lunedì 21 dicembre 2009

SAD CAFE' - Fanx ta-ra (1977)



Nella caotica transizione tra il Progressive e la New Wave attraverso la devastazione punk (non in senso negativo, ma dirompente) la musica considerabile semplicemente pop ha rischiato di perdere la sua stessa funzione di semplice intrattenimento, dal momento che ... quansi non esisteva più nessuno da ... INTRATTENERE ... appunto.

Per fortuna in quegli anni a cavallo tra il 1976 ed il 1980 una serie di band inglesi hanno provato a reinventare il linguaggio della musica pop alleggerendo le pomposità del progressive mantenendone la qualità evocativa e la brillantezza della tecnica compositiva ed al contempo aggiungendo una certa ironia tipica della trasgressione allora "in movimento" per alimentare un semplice divertimento superficiale ed epidermico.

Gruppi come 10.CC o SUPERTRAMP sono sicuramente stati all'avanguardia nel trovare in questa modalità una loro propria strada originale per declinare una materia molto difficile e delicata.

In questo contesto musicale quindi si inseriscono a pieno diritto questi sorprendenti (e sconosciutissimi) SAD CAFE' capitanati da Paul Young (omonimo del più celebre cantante brit pop-soul, ma che avrà solo successivamente la sua piccola oasi di popolarità collaborando con Mike Rutherford nell'off-shoot Genesisiano di Mike and the Mechanics) e completati dalla presenza di Ashley Mulford (chitarra solista) Tony Cresswell (batteria, percussioni e voci) John Stimpson (basso, chitarra acustica e voci) Vic Emerson (tastiere) Ian Wilson (chitarra e voci) e Lenni (sax, tastiere).

Raffinati, intelligenti ed eccellenti musicisti i SAD CAFE' con questo album "Fanx ta-Ra" (slang storpiato della formula colloquiale "Thanks to you") hanno prodotto uno dei dischi di pop-rock sicuramente più belli e validi per quella generazione di musicisti alle prese con un pubblico davvero in crisi di identità (o - forse meglio - con troppe identità musicali da considerare).

Non un vero e proprio CAPOLAVORO, certo, ma assolutamente da ascoltare con grande rispetto ed attenzione.


TRAFFIC - Low Spark Of High Heeled Boys (1971)



Disco - a mio parere - forse ingiustamente sottovalutato nell'ambito intera produzione Traffic, anche se realisticamente si pone all'inizio di una inequivocabile parabola creativa inesorabilmente in discesa.

Con la memoria rivolta ai brillanti inizi ancora acustici e post-folk, Winwood, capaldi e Wood si permettono un album più eterogeneo dei precedenti con sonorità anche molto vicine alla - da poco trascorsa - stagione psichedelica della quale sembrano scriverne un degno capitolo finale con l'opening-track "Hidden trasure".

Il brano che da il titolo all'album invece è una solida canzone in pieno "stile traffic" che rimane a cavallo tra una attitudine progressive sottolineata dai sassofoni di Wood ed una tradizione palesemente post-freak in grado di sfiorare con gusto e sensibilità anche traiettorie quasi-jazz per approccio (emblematico, in questo senso, l'assolo di organo clamorosamente distorto nelle title track).

Anche la solidità del riff dominante di "Rock & Roll Stew" contribuisce al meglio (soprattutto nella versione single riproposta nella ristampa in CD) per evidenziare comunque una buona vena creativa.

Compaiono però con una certa chiarezza anche le prime avvisaglie di una qualche perdita progressiva di lucidità nella produzione che sembra spostarsi verso registrazioni quasi estemporanee e scarsamente curate (basti pensare all'evidente voce registrata in precedenza e poi ritenuta non definitiva che però si distingue nettamente in background sempre nella title track ... o le evidenti imprecisioni di chitarra in "Light up or leave me alone") che danno sicuramente più "naturalezza" al sound del gruppo, ma sembrano raccontare anche di una difficoltà a mantenere alta l'attenzione artistica.

TRAFFIC - Shoot out at the fantasy factory (1973)



Non sarà forse il disco più riuscito di Winwood & C ma, se ascoltato con la giusta disposizione d'animo, ancora a distanza di tempo riesce ad avere dei momenti brillanti e degni della storia di un gruppo che ha alternato capolavori a pericolose derive scarsamente ispirate.

La voce filtrata con un banale (ma efficacissimo) "phaser" nella title-track è solo uno degli esempi che rendono bene l'idea della raffinata potenzialità creativa della band, esattamente come - al contrario - le eccessive ridondanze e ripetizioni musicali che sembrano allungare e diluire eccessivamente alcuni brani sono il manifesto palese di una certa difficoltà nello sviluppare ed evolvere maggiormente un'idea qualsiasi.

Nel sound generale sono ovviamente sempre più in grande evidenza le percussioni di Rebop mentre risulta più sommesso il sax di Chris Wood che (nonostante il suo - peraltro onestamente trascurabile - contributo compositivo con il brano "Tragic magic") non sembra proprio in grandissimo spolvero.

Forse - alla fin fine - la chiave di tutto sta proprio nel brano intitolato "(Sometimes i feel so) Unispired" che onestamente vede Steve Winwood raccontare con grande sincerità una fase piuttosto contraddittoria della storia sua personale e - di conseguenza - del gruppo, ponendo lperò contemporaneamente le basi della clamorosa (seppur effimera) rinascita creativa del gruppo avvenuta con la pubblicazione del successivo album in studio (dopo il mediocre doppio live "On the road") "When the eagle flies" poco più di un anno dopo.