martedì 13 ottobre 2009

WILLIAM PENN - Crystal Rainbows (1978)



Altro disco semplicemente bellissimo ed altrettanto sconosciuto.

Il materiale contenuto in questo prezioso LP è stato registrato durante una performance dell'autore WILLIAM PENN data presso la Renwick Gallery di Washington ed intitolata significativamente ‘The Harmonious Craft: American Musical Instruments’.

Per provare a descrivere il contenuto sonoro di questo meraviglioso documento forse può essere utile citare il sottotitolo che compariva nel programma di sala ovvero:

"uno spettacolo realizzato con strumenti unici e stravaganti realizzati rigorosamente a mano"

.. i cui bizzarri nomi suggeriscono esoteriche audio-derive come per esempio "bolla della camera delle nuvole" (progettata da un certo ... ehm ... Harry Partch) oppure "violoncello ad una corda non di acciaio", "lo scacciapensieri elettronico", "ocarina tripla", "il tamburino di pelle di tacchino del bicentenario" a cui si aggiungono il "pianoforte di gomma" e il "vetro armonico".

Ad integrare questa bizzarra compagnia di suoni e suonatori un più "tradizionale" synth ARP2006, un pianoforte a coda ed un dulcimer tipico dei monti Appalachi.

Ma non si tratta di un'amalgama sonoro caotico e rumoristico, tutt'altro ... e la "ben-temperatura" è mantenuta con una discreta precisione. Piuttosto il risultato che ne emerge è un'incontro tra vibrazioni prodotte da materiali ed oggetti che insieme prendono vita/suono e raccontano di paesaggi improbabili e surreali.

Erano anni che non sentivo un disco di tanta sensibilità ed intelligenza ed il mio consiglio è quello di recuperare una qualsiasi testimonianza di questo squisito guazzetto sonoro.

STEVE MOORE - The return of the poet (1983)



Esempio luminoso di indipendenza creativa offerto da STEVE MOORE e proposto per la prima volta in questo nastro a cassetta prodotto in una tiratura limitata di 500 esemplari.

Oggettivamente non è possibile "descrivere" questa musica perchè (e questo è il suo PREGIO ASSOLUTO) per capirla è necessario ascoltarla ... nel senso che non basta "immaginare" una musica prodotta da livelli sovrapposti di sorgenti sonore che interagiscono tra loro perchè sapientemente amalgamati da suoni di strumenti guida perfettamente in grado di indicare una strada percorribile (sia dal compositore che dall'eventuale ascoltatore).

Frammenti e flussi si intersecano così in una serie di drones inafferrabili ma intensissimi.

La lungimirante intelligenza di un talento quale Chris Cutler (Henry Cow) ha voluto produrre successivamente alcune raccolte dedicate alla musica di Steve Moore e grazie alla sua pura abnegazione e missione culturale è ststo possibile recuperare alcune sue registrazioni anche in un formato meno "deteriorabile" quale la vecchia audiocassetta.

Eppure, il fascino dell'indipendenza e della sostanziale sincerità ed onestà creativa sono tutte contenute proprio in quell'oggetto di ormai antica tradizione e che all'epoca era il SOLO MEZZO, per un artista SENZA apppoggi nel mercato tradizionale, con cui veicolare - sebbene limitatamente - il proprio audio-pensiero indipendente.

Imperdibile!

VAN DER GRAAF GENERATOR - World record (1976)



Ancora 5 brani figli dello stesso medesimo periodo creativo (ed infatti registrati solo pochi mesi dopo le sedute per l'album precedente STILL LIFE) ma con un evidente fattore di maggiore "rigidità" ed "immobilismo", infatti - a mio modesto avviso - "When she comes", "A place to survive" e "Masks" non risultano certo tra le interpretazioni più riuscite ... e sottolineo il termine "interpretazioni" dato che in altri momenti la potenza della band avrebbe saputo rileggere con molte più sfumature e colori gli stessi medesimi brani.

C'è un senso di "essenzialità" che riporta molto più direttamente al suono scarno del Peter Hammill di "Nadir's big chance" che non alle involuzioni rapsodiche del caotico sound-progressive classico del gruppo (basti pensare all'interminabile ingiustificato e stanco finale di "A place to survive" che a tutto fa riferimento tranne che ad una sola idea evolutiva del suono e dell'emozione, nel suo statico riproporre lo stesso riff cercando l'ipnosi di un elettro-groove che non c'è e non esiste proprio nel lessico musicale della band).

Anche l'immancabile "suite" del disco "Meurglys III" non decolla davvero e, benchè contenga uno dei testi più belli scritti da Peter Hammill, stenta a dare emozioni significative e sconvolgenti come quelle dei dischi precedenti.

La conclusiva "Wondering", scritta in coppia con Hugh Banton (esattamente come era stato per l'immortale "We go now" da PAWN HEARTS) offre occasione di qualche brivido grazie all'interpretazione vocale del malinconico testo (ironico nel contesto della imminente nuova e più duratura separazione dei musicisti della band).

WORLD RECORD è un disco che si può anche amare .. a patto di non aver ascoltato nulla della discografia precedente ad esso.

VAN DER GRAAF GENERATOR - Still life (1976)



STILL LIFE invece è un capolavoro.

In questo caso il lavoro si dipana in 5 lunghi brani con tutti gli ingredienti del suono del "generatore", solo che qui c'è una compattezza sonora che riporta più agli anni di "H to He" (1970), ad una band cioè assolutamente in equilibrio tra le pulsioni creative esistenziali del leader indiscusso Hammill e la completa maturità strumentale dei quattro compagni di viaggio.

E brani come "Pilgrims", "Still life" e "My Room" danno l'idea che l'equilibrio sia davvero compiuto mentre nei rimanenti due ("La Rossa" e "Childlike faith in Childhood's end") c'è un evidente ritorno alla vulcanica ed incontrastabile dimensione hammilliana del gruppo ... non che questo sia di per sè un difetto, ma la struttura dei brani si asciuga in maniera evidente, ed anticipa quella che sarà la fase successiva (cruda e muscolare) della band di fine decennio.

Parlando dei testi, invece, l'album è ancora più cupo e deprimente di quelli precedenti ed Hammill certo non fa nessuno sforzo per squarciare quel velo buio ed opprimente che avvolge le sue storie.
Però questo apparente limite in realtà permette all'autore pagine di lirismo inarrivabile e molto vicine alle intuizioni iniziali.

Forse il fatto che STILL LIFE sia a metà del guado della seconda vita dei Van Der Graaf consente di considerarlo comunque un nuovo capolavoro del gruppo (WORLD RECORD che lo seguirà di lì a poco avrà una selezione di brani non altrettanto equilibrati nei "colori").

VAN DER GRAAF GENERATOR - Godbluff (1975)



(Lo considerai una specie di "miracolo" all'epoca ... il generatore aveva inaspettatamente ripreso a produrre quell'energia di cui avevo così bisogno)

GODBLUFF è uno di quei dischi che chi ama i VDGG fa fatica a dimenticare indipendentemente dalla qualità intrinseca (a mio avviso notevole) del lavoro stesso.

GODBLUFF è infatti costituito da 4 lunghi brani oscuri, crudi, a volte violenti e a volte suadenti, disperati, gridati ed accerchiati dal solito buio caos dei sassofoni multipli e distorti di Jackson, dal drumming essenziale di Evans e dalle eccellenti tastiere visionarie di Banton.

Ma su tutti, ancora una volta QUELLA VOCE che grida la rassegnazione di "Undercover man", la profezia apocalittica di "Scorched earth", la cruda consapevolezza di "Arrow" e l'onirica "The Sleepwalkers".
Certo, può non piacere il modo clamorosamente drammatico con cui Peter Hammill propone le sue interpretazioni vocali, ma non può non essere evidente la straordinaria efficacia con cui racconta l'angoscia e le inquietudini del suo tempo.

E' stato il disco della (purtroppo breve) prima rinascita della band di Peter Hammill con David Jackson, Hugh Banton & Guy Evans, ma non per questo è stato un semplice (secondo) inizio, dal momento che la matura personalità compositiva presentata in questo album è semplicemente devastante ... proprio nell'accezione che ha reso UNICI i Van Der Graaf Generator nel panorama internazionale di quegli anni.