sabato 26 novembre 2022

Arturo Stalteri - "Visione dai Tarocchi" (1985 - 2022)

... il miope e provinciale panorama discografico italiano ha spesso impedito ai migliori talenti del nostro paese di esprimersi al meglio, anche cercando nuove strade creative, impervie, complesse e non inclini al facile ascolto ... insomma ... per decenni si è preferito investire su prodottii di facile presa e veloce rientro economico garantito e non sulla ricerca in diretta connessione con un significato più artistico e progressivo del linguaggio musicale ... il mondo globalizzato si è poi manifestato allineato a questa tendenza e sono state offerte via via sempre meno opportunità a chi aveva il coraggio di percorrere sentieri creativi complicati e densi concettualmente ... per fortuna adesso c'è chi ha il coraggio necessario per provare a colmare quella indecente lacuna culturale e in questo meritorio lavoro tornano alla luce anche opere rimaste nel cassetto o negli scaffali degli archivi di musicisti rimasti nell'ombra ... è comunque opportuno che io faccia presente che, nel caso del compositore in questione - Arturo Stalteri - è assolutamente necessario ricordare la sua capacità di rinnovarsi via via negli anni e di essere stato in grado di elaborare un percorso creativo sempre e comunque molto sensibile ed originale, indubbiamente permeato dalla sua indiscussa preparazione accademica, ma sempre gravido di intuizioni "parallele", provenienti da un continuo ed assiduo frequentare mondi sonori (anzi ... "alfabeti sonori" per dirla come uno dei suoi più riusciti programmi radiofonici di inizio anni 90) sicuramente di non facile presa, ma di assoluta soddisfazione e stimolo creativo per le orecchie curiose ... già due anni fa era stato pubblicato un lavoro a suo tempo caduto "vittima" della sopracitata miopia discografica ... "From Ajanta To Lhasa" raccoglieva infatti una serie di registrazioni del 1979 e che all'ascolto mi aveva ricordato l'intimo e profondo entusiasmo di quei giorni per la possibilità di ricercare libera-mente tra le note ... giorni che sembravano essere l'anticamera della libertà d'espressione più ampia possibile e che invece si sono rivelati progressivamente asfittici momenti di una possibilità negata (tanto dalle maggiori case discografiche italiane quanto - per motivi completamente differenti - dalle cosiddette etichette "indipendenti" ... salvo forse qualche nobile eccezione) ... quindi, ascoltare oggi "Visione dai tarocchi" concepito nel 1985 per uno spettacolo di teatro-danza della coreografa statunitense Barbara Schaefer è stato come stappare ed assaporare un prezioso vino d'annata, completo nelle sue suggestioni e sfumature del tempo trascorso ... un disco BELLISSIMO in cui si possono ritrovare gli ormai non più giovani sperimentatori sonori di quegli anni e le nuove generazioni che forse grazie a lavori come questo capiranno come l'omologazione dell'arte sia cosa perniciosa e foriera di pensieri propri di età cupe ed oscure (e guarda caso ... lasciamo perdere) ... disco essenziale ed estremamente significativo ... non consigliato ... ma obbligatorio averlo!

lunedì 9 maggio 2022

Van Der Graaf Generator - Padova 8 maggio 2022 - Teatro Geox

... maggio 2022 ... ennesimo appuntamento con "il generatore" ... finalmente dopo un'attesa lunga oltre due anni Peter Hammill Hugh Banton e Guy Evans si affacciano al proscenio del Teatro Geox nel loro assetto triangolare ormai consueto da molti anni ... per me l'emozione è sempre la stessa perchè in loro non vedo semplicemente dei musicisti impegnati nel loro lavoro ... piuttosto nelle loro figure che invecchiano inesorabilmente vedo comunque un ruolo essenziale ... il ruolo di "messaggeri" di un qualcosa che mi è appartenuto, mi appartiene e che sarà con me fino alla conclusione del percorso (mio e loro) ... non posso parlare per chiunque, ma chi ha vissuto quella stagione musicale dove i dischi dei Van Der Graaf Generator (e non solo, ovviamente) erano tra i primi posti delle classifiche di vendita dei negozi di dischi sa benissimo di quale background culturale fosse intriso il mondo giovanile e di quali messaggi quella musica sia stata prodiga verso una generazione sufficientemente lontana da una guerra e (forse ingenuamente) convinta che fosse giunto il momento di intraprendere un viaggio nel "sè" più profondo guidata dalla poesia di cantori coerentemente e meritoriamente interessati al suggerimento introspettivo che e non all'intrattenimento meramente ludico

... oggi come allora (nonostante le numerose decadi che hanno lasciato sul campo vittime illustri) gli strumenti sul palco ininsieme generano scariche elettrostatiche in direzione della platea (principalmente) di nostalgici consapevoli - a vario titolo e misura - di essere parte essenziale della trasmissione emotiva ... come è sempre stato il pubblico dei VDGG ... e questo Peter Hammill dimostra di saperlo benissimo dato che tra brano e brano comunica verbalmente con i presenti in maniera molto informale e quasi familiare ... e chi lo segue da anni è (o dovrebbe esserlo) consapevole della assoluta "purezza d'artista" che il 74enne di Ealing (vicino Londra) ha sempre rappresentato durante le numerosissime fasi della sua lunga carriera (con e senza i "generatori" d'intorno)

... anche questo attesissimo concerto inizia e scorre nella tetra penombra emotiva di suoni e testi che straordinariamente contrastano con la meravigliosa - ma essenziale - illuminotecnica sul palco ... (a mia memoria) passano non indolori "Interference Pattern", "Every Bloody Emperor" e la splendida "Over the hill" ... poi il primo tuffo nel profondo passato ... quella "Lemmings" che emerge dal consueto caotico inizio improvvisato alla meglio dai tre ultrasettantenni acrobati (senza rete) del caos ... a 12 anni questa canzone già permeava il mio spazio vitale, suggerendomi riflessioni esistenziali capaci di provocarmi una forte inquietudine a loro volta però in grado di regalarmi una altrettanto forte consapevolezza emotiva ... e quindi mi chiedo, possibile che a distanza di oltre 50 anni l'impatto sia lo stesso? (se non addirittura più forte, considerando gli anni e le esperienze nel frattempo vissute?) ... negli anni io ho vissuto sempre intensamente QUELLA musica e guardando ancora una volta Hammill suonare questo brano feroce e sconnesso a pochissimi metri da me (con la sua consueta imprecisione e attitudine REALMENTE PUNK) comprendo come quella particolare stagione musicale sia potuta esistere anche grazie ad un pubblico che affidava le proprie emozioni ai cantori dell'inquietudine e delle metafore esistenziali per abbeverarsi alla loro fonte, rifiutando culturalmente la necessità della omologazione e del mero divertimento tribale generalizzato (oggi forse si direbbe più correttamente "globalizzato")

... "Alfa Berlina" e la struggente, intensissima "Go" rappresentano le due facce del generatore contemporaneo che magicamente comprendono la "cruditè" del periodo "Vital" e la delicatezza del solismo Hammilliano declinate tra le scariche elettrostatiche dell'umano pericoloso triangolo sonico sul palco ... "La Rossa" e soprattutto "A Louse Is Not A Home" (teoricamente un brano del solo Hammill originariamente incluso nel suo terzo album solista "The Silent Corner And The Empty Stage" del 1974, ma - come ricordato dallo stesso Hammill sul palco - già precedentemente suonato dal gruppo nelle ultime date italiane della prima metà degli anni settanta) fanno virare ancora una volta le emozioni in direzione "nostalgia" della stagione d'oro della band (ammesso che ce ne sia stata davvero "una" in particolare) e la tensione dell'atmosfera inizia a farsi piuttosto evidente, segno che l'intensità della forza elettrostatica sta per raggiungere il suo culmine ... "Room 1210" sembra invece andare in una direzione opposta ma è solo un'impressione perchè una gloriosa versione di "Man-Erg" raggiunge quello zenith che inevitabilmente era in attesa di manifestarsi ... per questo leggendario brano del VDGG 1971 la reazione del pubblico intorno è stata quella di una "hit" di classifica di vendita ... il brano che tutti sembravano aspettare ... è stato il momento in cui ho visto più telefonini accendersi intorno a me, segno che più di qualcuno aveva deciso di portarsi a casa un "pezzo", un ricordino visivo di quel momento così unico e forse così tanto atteso ... i nonni dal palco salutano e se ne vanno per qualche minuto ... non ci vuole molto perchè rientrino sul palco pronti per l'unico bis in programma ... dalla platea si sentono le richieste più improbabili ... "Killer"! ... "Lost"! ... "Undercover man"! ... "Still Life"! ... al che, guardando in basso verso l'accordatore della pedaliera della chitarra, un Hammill stentoreo grida "HO SENTITO !!!" suscitando l'ennesima percezione di sua sincera interazione con il pubblico

... nel silenzio dell'attesa per quale sarebbe stato l'ultimo brano ha iniziato ad insinuarsi la inconfondibile nota di basso profondo dell'organo di Hugh Banton che introduce uno dei brani più tristi e "sanguinacuore" del repertorio del generatore ... quella "Still life" che ha saputo regalare un ennesimo momento di intenso romantico furore capace di chiudere più che degnamente una meravigliosa serata ... mentre uscivo dal Teatro Geox accompagnato da una discretissima musica d'ambiente non sentivo molti commenti tra il pubblico segno evidente che sarebbe stato necessario per tutti un attimo di pausa prima di re-immergersi nel mondo di fuori, un mondo ed una realtà così sicuri di poter fare a meno del musica introspettiva di gruppi come il generatore (ed infatti i risultati si vedono quotidianamente) ...

giovedì 3 febbraio 2022

TITO SCHIPA JR. - "Orfeo 9" (1973)















qualche giorno fa il mio abituale "suggeritore" in/volontario d'ascolti preferito (il fratello sonico Andrea) ha postato sulla sua pagina questo reperto davvero storico ... e mi sono subito mi ricordato che, allora tredicenne e per qualche oscuro motivo, mi sono davvero ritrovato davanti alla televisione di casa (rigorosamente in bianco e nero) ad assistere a qualche scena di questo "non ben identificato" programma visionario e che, con curiosità maldestra, avevo annotato sul mio diario di post-adolescente il nome di "Tipo Schioppa" per un eventuale approfondimento futuro. In tempi non globalizzati però era difficile avere facilmente informazioni da reperire velocemente e sicuramente sono stato immediatamente distratto dalla straordinaria quantità e qualità dei suoni e delle idee musicali che provenivano d'altrove, (anche se mi era sempre rimasto impresso quel bizzarro nome - purtroppo storpiato - scritto sul mio diario).

Proprio quel ricordo maldestro mi ha portato, successivamente ed in tempi più recenti, a riascoltare il doppio disco di questa italica "opera rock" rimanendone molto colpito più dall'aspetto "antropologico" che da quello prettamente artistico (più o meno lo stesso effetto che mi ha fatto riascoltare "MU" di Richard Cocciante (!) che all'epoca, nonostante l'inflazionata e psichedelica sua copertina campeggiasse nelle vetrine dei negozi di dischi locali, non avevo ovviamente provveduto ad acquistare).

A distanza di tutti questi anni (50!) e considerate le esperienze d'ascolto nel mondo dei suoni intercorse nello stesso arco di tempo, la visione dell'intera operina mi ha realmente incuriosito e - per certi versi - perfino colpito per alcune sue caratteristiche che definire "visionarie" potrebbe sembrare eccessivo, ma che a conti fatti illuminano con una forza poderosa la nicchia creativa post-cattolica del movimento (pop)progressivo di inizio anni settanta italico.

"Avanguardia da parrocchia" (absit iniuria verbis) avrei pensato in maniera molto manichea qualche anno fa, ma ripensandoci invece mi sono sentito molto "solidale" con lo sforzo mastodontico messo in opera da Tito Schipa ed il suo gruppo di coorti per dare credibilità ad un libretto d'opera moderna in un'Italia ancora permeata dalla cultura post-bellica e solo all'inizio del suo reale ricongiungimento con l'arte giovanile che da anni ormai si stava affermando oltre i nostri confini.

Al netto di alcune scelte ingenue e grossolane, la vertigine discendente dell'esperienza del qui presente Orfeo errante è gravida di riferimenti al mondo classico che vengono via via modellati e riadattati al "nuovo linguaggio" emergente (altrove) con l'esplicito intento di provare a creare suggestioni in grado di ridefinire la nuova cultura giovanile italica portando al suo interno una apparente sfrontatezza concettuale (la psichedelia, le droghe, il bad behaviour, il protesta contro il mondo dei "matusa") ed una più consolidata tradizione narrativa "da operetta" pop.

Il risultato ottenuto da questa impostazione porta lo spettatore (contemporaneo) ad una visione in modalità "roller coaster", continue montagne russe di retoriche metafore e tentativi di colta manifestazione post-cattolica del superamento di un "Dio" ben amministrato da un Vaticano particolarmente potente nelle commissioni di censura artistiche allora contemporanee. La storia di per sè potrebbe sembrare davvero "poca cosa" e la sua trasposizione scenica/cinematografica potrebbe risultare ancora meno interessante se non fosse per numerosi sprazzi di ingegno creativo che - sebbene oggi possano sembrare ingenui e banali (troppo facile affermarlo adesso pero!) - in realtà riescono a trasmettere con efficacia il messaggio desiderato.

Sorprende (fino ad un certo punto, ovviamente) la presenza di Loredana Bertè nel "coro greco" che accompagna la narrazione della storia e stupisce (sempre fino ad un certo punto) la performance di un Renato Zero ancora incendiario ed efficacemente nella parte, prima di diventare icona parallela di una gaudente generazione di "ribelli senza impegno culturale".

Una visione consigliatissima a cui sarebbe interessante aggiungere una "discussione post proiezione" contemporanea ... ne sentiremmo davvero delle belle.

mercoledì 26 gennaio 2022

SNAKES ALIVE - "Snakes alive" (1975)


























... il "mondo musicale downunder" è per me da sempre motivo di misteriosa ricerca, ed è così dai tempi degli allora sconosciutissimi Split Enz, da quando le prime "produzioni aussie" riuscivano ad avere mercato nella vecchia Europa (una sempre presente aspirazione per quella generazioni di artisti nati e cresciuti nella lontana Oceania) ... ovviamente non tutti i sonici figli australi sono riusciti ad intraprendere un qualsiasi percorso di fama e fortuna qui in Europa nonostante anche la qualità eccellente di alcune proposte.

E' sicuramente il caso di SNAKES ALIVE, un sestetto di Sydney interessato - tra il 1974 ed il 1975 - ad intraprendere un percorso creativo ambizioso, in grado di modellare e plasmare suggestioni progressive integrandole con l'uso creativo della tromba, uno strumento "sonicamente" in apparenza molto lontano dalla epica retorica del suono "progressivo tradizionale" (un ossimoro, quest'ultimo, che meriterebbe da solo una digressione che mi riservo di portare in caverna - o magari anche a MusicaContinua - in un prossimo futuro). Il mio primo ascolto di questo materiale l'ho potuto fare grazie ad una audiocassetta generosamente regalatami ai primi degli anni 80 da un cultore di musiche sconosciute che forse aveva avuto l'opportunità di avere tra le mani o di conoscere qualche privilegiato possessore di una delle 50 copie autoprodotte del vinile originale nel 1975. Mi ricordo benissimo però che la prima impressione avuta era stata quella di una band coraggiosa ed ingenua allo stesso tempo, ambiziosa (storicizzando e contestualizzando) nel cercare un linguaggio proprio ed originale ma allo stesso tempo spesso un po' naif nelle scelte musicali ottenute.

Negli anni poi ho continuato ad ascoltare saltuariamente questo album imprigionato nella ormai decrepita audiocassetta BASF, scoprendo ogni volta dei "possibili" riferimenti e suggestioni musicali ai quali i sei giovani ragazzi del Nuovo Galles del Sud possano essersi ispirati.

In effetti però, in questo saltuario ritorno all'ascolto (dopo una adeguata digitalizzazione), ho via via aumentato la mia considerazione per questo combo soprattutto confrontando il loro lavoro prodotto alla lontana "periferia dell'impero" mid 70's con quanto veniva invece considerato meritevole nel vecchio continente ... e come sempre, ascoltando con la dovuta attenzione, si scoprono dettagli che "in periferia" fanno la differenza rispetto al "centro città", soprattutto quando sono evidentemente inseriti con spericolata attitudine "fuori contesto".

Un esempio di questa prassi è l'uso spericolato della tromba di Colin Campbell e del flauto del cantante Jonas Thomas, spesso impegnati a sottolineare alcune armonie generando un "effetto" vagamente rockjazz che ricorda da vicino alcune pagine degli altrettanto sottostimati IF (pur se attivi in terra d'albione) ma in particolare il flauto risulta molto interessante perchè in brani come "Theme for Myra" (dopo un inizio dall'andamento ritmico vagamente afro-rock) non si prende solo la responsabilità di assumere un ruolo "solista" a tutti gli effetti, ma rimane presente anche nel passaggio strumentali "full band" rimanendo apparentemente "fuori ruolo", ovvero accompagnando il suono generale con soffi, respiri e "andersoniani gesti" liberamente prodotti e senza logici riferimenti ... e - a proposito di riferimenti vari - c'è da sottolineare anche come nella versione originale e completa di "Snakes Alive" (presente nelle ultime ristampe prodotte) compaiano indiscutibili "andersoniane vocalità" (benchè già ormai un po' lontani nello stesso progetto dedicato all'agronomo britannico in Europa) che si affiancano alle cantate molto vicine alle migliori pagine di John Hodkinson),

L'Hammond saturato e gravido di leslie di Alex (Oleg) Ditrich è una forza continua e costante del groove in costante cambiamento del sound del gruppo, a volte ricordando il Gregg Rolie più obliquo dei primi Santana o il Dave Greenslade del suo gruppo autonomo post-Colosseum, riuscendo anche ad essere particolarmente convincente con il suo piano elettrico spesso volutamente "sapientemente colorato" elettronicamente.

Altra menzione particolare merita la chitarra di Boris Peric che invece ha un ruolo decisamente interessante nel suo accompagnamento spesso spigoloso e nei suoi solo che riportano frequentemente (ancora una volta) ai migliori exploit solistici dell'eccellente Terry Smith ed i suoi IF.


























Grazie alle più recenti ristampe a disposizione ho potuto apprezzare con maggiore completezza sonora il lavoro di SNAKES ALIVE e l'ultima (credo) edizione di questa eccellente testimonianza comprende anche la suite "Charred Ducks" attribuita alla prima fase creativa di questo gruppo, quando ancora si chiamava Bedtime Story, una opportuna integrazione d'archivio per dimostrare quanto chiara (ed interessante) fosse la prospettiva sonora della band fin dalle sue stesse prime intenzioni.

mercoledì 19 gennaio 2022

GONG (?) - "Piazza Navona, Roma 27.06.1975" (1975)

























... che fatica riuscire a mantenere "in linea" la coerenza della poetica musicale dei GONG senza la presenza del loro leader e fondatore Daevid Allen ... Steve Hillage che se n'era preso carico all'indomani della uscita dal combo del visionario fondatore ha retto per poco tempo questo ruolo ... una comprensibile situazione di inadeguatezza non certo dovuta alle capacità musicali del brillante chitarrista di Chingford (East London, giusto ai confini con la foresta di Epping altrimenti nota nel mondo del progressivo) quanto piuttosto alla insostituibile personalità di Allen (sul palco e fuori)

... ed infatti nel repertorio proposto in Piazza Navona a farla da padrona sono i brani che di fatto rappresentano la quasi totalità di "Fish Rising" primo disco "solo" di Hillage (di fatto pubblicato solo due mesi prima del concerto romano) ... quindi, se si escludono alcune bizzarrie condita dall'aroma "oppiopsichedelico" dello spirito originale dei Gong, questo in realtà è stato un concerto "venduto" come una performance dei Gong, ma che in realtà altro non era se non un tour promozionale del repertorio del solo chitarrista ... d'altronde è utile ricordare che quando Allen decise di abbandonare l'astronave che lui stesso aveva creato, molti contratti per concerti erano già stati concordati e stipulati e sarebbe stato davvero uno spreco farli saltare (dato che già qualche tempo prima la band era stata costretta a ritardare un tour per problemi di varia natura amministrativa e legale) ...

una delle ulteriori sorprese di questo insolito concerto comunque è la presenza di Brian Davison (ex Nice e ex Refugees) alla batteria ...il concerto romano in realtà sarebbe stato il suo penultimo suo con questa formazione "Gong-non-Gong" (la definizione "Paragong" non può essere usata qui dato che era stata già utilizzata per una ulteriore formazione momentanea del combo all'indomani della prima defezione di Allen dal gruppo per motivi personali avvenuta nel tra il febraio ed il maggio del 1973) ... Davison infatti se ne sarebbe andato dal gruppo per delle evidenti "buone ragioni ("irreconcilable musical and personal differences")

Ma la seppur "eccellente stanchezza" di questo concerto è facilmente percepibile ad un ascolto attento e soprattutto da chi è abituato a conoscere la "vera sostanza" del suono Gong e non basta la presenza di Didier Malherbe o gli innumerevoli "glissando" per replicare lo spirito vitale del visionario Allen

Posso però comprendere che il pubblico (accorso peraltro numeroso anche per vedere all'opera Robert Wyatt e gli Henry Cow quella stessa sera) sia rimasto comunque affascinato dalle "sballo-sonorità" proposte, ma a distanza di tempo e a mente lucida è indiscutibile l'improponibile paragone con l'astronave madre, fermo restando comunque il rispetto per l'indubbia (necessaria) professionalità di Hillage & C. nel cercare di non snaturare troppo il tutto per non deludere le aspettative degli appassionati presenti ...

sabato 15 gennaio 2022

VV.AA - "Would you like a snack?" (2021)


























... questo è il classico "tributo a Zappa" che proviene dalla "base", da musicisti pressochè sconosciuti a livello internazionale, ma che con spavalderia ed incoscienza si cimentano nella difficile opera di elaborare qualsiasi cosa di originale sulla musica del Maestro.

Ma in QUESTO caso l'incoscienza è davvero ai limiti della "psicopatologia zappiana" perchè scegliere di fare delle cover della musica di 200 Motels è operazione ai limiti della ragionevolezza, ma dimostra sul campo che l'amore per Zappa spinge alcuni musicisti suoi affezionati cultori a gesti musicalmente inconsulti ... solo per questo coraggio di partenza questo progetto (curato comunque da Andy Greenaway che nel mondo della Zappianèrie internazionale è garanzia di competenza) merita una ammirata recensione.

La mia passione per l'originale zapposo è notoriamente smodata per cui mi sono divertito ad ascoltare la straordinaria quantità di riferimenti coerenti con gli originali e soprattutto di notare come alcune "sfumature" (tipiche dell'ascolto "experienced") siano state messe in evidenza nelle tante performances contenute in questo album.

Il fatto che siano state selezionate ed elaborate anche delle composizioni prettamente orchestrali non fa altro che aumentare l'ammirazione per questa avventura indipendente ospitata nel bizzarro catalogo della Cordelia Records).

Non è infatti semplice orchestrare i brani editi, figuriamoci quelli inediti e sconosciuti ai meno avvezzi all'ascolto del guazzabuglio filmico di FZ ("What's the name of your group?").E anche se a volte le scelte armoniche attuate qui per ricostruire i brani non sono del tutto "coerenti" con la partitura originale quello che conta è che lo "spirito visionario" rimane inalterato e per questo ancor più celebrato.

Un disco davvero SPLENDIDO che dimostra una volta di più che Zappa aveva ragione quando recitava:
"If you're out there and you're cute, maybe you're beautiful. I just want to tell you somethin' — there's more of us UGLY MOTHERFUCKERS than you are, hey-y, so watch out."

venerdì 14 gennaio 2022

KING CRIMSON - "Music is our friend - Tapers are not (but ...)" - 2021























... meno 7 alla fine ... e si sente.

Non che la corte sonora sia particolarmente appesantita o dismessa, ma l'impressione all'ascolto è quella della consapevolezza definitiva (soprattutto dei musicisti coinvolti) che ... "è stato bello, ma ora anche basta!".

E così concerti di quest'ultima stagione cremisi (quella "pandemica", per intenderci) non sono più come quelli dei tour precedenti ... e questo traspare sia nel bene che nel male ... ovvero ... al repertorio proposto sono state aggiunte delle interessanti sfumature interpretative non sempre presenti nelle performances degli anni precedenti, ma allo stesso tempo la scelta dei brani da suonare è decisamente meno avventurosa e concede molto poco alle inaspettate potenziali nostalgie del pubblico di anni orsono (per capirci la "Lizard Suite" è sparita completamente dalle setlist e con essa alcune delle proposte più propriamente "di omaggio" alla grandissima carriera cinquantennale del combo).

Sono praticamente tornate nell'oblio live anche pagine straordinarie early '70s come "Cirkus", "The Letter", "Sailor's tale" e "Easy Money" ma rimangono alcuni "grandi classici", ormai ineludibili emozioni da rinnovare a beneficio delle platee planetarie ("Red", "Schizoid man" (ma NON sempre!), "In the court", "Epitaph", "Larks' tongues in aspic", "Pictures of a city", "Islands" e "Starless"), ed alcuni brani che via via si sono meglio adattati al "pensiero sonoro" di questa formazione (tipo "Moonchild", "One more red nightmare", "Level five" e la sempre spettacolare "Indiscipline"). Sorprendentemente viene riservato molto meno spazio alle evoluzioni dei tre batteristi in prima linea (ma questo può anche essere giustificato dalla necessità di ridurre al minimo il tempo di permanenza sul palco del gruppo su specifica richiesta dei promoter e delle organizzazioni locali).

L'unica VERA novità ascoltabile qui in "full glory" (ed eseguita ben "due volte e mezzo") è la nuova versione di "Peace - An End" riarrangiata con l'ausilio di nuove parti di pianoforte e tastiere ad integrare le precedenti versioni "essenziali ed asciutte" per sola chitarra e voce di Jakko.

Alla resa dei conti, dopo poco più di due ore di concerto, l'unica riflessione possibile rimane sempre la stessa ... non importa di quanto "generosa" sia stata la singola performance, ma importa invece essere riusciti a testimoniare con la propria presenza quell'evento straordinario che nei passati cinquant'anni è sempre stato un concerto dei King Crimson (quando possibile) ... e dato che probabilmente non ce ne saranno più, sarà meglio ricordarselo sempre!

Peccato per chi non c'era.

venerdì 7 gennaio 2022

GONG - "Live à Longlaville 27/10/1974" (1974 - 2021)













 

 

 

 

 

 

... Ottobre 1974 è un mese cruciale per la "comune cosmica" ... ma, considerati anche i mesi precedenti appena trascorsi, sicuramente l'equilibrio all'interno del circo Alleniano è ormai saltato inesorabilmente (già in luglio Gilli Smyth - dopo una complicata irruzione della polizia antidroga nella residenza della "comune" a Witney - abbandona la ciurma sostituita dalla fidanzata di Hillage Miquette Giraudy, poco dopo anche Pierre Moerlen abbandona definitivamente la band per essere sostituito solo qualche settimana dopo da Laurie Allan e perfino lo stesso Daevid Allen si ritira momentaneamente alle Baleari abbandonando di fatto la guida del gruppo, affidandola ad un riluttante Hillage - egli stesso nel frattempo super impegnato a registrare il suo primo disco solista "Fish Rising" e a collaborare alla realizzazione live di "Tubular Bells" di Mike Oldfield)

... ma tornando al mese in questione, il 4 ottobre 1974 infatti viene pubblicato con grandissima aspettativa mondiale il terzo capitolo della trilogia Gong ovvero "You", ma solo qualche giorno dopo tutti i dischi del catalogo della band vengono ritirati dal mercato a causa di un contenzioso in atto tra la Virgin Records e la Byg Records ... problemi contrattuali sicuramente dovuti dalla "relativa" attenzione legale alle procedure d'affari ... solo quattro giorni dopo la Virgin sblocca l'ingiunzione legale e rimette in distribuzione gli album, ma deve attendere ancora qualche giorno prima di poter procedere alla effettiva vendita del catalogo perchè è prevista la discussione in tribunale della causa il giorno 11 ottobre ... in questa caotica atmosfera professionale, dopo il ritorno "contrattualmente forzato" di Allen, il gruppo riparte per un tour in terra francese, ma l'atmosfera non è più quella di un tempo e la band sembra un po' l'ombra di sè stessa ... la lunga concessione ad Hillage di presentare l'intera sua "Lunar Musick Suite" (poi contenuta in "Fish Rising") dimostra che gli equilibri creativi all'interno della situazione sono ormai davvero precari ... la performance di Longlaville del 27 ottobre qui documentata offre proprio questo sguardo malinconico (per gli appassionati ascoltatori delle bizzarrie dei PhP e Co) con una esibizione fortunatamente registrata decentemente ma non destinata a celebrare adeguatamente l'importanza dei GONG nell'universo musicale di metà anni settanta (ed oltre)

... certo, si ascolta sempre volentieri, ma la giostra qui "gira a vuoto" ...

IO MONADE STANCA - "The impossible story of Bubu" (2009)


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

... a volte ci sono stagioni in cui, come fuochi sulla cima delle montagne degli Ered Nimrais (o sulle colline a nord di questi, a seconda della individuale prospettiva narrativa), in Italia nascono fenomeni musicali quasi fossero a difesa della creatività nazionale ... Canale (nel Cuneese in Piemonte) in questo senso ha "acceso" il suo fuoco già qualche tempo fa (grazie anche all'esempio dei "vicini di casa" Marlene Kuntz) e questo trio di musicisti spigolosi, senza una particolare propensione ai compromessi e "alla luce", e dal 2008 hanno dato prova di un solido talento sonico che, benchè derivativo da suggestioni math, ha raggiunto una considerevole maturità negli anni.


Ma già nel 2009 con "The impossible story of Bubu" hanno prodotto un lavoro davvero meritevole di menzione anche internazionale (se solo la "scena italiana" avesse avuto il potere di proporre un proprio repertorio al di fuori dei partrii confini ... annoso problema). ma anche sul nostro stesso territorio nazionale - spesso - le proposte valide (quasi sempre prodotte in provincia o nella "provincia della provincia") rimangono confinate ed isolate perdendo via via il proprio potere creativo esplosivo che - se adeguatamente alimentato - potrebbe fare da detonatore ad una più ampia e valida scena artistica musicale ... peccato che in Italia non esista un Gandalf capace di indurre l'accensione di tutti i fuochi contemporaneamente per una vera ed efficace difesa dell'italica Minas Tirith creativa ...

giovedì 23 dicembre 2021

KING CRIMSON "Music is our friend" - 2021

... apparentemente doveva essere l'ennesimo "live" della bestia a sette teste ... il solito filler da discografia bulimica senza un reale senso artistico o creativo ... ed invece (per l'ennesima volta) King Crimson accende una luce nell'anima del vecchio appassionato e forse raggiunge anche il cuore di qualche novello ascoltatore vergine delle soniche antiche incursioni di corte (qualsiasi corte). L'energia che si sprigiona da queste registrazioni è terribilmente potente e - nonostante un missaggio (a mio modestissimo parere) anche rivedibile - pervade la stanza d'ascolto quasi come l'uragano Ida che ha accompagnato la band in terra d'america in quei giorni del 2021.

E' davvero impressionante sentire le nuove sfumature offerte dal combo (il pianoforte Tippettiano di Jeremy Stacey merita il primo premio per il nuovo carattere ed il valore aggiunto ai brani interessati) ... tutti i musicisti sembrano in uno stato di grazia che contrasta palesemente con le condizioni paranoiche in termini di sicurezza Covid-19 in cui il tour nordamericano è stato portato avanti ... sulla qualità delle performances avevamo già avuto qualche assaggio dagli immancabili trasgressori delle regole etiche imposte dal monarca cremisi, ma con queste registrazioni adeguatamente riprodotte, questa condizione interpretativa "eccezionale" emerge in tutta la sua potenza (Tony Levin in particolare appare finalmente il gigante che è sempre stato) ... l'aspetto che mi colpisce maggiormente di queste registrazioni è che negli spazi concessi al "caos organizzato" i musicisti proprio non si risparmiano sonicamente e sembra sia stato stabilito che questa libertà d'espressione sia davvero la cifra di "fine mandato" di questa bestia sonora ... il che offre ancora più chiaramente la visione di una prospettiva collettiva finale concessa da sua maestà per una completa e definitiva espansione del suono generale ... in realtà è anche la continua attività di questi musicisti (che sono insieme dal 2014 ... particolare da NON dimenticare questo) ha permesso loro di metabolizzare perfettamente il materiale suonato e perfino di aggiungerci le proprie peculiari sfumature individuali a consolidamento della massa sonora così prodotta.

Non sono sicurissimo che il pubblico presente a questi concerti qui documentati abbia potuto apprezzare appieno tutte queste sfumature (non dimentico mai che la gioia di vedere questi musicisti suonare queste pagine epiche di una preziosa stagione creativa perduta è talmente intensa che "costringe" a comprimere il giudizio in tempo reale sulla musica, è un'esperienza che travolge e lascia perfino intimoriti a volte) e quindi mai una pubblicazione ufficiale come questa, con questo materiale fu più indispensabile storicamente per un'analisi prettamente musicale della dimensione finale di corte. Un epilogo straordinario di un viaggio straordinario proveniente da una dimensione creativa musicale straordinaria e rinnovata negli anni con straordinaria intelligenza e capacità di evoluzione culturale.

MUSIC IS OUR FRIEND è un disco INDISPENSABILE (al pari dei molti altri dei King Crimson, peraltro)

martedì 30 novembre 2021

ARTURO STALTERI "Spirit of the past" (2021)


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

... quando Arturo mi ha parlato di questo suo nuovo disco sono rimasto colpito dalla sua narrazione che lasciava trasparire il dubbio che si trattasse di un'operazione percepibile come "troppo differente" dai suoi ultimi lavori pubblicati ... la presenza di brani cantati e la selezione proposta - sostanzialmente una serie di "covers" (a vario titolo) - sembrava poter presagire una qualche ardita svolta nella sua dimensione artistica. 

Questo suo argomentare mi aveva un po' stupito e al tempo stesso incuriosito (anche perchè recentemente ero stato particolarmente colpito dalla pubblicazione di "From Ajanta to Lhasa", suo materiale "d'archivio profondo" che mi aveva riportato ad atmosfere legate ad una creatività che - a mio modesto avviso - meriterebbe di essere recuperata e riproposta per la evidente presenza dell'elemento sperimentale e del piacere e la gioia di elaborare e vivere i suoni, aspetti tipici di un tempo che sembra ormai perduto). 

Ascoltando invece questo "Spirit of the past" sono stato rapito dalla solida coerenza del suono generale e del percorso narrativo tra traccia e traccia ... e - guarda caso - il titolo dell'album scelto in realtà va proprio nella direzione da me auspicata di quel recupero (benchè attualizzato) di quello "spirito" di quell'essenza poetica che hanno spinto una generazione (la mia) a credere nel potere comunicativo dell'arte (a prescindere dalla potenzialità commerciale o meno). 

L'algido pianoforte di Arturo la fa sempre da padrone in tutto l'album, e in alcune delle riproposizioni scelte ("Moonshadow" di Cat Stevens, la meravigliosa "North Star / Étoile Polaire" di Philip Glass o l'immancabile riferimento rollingstoniano "Ruby Tuesday") acquisisce ancora più espressività. Lo stesso vale anche per le sue stesse composizioni qui rivisitate (la sospesa ed eterea "The Grey Havens' Lullaby", il suo struggente "Notturno in Do Minore" ad esempio, che vede anche la partecipazione di Fabio Liberatori alle tastiere elettroniche o la sognante "The quiet road to the sea" in collaborazione con Federica Torbidoni al flauto). 

Anche l'unico vero "inedito" ("Passione d'amore") è un eccellente e romantico affresco pianistico figlio delle ultime prospettive creative dell'autore, come anche il tributo a Chopin ("Etude in A flat major op 25 no.1") racconta di una sempre più solida padronanze dello strumento cardine della sua esperienza artistica). 

Ma la vera sorpresa - per me - è stato ascoltare un brano che avevo "dimenticato" di Antonello Venditti del 1974, straordinariamente reinterpretato in una futuribile atmosfera sospesa con le voci di Stalteri e dello stesso Venditti a raccontare una storia che molti di noi avevano sicuramente collocato nel cassetto dei ricordi. Una sorpresa che davvero conferisce a questo disco il valore aggiunto della consapevole solidità del proprio percorso passato, fatto anche di canzoni e di riflessioni esistenziali (nel 74, certo, ma assolutamente valido anche oltre quarant'anni dopo). 

Anche la versione del terzo movimento di "Sonanze" di Roberto Cacciapaglia (che anch'io, modestamente, ritengo uno dei più interessanti lavori della musica sperimentale italiana) sorprende per la delicata interazione tra il pianoforte e le insinuazioni elettroniche dello stesso Cacciapaglia. 

A Grazia di Michele il ruolo di ricantare (benissimo) un suo brano del 1978 ("Canzone per Daria") tratto dal primo album della cantautrice romana ("Cliche" 1978) al quale lo stesso Stalteri aveva collaborato in veste di produttore artistico. 

Che poi Arturo avesse deciso di inserire una malinconica versione al pianoforte di "Ma il cielo è sempre più blu" di Rino Gaetano mi è sembrata una doverosa ed inevitabile necessità dato il suo coinvolgimento nella stessa realizzazione originale del 1975. 

Alla fine dell'ascolto (anzi, di più ascolti ... cosa rara di questi tempi per me) nel mio piccolo posso dire che un disco come questo è un'opera di testimonianza sincera e sentita, una dichiarazione d'amore per la musica nella sua molteplicità ... e per poterla realizzare così compiutamente bisogna davvero amarla (anche nonostante i tempi che corrono). 

Complimenti davvero!

lunedì 20 settembre 2021

MANNA/MIRAGE - "Man out of time" (2021)

 













 

... nuovo eccellente capitolo della discografia a nome Manna/Mirage, voluto, concepito e prodotto da Dave Newhouse. E più prosegue l'esperimento "solista" di Manna/Mirage dell'ex-Muffins e più le cose si fanno interessanti e ricche di motivi di puro entusiasmo ... disco dopo disco una sempre più solida creatività conferma e fa progredire la qualità del materiale proposto. 

Ora, posso anche ammettere che sia più che probabile che la mia naturale affinità con "certe" atmosfere - a me particolarmente "familiari" - mi facilitino nell'indugiare in sinceri complimenti per l'operato di Newhouse (e dei suoi collaboratori), ma qualunque fosse invece l'approccio all'ascolto di questa musica è inevitabile riconoscere in  Newhouse la capacità di mantenere sempre vivo ed in movimento progressivo un determinato linguaggio musicale già ben identificato nelle mille nuances di un jazz elettrico coniugato con un rock di ricerca e difficilmente imprigionabile nei suoi stessi confini.

"Man out of time" probabilmente è una condizione comune ad una generazione di artisti di fine '900 che oggi non trovano più interesse nelle nuove generazioni orientate verso musiche "senza impegno" e "senza una storia importante" ... ed è per questo che la testimonianza di questo eccellente lavoro diventa secondo me prezioso momento identitario per i sopravvissuti alla rivoluzione digitale della omologazione della musica d'ascolto ... identitario per chi crede ancora nel potere rivoluzionario del suono e dell'approccio ai suoni stessi ... 

per me, insomma ... 

GRAZIE DAVE!

sabato 11 settembre 2021

MASSIMO GIUNTOLI - "F.I.T" (2021)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

... conosco la musica di Massimo Giuntoli da parecchio tempo (e lui personalmente da un po' meno tempo) ma ogni volta che mi arriva voce di un suo nuovo progetto sono sempre sicuro che si tratti di qualcosa di "speciale" ... non lo scrivo qui per piaggeria (sarebbe troppo facile) ma quando mi trovo al cospetto sonoro di un suo lavoro provo una duplice sensazione di ammirazione e rabbia ... ammirazione perchè credo che Massimo sia un vero talento musicale meritevole delle migliori attenzione della "musica intelligente" planetaria ... rabbia perchè non gli è stato ancora riconosciuto a livello internazionale lo status che merita ... capisco che il suo lavoro sia talmente ricco e colto da non arrendersi ad una routine commerciale per accalappiare pubblico "ascolta e getta", ma il mio personale rammarico principale è che sono convinto che - per la legge dei grandi numeri - se questa musica fosse adeguatamente proposta, fosse finalmente suonata davanti ad un pubblico e fosse quindi ascoltata, un considerevole numero di appassionati di musiche creative e senza compromessi scoprirebbero e sicuramente sposerebbero la "missione" culturale del suo autore, magari acquistando proprio "F.I.T" (o anche tutti i lavori precedenti peraltro) contribuendo a mantenere attivo questo straordinario laboratorio di musiche parallele ma sostanziali (che qui volutamente non descrivo nei dettagli perchè mi auguro che qualcuno voglia scoprirle ricercandole dove possibile

... chapeau Massimo, chapeau!!"

lunedì 14 dicembre 2020

FRANK ZAPPA / MOTHERS OF INVENTION - Milano 1974

 











 
 
 
 
 
 
 
... immagino che - per la legge dei grandi numeri - all'epoca qualcuno sarà uscito dal velodromo Vigorelli non soddisfatto del concerto appena visto ... è un'eventualità che specie con lo Zappa mid 70's è abbastanza frequente. 
 
Io non sono certo la persona più adatta a giudicare quella specie di "ortodossia" zappiana che prevedeva la svolta post Mothers un "tradimento" della missione freakoide dell'anarchico Frank ... non ho mai condiviso questo integralismo zapposo ed in questo modo mi sono potuto godere fino in fondo lo straordinario percorso creativo del musicista di Baltimora ... però è davvero incredibile essere insoddisfatti di un concerto la cui scaletta è stata:
01 - Tush Tush Tush
02 - Stinkfoot
03 - Inca Roads
04 - Florentine Pogen
05 - Approximate
(attenzione, versione COMPLETA con il finale dopo la "unbridled buffoonery")
06 - Cosmic Debris
07 - RDNZL
08 - Village Of The Sun
09 - Echidna's Arf (of you)
10 - Penguin On Bondage
11 - T'Mershi Duween
12 - Dog Breath/Uncle Meat
13 - Camarillo Brillo
14 - Pygmy Twylyte
15 - Room Service
 
... gli appassionati di quella fase creativa zappiana allora in piena espansione che hanno potuto assistere a quel concerto ne saranno stati travolti visto il "pieno" di composizioni eccellenti proposte in scaletta e, cancellata definitivamente la vaudeville-era dei Mothers early 70's, quel suono della sua nuova orchestra elettrica era evidentemente al massimo dell'energia disponibile.
 
E sicuramente c'era ben poco spazio anche per la prima dimensione anarcoide dei Mothers originali e posso quindi facilmente immaginare le facce degli zappiani di prima ora (quelli dell'equivoco/zappa) ma non posso non immaginare la mia faccia se fossi stato coraggioso abbastanza da prendere un treno a 15 anni ed andare a vedermi questo incredibile concerto (ma rimane una astrazione mia personale ... un "what if" privato) che ascoltato alla siderale distanza di 46 anni ancora oggi propone una scintillante dimensione musicale, clamorosamente innovativa e senza compromessi ... insomma ... ZAPPA!
 
 

giovedì 15 ottobre 2020

THE ORCHESTRA QUESTION (e non solo)


... eppure c'è più di "qualcosa" che non va 

... mi sto sottoponendo alla "tortura" di questa visione datata 2016 confortato solo dalla presenza della avvenente Sarah "belli capelli" Hicks e le sue graziose movenze a direzione (comporrei sinfonie e sinfonie se solo avessi la certezza di poterle far dirigere da lei ... ma questo è un altro discorso) 

... ogni tanto viene ripresa Diva che sembra "piangere" ma credo sia solo emozione e commozione perchè non credo capisca davvero lo strazio presente in alcuni momenti della performance della musica del babbo (sai le bestemmie che starà trattenendo nel paradiso dei musicisti dove è ormai confinato da troppo tempo) ... esecuzioni sbalestrate da una polifonica che sembra essere una associazione musicale dopolavoristica (vestita con un dress-code apparentemente abbondantemente a cavallo tra una pessima imitazione dello stile "famolo strano" e la voglia di giocare al ridicolo, sponsorizzati da una azienda che produce "cravatte a caso" e fornisce coroncine per i capelli delle più audaci giovani orchestrali, ma non al fagottista calvo costretto ad un penoso "fai-da-te") con un senso del tempo imbarazzante ed una lettura delle partiture al limite dell'incompetenza in molti, troppi, passaggi 

... magari sarà anche contenta la famiglia Zappa nel patrocinare un evento di tale "spessore", ma questo da ancora di più l'idea che qualcosa non funziona nella gestione dell'eredità musicale del signor Frank Zappa ... l'incompetenza la fa da padrona evidentemente e rabbrividisco al pensiero che moltissime altre situazioni molto più curate e meglio realizzatie siano state ferocemente osteggiate burocraticamente se non addirittura boicottate dallo ZFT negli anni scorsi ... probabilmente qualcuno tra i responsabili dell'attività di mantenimento della musica di Zappa avrebbe bisogno di maggiore disciplina 

... che dire dell'imbarazzante quartetto di musicisti in "appoggio" all'orchestra dilettante? ... mi commuove Ian Underwood (perchè sarebbe l'unico degno di presenziare anche solo come simbolo di un'epopea ormai irrimediabilmente destinata a sparire) e allo stesso tempo mi irrita la supponenza di Joe Travers ed il solito "basso-bullismo" di Scott Thunes ... inconcepibile davvero in un simile contesto rigorosamente musicale ... veri e propri "cowboy orchestrali" ... unico momento di soddisfazione sincera (per me ovviamente) la non distruttiva versione della suite di 200 MOTELS (con molte "stanze ancora raramente eseguite pubblicamente") ... l'orchestra qui parzialmente si riabilita (e non è necessariamente vero che le partiture del 1971 sono più semplici di quelle più recenti) perchè Sarah "belli capelli" Hicks (dopo l'ennesimo cambio abito ... tre di stile ed uno di merchandising puro e semplice) li tiene in pugno con grande personalità (probabilmente a questa parte del programma sono state dedicate molte più prove ... e forse l'assenza degli "ospiti" ha permesso una maggiore concentrazione generale ... magari fosse stato tutto almeno di questo livello!!!) ... delle tante ridicole "gag-zappiane" inserite "a forza" in questo contesto davvero surreale la più toccante (e foriera di significati di mala profezia) è la sigaretta finale di un trombettista di fila ... forse l'unica malinconica vera "ispirazione" della serata, con il suo davvero originale tributo a Zappa 

... finalissimo con una "Peaches en regalia", straziante nelle tante, troppe - note fuori posto tra cui vince per distacco il "piccolo" al minuto secondo 1:15:27 ... con buona pace del Maestro che forse si era appena appena ripreso dalla tragedia della prima parte ... argh ... naturalmente per questo gran (guignol) finale sono tornati i leggendari ospiti e tra i quali emerge nella sua tarda età l'uomo che DAVVERO aveva contribuito con le sue tastiere e la sua disciplina per la musica del suo capo ufficio alla leggenda di "Peaches" ... l'unico monumento presente alla serata ... peraltro quasi mai inquadrato dalla ignorante e trascurabile regia televisiva dell'evento 

... ultime battute riservata alla patetica trovata della consegna dei fiori agli ospiti e all'inguardabile piagnisteo della povera Diva (che inizia il suo lamento catartico con un imbarazzante "a mia madre sarebbe piaciuto tutto ciò" - a MIA MADRE ??? !!!!!!) che forse non ha ben compreso ancora che il "peso" di quell'eredità dovrebbe essere affidato a chi ha spalle forti e non solo un cognome "familiare" (quando esso stesso non messo in discussione da solerti avvocati rampanti) ...

domenica 12 luglio 2020

2020 - BERT JANSCH - Live in Italy 1978


BERT JANSCH - Live in Italy
(Earth Records RSD 2020)





































Era il 1978 ed era fortunatamente una stagione di concerti in parziale ripresa dopo l'ostracismo internazionale a cui era stato condannato il pubblico italiano dopo le ben note intemperanze occorse in varie occasioni (memorabile il concerto di Lou Reed a Bologna nel 1973).
Nella ancora sonnacchiosa terraferma veneziana di fine anni settanta il Cinema Teatro Corso era tra i pochi veri baluardi della musica proposta dal vivo (assieme naturalmente al leggendario Cinema di Viale San Marco).

Capitò quindi che nella primavera inoltrata del 1978 la Barley Music aveva organizzato un concerto/evento per promuovere l'ultimo disco di Bert Jansch disponibile al momento sul mercato italiano (A Rare Conundrum).

In realtà Bert Jansch, dopo quello che sarebbe stato definito il suo "periodo americano", era di fatto alla ricerca di una nuova dimensione creativa che aveva già concretizzato nei primi mesi del 1978 registrando con Martin Jenkins e pubblicando in tiratura limitata per una piccola casa discografica danese (Exlibris) un nuovo album intitolato "Avocet".

Bert Jansch & Martin Jenkins - Avocet
(Exlibris records 1978) 
Di questo disco non c'erano tracce in Europa data la limitata quantità prodotta e l'inevitabilmente scarsa possibilità di distribuzione della piccola etichetta danese.

La serata del Teatro Corso era una specie di "night of the guitars" in versione rigorosamente acustica che vedeva sullo stesso palco appunto l'ex Pentangle Bert Jansch ed il suo preziosissimo collaboratore dell'epoca Martin Jenkins oltre a due opening acts proposti - nell'ordine - dal Liverpooliano Sam Mitchell (eccellente dobro-ista di Mississippi blues dal passato interessante con collaborazioni importanti al fianco di personaggi quali Kevin Ayers, Carol Grimes e - sorprendemente - Rod Stewart) e da Leo Wijnkamp Jr (straordinario "triplocrociato" talento olandese della chitarra rag a 12 corde).

il programma della serata (I)
Le due "spalle" appena citate facevano parte del rooster della Kicking Mule Records (una assoluta garanzia di qualità per gli appassionati della musica acustica) e quindi in "concept" della serata era davvero interessante e degno di essere considerato un "ghiotto" appuntamento sicuramente appagante.
Ed in effetti così è stato e ricordo di aver vissuto intensamente ogni singola nota di Leo Wijnkamp, Sam Mitchell ed ogni singola nota ed espressione di un oscuro  Bert (compresa la sua battaglia - ben presto perduta - con il suo guitar capo)

il programma della serata (II)

Ma la storia del "ritrovamento" (e della successiva pubblicazione) di questa testimonianza mestrina è piuttosto bizzarra per diversi motivi.

In primis ... la fortuna ha voluto che una emittente locale (ma non ricordo quale) avesse ottenuto il privilegio di registrare direttamente dal mixer il concerto (cosa non proprio rarissima in quei giorni, vista la fervente attività promozionale delle emittenti indipendenti di allora - ultimo esempio di resistenza culturale legata alla musica di cui ben presto si sarebbero perse le tracce, con i suoni riportati al "ritmo del potere discografico commerciale".

Altro fattore essenziale per l'esistenza di questo documento è stato il contributo del mio grande amico Vittorio che, con sapiente diplomazia, è riuscito a convincere "chi di dovere" a fargli una copia del nastro originale (che quindi esiste ancora - forse - da qualche parte).
La sua gentilezza è stata ulteriormente  impreziosita dalla disponibilità di farmene una eccellente copia direttamente dal master originale stesso.

i preziosi documenti presenti in archivio
Sfortunatamente le nostre vite hanno preso strade diverse e ci siamo persi di vista, ma il mio spiccato senso d'archivio mi ha spinto a conservare per tutti questi anni con gelosa cura quel prezioso (per me) documento assieme al foglio di sala in presentazione della serata.

Ricordo solo che poco tempo dopo quel concerto io stesso ho fatto copia del nastro a favore del mio amico (e compagno di innumerevoli avventure musicali) Alessandro Monti che ne ha fatto evidente tesoro.

Per delle fortuite circostanze solo qualche mese fa Alessandro è entrato in contatto con la "Earth records" e con Adam Jansch (figlio di Bert) che evidentemente dopo aver saputo dell'esistenza di una testimonianza così particolare del lavoro del padre gli ha proposto di "contribuire" alla causa dell'archivio storico della famiglia.
Alessandro ha accettato preparando con cura il materiale per la pubblicazione, collaborando con la produzione per i dettagli ed alcune ricerche storiche.
Purtroppo, essendosi basato sul nastro originale di Vittorio (datato erroneamente 1977) Alessandro è stato tratto in inganno nel datare il concerto (e del resto anche la mia memoria era ormai abituata a considerarlo come uno dei miei concerti preferiti del 1977).



Quando di sorpresa Alessandro mi ha fatto avere copia della riedizione di "Avocet" (che comprendeva due brani bonus tratti da quella registrazione che rappresentavano a loro volta l'anteprima per la pubblicazione dell'intero "Live in Italy" prevista nel 2020 in occasione del RSD ... purtroppo perduto causa Covid19) sono rimasto piacevolmente stupito non solo per  l'inaspettato regalo, ma anche perchè in questo modo il mio lavoro di "archivista" aveva offerto - ancora una volta dopo King Crimson e Gentle Giant -  un ulteriore contributo alla musica che ho amato (e amo) da sempre.

i "credits" (accurati o meno che siano)




Evviva!!!

domenica 24 novembre 2019

MASSIMO GIUNTOLI & ELOISA MANERA (HOBO) - "Edmund" (2019)

























Era da qualche settimana che aspettavo il momento giusto per ascoltare queso ultimo lavoro di Massimo Giuntoli qui impegnato nel progetto HOBO in valida compagnia di Eloisa Manera.
Si, perchè ci vuole il "momento giusto" per apprezzare appieno la prepotente carica creativa trasversale di Giuntoli, musicisti tra i più originali ed intelligenti di un panorama nazionale spesso scarsamente osservato in patria.

La versatilità creativa di Giuntoli lo porta a cambiare spesso il "format" della proposta artistica ed in questo caso siamo di fronte ad una riuscitissima interazione (ed integrazione) tra harmonium, flauto dolce glockenspiel e violino, in una dimensione acustica straordinariamente riuscita tanto nelle parti più "astratte" quanto nelle composizioni più rigorose.

E' una dimensione sonora confortevole all'ascolto e particolarmente raffinata nel miscelarsi delle voci protagoniste molto ben calibrate nel proprio ruolo di "parte del tutto".

L'atmosfera creata con questa combinazione non può non riportarci ad una coinvolgente dimostrazione del valore del suono acustico, una tradizione sonora troppo spesso dimenticata in rutilanti ere tecnologicamente condizionanti.

E' un assoluto piacere apprezzare un uso creativo di suoni che sembrano venire da un'altra realtà (per fortuna davvero esistente) evocata attraverso un linguaggio musicale attento e particolarmente ben amalgamato.

Un disco, ma soprattutto, un compositore che meriterebbero una più attenta considerazione da parte di un pubblico che sicuramente esiste e che sarebbe in grado di apprezzare l'essenziale intelligenza nascosta tra i numeri digitali di questo cd... se solo ne venisse esposto con una adeguata frequenza.

E allora, visto che questa frequenza viene negata dall'appiattimento artistico globalizzato (e funzionale solo alla dimensione economica) invito modestamente tutti a compiere l'atto rivoluzionario di acquistarne documentazione, per sostenere concretamente anche chi ha il coraggio e la costanza di pensare ancora ad una musica capace di viaggiare nel tempo e verso un tempo nuovo ... unica speranza per lasciarsi alle spalle il vuoto del mero intrattenimento comandato e coatto.

www.massimogiuntoli.com

venerdì 8 novembre 2019

La mia ritrovata passione per Steve


... non ho idea se si tratti di un tipico caso di nostalgia senile (o quasi), ma non nascondo il fatto che molto spesso (molto più di quanto in effetti lo notifichi in questo spazio social) accompagno la fine del giorno con la visione di uno dei numerosi DVD live che documentano il percorso di riproposizione dei classici dei Genesis ad opera di Steve Hackett ... ed è una cosa piuttosto strana dato che fino a due anni fa avevo letteralmente snobbato l'operazione "revisited" iniziata dal chitarrista londinese già nel lontano 1996. In effetti quell'album mi aveva provocato una discreta "orticaria d'ascolto" per le scelte di arrangiamento e rielaborazione - anche troppo azzardate - dei classici della (per me) leggendaria band della Charterhouse.

Il caso ha però voluto che, in un inaspettato impeto di curiosità, decidessi di acquistare il CD/DVD della sua performance all'Hammersmith Apollo in Londra della primavera del 2013 e dal quel momento in avanti non ho più smesso di seguire le sue uscite discografiche (spesso poi solo parzialmente) antologiche dedicate al repertorio dell'epopea progressiva dei Genesis. In effetti non ho mai avuto una grande passione per la sua produzione solista fatta eccezione per "Voyage of the acolyte" (1975), "Please don't touch" (1978), "Sketches of Satie (del 200 con il fratello John) e - più recentemente - "Wild orchids" (2006) ... e non mi hanno scaldato il cuore nemmeno le operazioni in compagnia di altri grandi della stagione d'oro ("The Tokyo tapes" con John Wetton e Ian McDonald). Invece questa nostalgica passione per il suo modo così educato (a volte quasi impacciato) di proporre quelle pagine fondamentali per il mio ascolto post-adolescenziale (ed oltre) è esplosa definitivamente con quell'album/DVD del 2013 portandomi a riflettere a lungo sul valore delle riproposte antologiche ad opera di protagonisti delle produzioni originali. Il dibattito sulla effettiva  opportunità di creare intorno a se una "coverband di se stesso" lascia aperte molte perplessità e critiche spesso non del tutto immotivate. Ma nel caso in specie, Hackett ha ricostruito parte di quel clamoroso repertorio (snobbato dagli altri componenti della band, impegnati evidentemente a perseguire creatività - Gabriel - e business - gli altri tre) elaborando strategie di eprformance estremamente raffinate ed intelligenti. Tra esse la prima e più evidente è l'utilizzo geniale del sax soprano di Rob Townsend (eccellente polistrumentista) a contrappunto del suono della sua tipica chitarra (peraltro enormemente più consolidato e preciso degli anni precedenti). Anche la scelta del cantante a cui affidare la delicata ed ingombrante riproposizione del ruolo di Peter Gabriel si è rivelata clamorosamente azzeccata con la prorompente statuaria figura dello svedese (ma americano di nascita) Hugh Eric Stewart aka Nad Sylvan, il cui timbro vocale, pur avvicinandosi spesso all'inflessione originale gabrieliana, è andato via via evolvendosi fino all'ultima eccellente dimensione interpretativa offerta dal più recente album con la Heart Of England Orchestra registrato alla Royal Festival Hall. Anche la scelta di affiancargli spesso altri vocalist d'eccezione ospitati nelle varie occasioni (dall'immortale John Wetton a Jakko Jakszyk, Nick Kershaw, Steve Rothery, Amanda Lehmann e Steven Wilson) in grado di offrire nuove "sfumature" a grandi classici del repertorio Genesis.

A queste scelte sicuramente intelligenti che mostrano palesemente una grande sensibilità artistica, non possono non affiancarsi anche la preziosissima collaborazione al progetto di altri maiuscoli interpreti/interlocutori quali Roger King alle tastiere, Gary O'Toole alla batteria e alla voce oltre che i differenti bassisti che si sono alternati negli anni, da Lee Pomeroy a Jonas Reingold passando per Nick Beggs ovviamente.

Questa mia rinata passione per Hackett mi ha anche portato ad assistere ad un suo concerto del suo Tour de Force del 2018 e ne sono uscito ancor più convinto della bontà del suo lavoro e della sua quasi imbarazzante semplicità d'approccio quasi cabarettistica con il pubblico presente (leggendaria la sua introduzione al concerto della Royal Albert Hall qualche anno fa: "... benvenuti al Royal Albert Pub!!!").


Ora, all'ascolto di questo ultimo prodotto di rielaborazione, mi sono posto con uno spirito critico particolarmente appuntito perchè la presenza dell'orchestra in contesti "progressivi" ha spesso rappresentato una addizionale ed indigesta melassa sonora, capace di enfatizzare a dismisura solo la retorica di alcuni passaggi compositivi di quella particolarissima generazione di musicisti degli anni settanta. In questo caso invece mi sono ampiamente ricreduto e le orchestrazioni sono particolarmente discrete ed amalgamate al resto del suono del gruppo (tranne forse in uno o due momenti quasi incomprensibili per scelta). Un connubio ampiamente riuscito quindi che rinnova la sensazione di quanto incredibili fossero state quelle pagine scritte da musicisti poco più che ventenni con nessuna certezza di raggiungere una notorietà ed una stabilità commerciale futura, alimentati dalla sola voglia di creare "nuove combinazioni creative" e sostenuti da generazioni di ascoltatori/spettatori avidi di curiosità e partecipi protagonisti dell'importante testimonianza creativa dei tempi.

Mi è anche subito tornata in mente l'occasione nel 2015 in cui Hackett aveva già provato ad interagire come ospite (ma con suo repertorio) con la band islandese Todmobile e dove forse la prepotente voce del cantante Eyþór Ingi Gunnlaugsson (prodotto di un "talent" televisivo islandese) aveva messo in discussione il registro interpretativo scelto da Sylvan, ma a ben vedere la strabordante interpretazione del ragazzo dal nome impronunciabile altro non ha fatto se non mettere ancora più in luce l'algida e raffinata scelta dello svedese americano ... probabilmente è stato un bene poter apprezzare due performer così diversi alle prese con uno stesso delicato repertorio.
E lo stesso discorso può essere fatto anche per le due Orchestre a confronto, più esuberante e prepotente l'orchestra islandese Sinfonia Nord & Chorus e più misurata e discreta la Heart Of England Orchestra, capace di restare all'ombra della band sul palco.

Tornando al DVD della Royal Festival Hall ... dato per superato l'esame "orchestrale" non posso esimermi dal segnalare la mostruosa evoluzione interpretativa di Nad Sylvan che finalmente rende sue (per quanto possibile, ovviamente) tutte le pagine che furono di Gabriel e Collins, imponendo nuove preziose sfumature vocali dove le caratteristiche dei due sopracitati non sarebbero mai andati a parare ... e mi spingo a dire che alcune delle interpretazioni di Sylvan adesso possono ampiamente competere (ed inqualche caso addirittura superare) con le suggestioni originali, aggiungendo nuova modernità e raffinatezza a contesti considerati forse ingustamente intoccabili.

Un unica considerazione finale la vorrei dedicare al repertorio "originale" di Hackett che mai come in questo ultimo caso perde il confronto con le "antiche gesta" ... il suo peculiare stile lo porta ad essere tra i più confusi e scomposti, a cavallo tra banalità tematiche davvero insostenibili e scelte spigolose talmente coraggiose da risultare anche esse incomprensibili. Ma è nella sua apparentemente innocente naturalezza che Hackett mi costringe a perdonarlo ... la sua ombrosa simpatia me lo rende quasi familiare e non posso non continuare ad ascoltare/vedere le sue soniche gesta sul palco attraverso le sue periodiche pubblicazioni.

Bravo Steve ... e bravi tutti !!!

martedì 5 novembre 2019

1979-2019 - The men who make the music (e non solo quella)

... a distanza di 40 anni è ancora complicato ricostruire il clamoroso debutto multimediale della band di Akron, quel mini-film concepito, scritto e fortemente voluto da Gerry Casale e Mark Mothersbaugh nel 1979 ed affidato alla regia di Chuck Statler.
Il "film" in realtà non vide mai la luce nella sua forma integrale e la copia che girò nei primi anni ottanta come "definitiva" in realtà tralasciava alcuni episodi girati ma mai definitivamente inclusi.

In effetti, non esiste una vera e propria versione definitiva e completa di questo magistrale guazzabuglio di idee rivoluzionarie, ma solamente una serie di edizioni che tra loro contengono spezzoni ed elementi omessi da tutte le altre ... la mia quarantennale DEVOzione mi ha spinto a cercare di rimettere in ordine quanto prodotto in quel 1979 per quel mini-film originariamente intitolato "DEVO Vision" ma poi ribattezzato "THE MEN WHO MAKE THE MUSIC" ma conosciuto anche come "THE TRUTH ABOUT THE DE-EVOLUTION".

E' interessante notare come il primissimo progetto originale fosse stato concepito PRIMA del grande successo internazionale ed in effetti nella versione iniziale non esistevano i personaggi collaterali quali Daddy Knowitall, Rod Rooter e Penny non erano stati nemmeno concepiti nella trama. Al loro posto erano state usate delle riprese amatoriali di alcuni concerti della band prodotti da Marina Yakubic (fidanzata con Mark all'epoca).





Sequenze presenti nella versione pubblicata nel 1981:

* Opening (late Booji Boy & General Boy)
"Have you got the papers that Chinamen gave you?"
* General Boy speech
* MECHANICAL MAN (solo intro)
* JOKO HOMO (videoclip)
* General Boy speech
* WIGGLY WORLD (live)
* General Boy speech
* THE DAY MY BABY GAVE ME A SURPRISE (videoclip)
* Roll out the barrell (aka Rod Rooter Big Reamer)
including
- Daddy Knowitall calls Rod Rooter
(background music: "SMOZART" by Mark Mothersbaugh)
- Rod Rooter calls Devo
- Big Entertainment: Penny's job
- Devo (no Alan) meet Rod Rooter
- Devo with Alan spyed at Club Devo
* PRAYING HANDS (live)
* General Boy speech
* UNCONTROLLABLE URGE (live)
* SATISFACTION (videoclip)
* General Boy speech
* JOCKO HOMO (live)
* SECRET AGENT MAN (demo)
* Devo speech
* SMART PATROL (live)
* MR DNA (Live)
* Devo speech
* General Boy speech
* COME BACK JONEE (videoclip)
* General Boy final speech
* (THE WORDS GET) STRUCK IN MY THROAT (finale) feat. Booji Boy
* RED EYE feat. Booji Boy
* Devo final credits
* DEVO CORPORATE ANTHEM

regia di Chuck Statler
con
Mark Mothersbaugh
Gerald V. Casale
Robert "Bob1" Mothersbaugh
Robert "Bob2" Casale
Alan Myers
Michael Swartz (Rod Rooter)
Robert Mothersbaugh Sr. (General Boy)

Nel 2000 la Rhino Records scrittura il gruppo e annuncia la pubblicazione di un DVD intitolato "THE COMPLETE TRUTH ABOUT THE DE-EVOLUTION (Unexpurgated)" che vedrà la luce solo tre anni dopo.
Il titolo ed il contenuto di questa edizione risulta però onestamente fuorviante per chi avesse sperato di trovare finalmente in un unico supporto l'integrale girato dell'epoca. Infatti,  il materiale del film originale, pur beneficiando della qualità della elaborazione digitale (ma attenzione ... molto "relativa" comunque già in partenza), in realtà è un non-generoso estratto dal film completo.
Nonostante questo aspetto negativo, l'appassionato DEVOto può sicuramente perdonare questa mutilazione del film originale perchè a "compensazione" vengono per la prima volta pubblicati alcuni gustosi spezzoni inediti che documentano l'incontro tra Rod Rooter e la sorella (Daughter Donut che probabilmente faceva parte di una ulteriore estensione della trama e della sceneggiatura) e soprattutto il finale originariamente previsto" con l'emblematico "smascheramente e sacrificio" di Booji-Boy commentato da una incredibile "Because" beatlesiana letteralmente demolita e sonicamente calpestata da suoni elettronici scarsamente codificabili ad un primo ascolto.
Nella stessa edizione del 2003 sono presenti diversi bonus tra cui il più significativo (per la relazione con il progetto originale) è quello che documenta un ulteriore "sacrificio" di Booji Boy (decisamente molto più cruento) che ricordavo di aver visto proiettato sul palco in conclusione del concerto nel tour del 1980 di "Freedom of choice", ma di interesse è anche lo spin-off del 1982 con un'introduzione al video di "Through Being Cool" (mai davvero utilizzata nei tempi contigentati dei canali di video-musica) che vede protagonista nuovamente Rod Rooter e la partecipazione stupefacente - e straordinaria - di Timothy Leary nei panni di Doctor Bruthfood)

Nel 2014 la MVD ha nuovamente pubblicato questo progetto, integrandone il contenuto con un intero concerto del 1996 al Sundance Film Festival. Nel tentativo di migliorare la "scarsa" qualità del video originale, la postproduzione di questa edizione risulta sicuramente più nitida, ma un po' meno convincente nei contrasti colore.Ma soprattutto questa ultima edizione è priva di tutti i bonus presenti in quella della Rhino.

Comunque sia andata ... uno di documenti che (per me) hanno segnato profondamente un'epoca di presa di coscienza e consapevolezza della molteplicità dell'arte pop contemporanea ... e ancora oggi, quando lo guardo ne apprezzo la carica creativa e rivoluzionariamente de-evoluta.


lunedì 15 luglio 2019

ENNO VELTHUYS - "Ontmoeting" (1982)

















... gli anni ottanta hanno avuto i loro "eroi inconsapevoli", dimenticati e non celebrati, cancellati e non posti in risalto nel libro della sonica scuola di quella ingrata decade musicale, così potenzialmente esplosiva nella nuova indipendenza tecnologica e produttiva ma altrettanto incline ad alienare dal mondo circostante quanto "non-allineato" con la tendenza dominante (perchè la musica e la sua grande organizzazione alle spalle ha sempre bisogno di "agenti dominanti" per mantenere inalterato il potere di pervasione che garantisce l'affare economico per tutti i protagonisti della scena.

Enno Velthuis, olandese di Den Haag e con esperienze musicali come bassista/chitarrista nella scena pop nazionale già alla fine degli anni sessanta, è sicuramente tra gli eroi banditi dalla memoria musicale europea perchè troppo poco incline ad una disponibilità commerciale con compromessi ed accordi legali quanto invece spirito libero (anche nel suo stesso percorso di autodistruzione).

Grazie al circuito ultra-sotterraneo indipendente dei primi anni ottanta, Enno vide pubblicate in copie limitatissime alcune sue cassette totalmente autoprodotte nella sua camera della casa dove viveva con la madre. Le etichette "Exart"  e  "Kubus" - specializzate in audio-cassette -  pubblicarono sei nastri tra il 1982 ed 1987, sei perfetti "messaggi nella bottiglia" alla ricerca - se non di aiuto - almeno di notificare la propria esistenza nel mondo dei suoni (e che suoni!). Senza particolari riferimenti al mondo musicale passato e (allora) presente Enno si muove tra emozioni e gusti talmente personali ed uniche da sembrare tra loro senza un reale nesso concettuale. Invece ascoltandole con maggiore attenzione si scopre un percorso nascosto, una direzione tracciata - sebbene a fatica - verso la "poesia del suono" evocata con voce elettronica quasi completamente scollegata dalla quasi arrogante evoluzione tecnologica propria di quei giorni, con la semplicità e l'orgoglio (e forse la rassegnazione) della dimensione DIY (Do It Yourself /Fai Da Te) come unica fonte di non-confronto con il mondo d'intorno.

I nastri di Velthuys vennero distribuiti adeguatamente nei canali ultra indipendenti degli appassionati di musica borderline e grazie a questa piccola, piccolissima notorietà questo fattore fu motivo per l'autore di continuare a produrne (anche se molte, moltissime - purtroppo TROPPE - solo per la sua propria collezione privata) per continuare a mantenere l'attenzione sulla sua condizione artistica (ed umana).

Quando poi lui stesso si rese conto che quello stesso canale di diffusione dei suoi lavori era diventato esso stesso "mercato senza regole" (pubblicazioni non concordate, senza alcun diritto garantiti, senza nemmeno una tutela della - già scarsa - qualità audio della riproduzione su cassetta) fu una profonda delusione che lo fece sprofondare in una condizione di forte depressione che presto lo portò ad una vera e propria dimensione patologica che andò ad aggravare la sua condizione mentale già scarsamente stabile a causa della sua esperienza autodistruttiva con LSD a fine degli anni sessanta e per gran parte della decade successiva.

Trascorse gli ultimi anni della sua vita registrando per pochi amici alcuni frammenti di musiche destinate ad accompagnare reading di poesie o occasionali serate di storytelling. Morì di cancro nel 2009, ma solo dopo una lunga degenza in un ospedale per malati mentali.

Oggi, ascoltare "Ontmoeting" - e più in generale la sua musica - è come riuscire ad intravvedere uno spettro ... uno dei tanti "spettri invisibili" dell'immenso mondo dei suoni, proprio come davanti ad uno stereogramma ed improvvisamente se ne scopre il contenuto ... un volto senza connotati (perchè non ci restano molte immagini reali e significative di Enno) e malinconicamente imprigionato in un oblio non meritato (ma forse chissà, cercato).