente ristampa su CD (con Bonus) che ha dato una ulteriore vetrina a questa band pressochè dimenticata dai più (o citata per la militanza di Keith Ellis nelle prime formazioni dei Van Der Graaf Generator o - successivamente - negli interessanti Juicy Lucy).

KISS MY JAZZ - Lost souls convention (1997)



Che disco!
L'operazione di "ibridare" i generi musicali è stata una delle caratteristiche che - per dirla zappianamente - rappresentano "the results of a higher education".
Indubbiamente una maggiore versatilità creativa dei musicisti delle ultime decadi (e parlo di musicisti veri, non ... "digitali") è stata la base di partenza per prodotti apparentemente anche "commerciali" (dEUS probabilmente à l'esempio più eclatante in Europa) ed ha portato inaspettate traiettorie musicali davvero stimolanti.
KISS MY JAZZ è una di queste "creature" difficile da etichettare ma assolutamente imperdibile per una collezione discografica completa e coerente per documentare la musica europea di fine anni 90.
RUDY TROUVE' (Anversa, Belgio) è l'animatore di questo progetto che si colloca a cavallo tra una musica che ha del "cantautoriale" ma che allo stesso tempo prende derive "quasi-jazz mutate" o addirittura si avventura in momenti "noisy-blues", in languide deviazioni "latin" e di "improvvisazione" decisamente più ... "avanti".
Si capisce che il Capitano Cuore-di-bue è sicuramente tra gli ascolti di riferimento (e del resto anche per gli stessi dEUS - di cui Trouvé è stato componente - le "storie" del capitano erano state sicuramente fondanti) ma si capisce anche che a ben vedere ci si ritrova ad ascoltare una forma di "prog" e "new wave" completamente de-evoluti e mutati, artatamente sbilanciati fino a sporgersi pericolosamente dallo strapiombo sonoro che sovrasta una terra (musicalmente) di nessuno ... o forse ... a ben guardare ... effettivamente abitata da anziani new wavers vestiti di stracci provenienti dalle boutique della Westwood e da vecchi marinai che indossano una sospetta copia di una maschera di trota.

Ascolto consigliato!

GARY BOYLE - The dancer (1977)



Il Jazz-rock inglese ha avuto una stagione straordinaria tra la fine degli anni sessanta e la prima metà della decade successiva, portando all'attenzione degli appassionati di nuove contaminazioni musicali interessanti talenti creativi ed eccellenti strumentisti.
Ogni stagione ovviamente ha i suoi punti fermi, di riferimento e soprattutto nella musica è quanto mai facile identificare in uno o due musicisti - per esempio - le "voci" principali di un particolare strumento musicale o di una particolare corrente compositiva. Per questo motivo la chitarra jazz-rock per eccellenza (o rock-jazz, come correttamente si tendeva a sotto-distinguere uno stile di per sè abbastanza controverso già all'epoca) è sempre stata identificata nella figura dell'inglese John McLaughlin che - a dire il vero - ha portato certamente una ventata innovativa ed estremamente stimolante nel campo in questione sia con la sua Mahavishnu Orchestra che con le sue opere soliste.
Ciò nonostante, altri interessanti virtuosi delle sei corde elettriche si sono messi in luce e tra questi non è per nulla fuori luogo indicare GARY BOYLE.
Indiano di nascita (24.11.1941 a Patna nel nordest dell'India nello stato del Bihar) dopo aver lavorato con musicisti quali Brian Auger, Keith Tippett e Stomu Yamash'ta, nel 1974 ha formato la band ISOTOPE con la quale ha poi prodotto solo due brillanti album: "Isotope" nel 1974 e "Illusion" l'anno successivo (in quest'ultimo con la collaborazione prestigiosa di Hugh Hopper).
Dopo lo scioglimento della band, Boyle ha intrapreso una carriera solista che non ha mai avuto l'attenzione che meritava probabilemnte per la sostanziale staticità del suo percorso creativo e del suo stile.
"The dancer" è l'album che di fatto inaugura questa sua carriera.
Prodotto da Robin Lumley (Brand X) e realizzato in compagnia alcuni "amici" di altissimo livello quali Rod Argent (tastiere), Morris Pert (percussioni) e Simon Phillips (batteria) il disco è uno spettacolare showcase delle doti chitarristiche di Boyle, che alternandosi tra l'elettrica pesantemente distorta e "phase-shifted" ed una acustica delicata ed emotiva riesce a proporre una gamma di colori davvero interessanti (compreso un omaggio al vecchi maestro Brian Auger con una bella versione della sua "Maiden Voyage").
Benchè sia condivisibile la tesi di chi sostiene che Boyle sia una sorta di McLaughlin "meno spirituale" a distanza di anni forse questa caratteristica non è poi da considerarsi propriamente un "limite".

Ascolto consigliato.