mercoledì 30 dicembre 2009

CLIMAX BLUES BAND - Gold Plated (1976)



Band inglese portavoce del rock-blues britannico alle prese con uno degli album più funky della sua stessa produzione, un disco assolutamente riuscito nell'intento di mantenere presenti contemporaneamente nello stesso contesto il calore del blues e del funk senza strafare o senza voler calcare troppo la mano verso derive facilmente commerciali.


CACTUS - One way ... or another (1971)



Energetico disco di straordinario blues-rock forgiato dalla sapiente mano degli ex Vanilla Fudge Tim Bogert & Carmine Appice, dal virtuoso chitarrista Jim McCarty (ex Buddy Miles Express) e dall'ex Amboy Dukes Rusty Day alla voce e all'armonica.

Un album dove anima ed energia si uniscono in un connubio quasi perfetto, con il formidabile sostegno dei magici "riff" di un'epopea rock davvero sanguigna e penetrante.

Imperdibile

martedì 29 dicembre 2009

MOLOCH - Moloch (1972)



Sconosciuto ensemble di blues-rock made in USA che si fa ascoltare con piacere senza stupire ma senza annoiare.

lunedì 28 dicembre 2009

MARY BUTTERWORTH - Mary Butterworth (1969)



Sconosciuta band di solido rock-blues a tratti psichedelico che non ha trovato abbastanza spazio nell'immanso mare magnum del genere.

Il disco, diventato da anni ormai una tra le più ambite prede per i più accaniti ed agguerriti collezionisti del vinile di fini anni sessanta, è stato più volte ristampato in CD da etichette clandestine riscuotendo sempre un discreto successo, tanto da offrire a questo gruppo dimenticato una inattesa (e per certi evrsi sicuramente immeritata) improvvisa popolarità.

Non è un lavoro dalle sublimi intuizioni, quanto piuttosto un disco di mediocre rock-blues suonato con discreta perizia e buone intenzioni. Ascoltabile e riascoltabile, al bisogno.

BABY WHALE - The downhill climb (1973)



Un bel disco di progressive-folk talvolta nella falsariga di gruppi come i più famosi Curved Air (grazie alla presenza comune del violino e della voce feminile predominante) ma talvolta anche originalmente spostati verso un country-folk, quando non addirittura direttamente bluegrass, americano (forse grazie alle origini proprio della cantante Anne Baker).

L'insieme di suggestioni popolari qui presenti fanno di questo album un interessante raccolta di alcune delle possibili variazioni sul tema folk prese in esame nella scena anglosassone in una stagione musicale così ricca di fermento e creatività applicata alle tradizioni (vicine o lontane indifferentemente).


HUGH BANTON - The Planets (Gustav Holst) (2009)



Sicuramente uno dei dischi più ascoltati dal sottoscritto in questo 2009 data la potentissima forza evocativa dello strumento protagonista e dalla assoluta capacità interpretativa di tale HUGH BANTON (tra i miei musicisti preferiti dell'era progressive inglese con i Van Der Graaf Generator).

La musica di Gustav Holst comunque si rivela ancora una volta come elemento essenziale per moltissime deviazioni musicali parallele, dato che elementi melodici delle composizioni dedicate ai pianeti sono stati riproposti - in modo più o meno elaborato - in moltissime produzioni degli anni settanta (Zappa, Supertramp, Genesis, King Crimson, Emerson Lake & Palmer).

Questa elaborazione al solo organo di BANTON (a parte alcune sporadiche parti ritmiche di cembalo e percusssioni) offre all'ascoltatore una grandissima oportunità di cogliere nel profondo la potenza evocativa dei passaggi armonici che contraddistinguono la peculiare modernissima scrittura del compositore inglese nato a Cheltenham nel 1874.

Un disco che ripropone con grandissima sensibilità ed intelligenza una pagina essenziale per un'intera generazione musicale.

JAMES GANG - Newborn (1975)



Disco pressochè ignorato all'epoca a causa della inesorabile parabola discendente della carriera della band che era stata veicolo professionale per Joe Walsh e - seppur brevemente, ma significativamente - per Tommy Bolin.

Ma come spesso capita, con riascolti meno condizionati dal rumore di fondo contemporaneo circostante, ci si accorge che il valore di un determinato prodotto non sia stato perfettamente messo a fuoco al momento della pubblicazione e quindi riemerge il piacere di ascoltare qualcosa che si ripropone con rinnovato e ritrovato spirito.

Sembra davvero impossibile credere che tutti gli appassionati di un certo "rock" sanguigno ed energico si siano dimenticati di colpo di questa band relegando questo disco ai magazzini del macero industriale. Eppure in NEWBORN sono presenti tutte le potenziali caratteristiche del buon rock anni settanta, dagli episodi muscolari e di impatto, alle ballate melodiche e sensibili, dal rock declinato in chiave pop fino alla rivisitazione del primo rock'n'roll (con una brillante versione della "Heartbreak hotel", vero e proprio classico di Elvis).

Un peccato davvero, anche se musicologicamente si può giustificare questa circostanza con il momento di grandissimo cambiamento che si andava preparando proprio nella seconda decade degli anni 70.

Per fortuna comunque la memoria discografica digitale ha riportato alla luce anche questo piccolo goiellino a cui vale la pena dare una seconda chance di ascolto e gradimento ... compresa una nota di apprezzamento per la scelta della veste grafica che accompagna il disco, la riproduzione di una straordinaria opera di Salvador Dalì quale "Geopoliticus Child Watching the Birth of the New Man" (1943).


giovedì 24 dicembre 2009

DARK - Tamna Voda (1988)



Secondo pregevolissimo capitolo per questa formazione davvero interessante per l'originale fusione di stili con cui ha saputo evolvere - e proporre rimanendo a cavallo di un rock ed un jazz progressivi - alcune traiettorie musicali già pur di per loro abbondantemente elaborate (King Crimson, Mahavishnu, Holdsworth).

Ad integrare l'eccellente lavoro della formazione base (Mark Nauseef, Leonice Shinneman, Mark London Sims e Miroslav Tadic) due grandi interpreti della musica moderna quali L. Shankar e David Torn.

Da segnalare una raffinatissima intelligente versione di "Drifting" ricercato brano di nicchia di Jimi Hendrix e l'apertura "Trilok" (evidentemente dedicata al percussionista indiano Trilok Gurtu) che sembra essere una elaborazione ex-post delle sedute di registrazione del leggendario album "Lark's tongues in aspic" dei King Crimson.


GEOFF LEIGH - The chemical bank (1979)



Oscuro singolo dell'ex sassofonista dei primissimi HENRY COW realizzato all'indomani della successiva fruttuosa collaborazione con band quali AKSAK MABOUL ed UNIVERSE ZERO.

La musica contenuta in questo 7" (da suonare a 33 giri) è quanto di più improbabile ci si possa immaginare da un musicista con i trascorsi sperimentali di Leigh, ma - a ben vedere - non esiste una mancanza di coerenza artistica nella misura in cui la voluta causticità delle spigolose composizioni copmiono una incursione in una dimensione demenzial-non-commerciale abbastanza frequente nella deriva colta dell'intellighenzia musicale riferibile al R.I.O.

Un ascolto piacevole quindi per gli amanti di una certa colta "perversione pop".

mercoledì 23 dicembre 2009

HERON - Twice As Nice & Half The Price (1971)



La fotografia in copertina ritrae esattamente le condizioni in cui questo album è stato effettivamente registrato, proprio all'aria aperta nello spazio antistante una sobria casa di campagna del Devon ... che tempi!

Volendo fare una valutazione che può anche sembrare troppo 'snob', l'atmosfera che il SUONO ha in questa registrazione è effettivamente unica, probabilmente proprio per la curiosa modalità di registrazione applicata. Ed è questo aspetto l'elemento più interessante di questo album (il secondo della discografia di questa quasi sconosciuta brit-folk band) dal momento che le canzoni sono quasi tutte senza particolari spunti di entusiasmante originalità (cosa strana questa, visto che il periodo in cui l'album è nato ed è stato pubblicato sia stato realmente uno dei più creativi proprio nell'ambito dell'eleborazione moderna della musica tradizionale britannica.

TWICE AS NICE & HALF THE PRICE è stato pubblicato in versione economica (doppio al prezzo di un singolo ... e da qui il titolo del disco) inaugurando una politica promozionale che purtroppo non è poi stata molto considerata nella grande stagione musicale da quel momento in avanti.

Alla fine dell'ascolto rimane comunque la piacevole sensazione di aver trascorso quasi un'ora e mezza per caso davanti ad un gruppo di "amici di amici" che hanno suonato alcune delle loro "sconosciutissime" canzoni in un'atmosfera di amichevole convivio ... sarebbe stato perfetto essere anche presenti in quella country house del Devon proprio allora!

martedì 22 dicembre 2009

AGITATION FREE - 2nd (1973)



Soprannominati da qualcuno (con una certa malizia ma non senza motivo) "The Kraut Floyd" questa band della zona ovest di Berlino ha avuto la massima visibilità all'inizio degli anni settanta, sulla scia della psichedelia oppiacea (naturale) e la cultura post-hippie che in Germania aveva avuto sicuramente maggiore diffusione che non addirittura nella stessa Gran Bretagna.

La seconda uscita discografica di questa band si lascia ascoltare ancora oggi con grande piacevolezza grazie all'elemento sonoro sempre fluttuante tra un'assolo ed un climax ritmico armonico (spesso di sapore vagamente mediorientale) tipico di una certa fluidità (o bisognerebbe dire ... Floydità) comune dell'epoca, con la curiosa ma efficacissima aggiunta di suoni elettronici (del brillante Michael Hoenig) che contribuiscono a creare parallele atmosfere aliene in grado di offrire importanti soluzioni di continuità all'altrimenti monotono schema psichedelico-californiano della "song-with-no-end".


A EUPHONIUS WAIL - A euphonious wail (1973)



Muscoloso gruppo rock made in USA rimasto pressochè sconosciuto anche in patria.

Eppure avevano tutte le carte in regola per fare la loro buona carriera questi ragazzi di Santa Rosa (California), suono massiccio, due voci talentuose (man/woman) e soprattutto uno spirito di gruppo che potrebbe ricordare molte altre band contemporanee (immaginate degli Iron Butterfly leggermente meno pesanti ed oscuri).

Ma si sa qualche volta il destino di una band è nelle mani del "momentum" ... perso quello, è quasi sempre impossibile recuperarlo, il treno della fortuna nel mondo della musica rock, se passa ... lo fa solo in una occasione.

Consiglio l'ascolto di questo album soprattutto per la qualità degli arrangiamenti di chitarra e tastiera, senza dubbio eccellenti.

DANIELLE DAX - Pop eyes (1983)



Intensissimo album di Danielle Dax che di gran lunga permette di apprezzare appieno l'assoluto valore creativo di questo personaggio borderline, soprattutto se la si giudica nel contesto di una stagione ricchissima di fermento ma eccessivamente ripiegata sulla musica di facile consumo.

Questo è un album di altissimo livello dove le sonorità degli strumenti coinvolti si attorcigliano tra loro, mescolandosi in insoliti connubi dai colori nuovi ed originali mentre la suadentissima sinistra voce di Danielle recita il ruolo di maestro di cerimonie accompagnando con grande misura ogni singolo brano alla sua esatta posizione nell'universo sonoro da lei concepito.

Se esistono dei dischi che hanno segnato profondamente la vis creativa della decade per certi versi più crudele della musica giovane, "Pop Eyes" è sicuramente uno dei più significativi e solidi momenti di orgoglio artistico.

DANIELLE DAX - Jesus egg that wept (1984)



Artista straordinaria per la sua coerenza creativa, DANIELLE DAX ha regalato momenti di altissimo progresso alla scena asfittica di una new wave britannica spesso tutta dedicata alla disperazione nichilista di una generazione forse sbandata e stravolta dallo scenario esistenziale in improvviso veloce movimento.

E proprio alla fine degli anni settanta con il duo LEMON KITTENS Danielle aveva già realizzato dischi di assoluto valore artistico (un esempio tra tutti l'emblematico straordinario "We buy a hammer for daddy").

Sciolto il sodalizio con Karl Blake che teneva in vita il progetto Lemon Kittens, Danielle Dax si è dedicata ad intraprendere una bizzarra traiettoria musicale che tenesse conto delle innumerevoli suggestioni musicali disponibili, sempre modellate sulla sua multiforme poliedrica personalità di artista e performer.

Nel 1984 esce con questo mini-Lp che la vede protagonista assoluta in contesti caratterizzati da strane atmosfere musicali a cavallo tra una specie di improbabile gospel ed una tribalità non identificata (portata a diventare quasi Rockabilly a volte), mettendo in grandissima luce la sua splendida voce capace di attraversare suoni oscuri e torbidi per poi raggiungere vette acute di purezza inaspettata.

Breve, ma bellissimo, esempio di intelligenza applicata alla new wave.

THE MUTTON BIRDS - Envy of angels (1996)

Un esempio perfetto di musica commerciale intelligente e meritevole di essere ascoltata senza pregiudizi.

PEARLS BEFORE SWINE - One nation underground (1969)


TOM RAPP e la sua curiosa "esse" da Gatto Silvestro nel 1967 ha scelto questo bizzarro pseudonimo per proporsi al mondo musicale dei circuiti folk elettrici in grande fermento in quel periodo.

Il disco in sè ancora oggi assume un rilievo notevole se contestualizzato in quell'ambiente alla ricerca della proposta impegnata nei testi e di nuovi suoni da affiancare.

Rapp quindi inventa per le sue canzoni una dimensione onirica leggermente (ma non troppo) psichedelica unendo i suoni di chitarre acustiche filtrate a freddi registri di organo Farfisa davvero tanto inquietanti quanto originali nell'approccio minimale.

Rapp poi non esita a giocare poi con la beffarda ironia e la volontà dissacratoria dell'esuberanza tipica giovanile quando inserisce nella canzone "(oh dear) Miss Morse" il suono di un messaggio morse che trasmette distintamente le lettere F-U-C-K (che evidentemente qui non necessitano certo di traduzione)

Registrato in soli tre giorni di settembre del 1967 "One Nation Underground" viene pubblicato solo nel 1969 ma riscuote un successo di tutto rispetto, giungendo a vendere (sembra) quasi 250.000 copie, una cifra davvero notevole per l'epoca.

Memorabile.

BARCLAY JAMES HARVEST - Barclay James Harvest (1970)



BJH è un gruppo scarsamente conosciuto in Italia, ma non per questo non è stato uno dei brillanti esponenti del rock early settanta che non si è mai voluto/potuto evolvere in una direzione progressiva più "colta" rimanendo però fedele al suo stile semplice ma efficace di grande fascino rock melodico.

Certo qualche tentativo "romantico" è stato fatto soprattutto in questo album d'esordio dove di tanto in tanto mellotron e chitarre sognanti raccontano favole fantastiche vicine ai primi Genesis (ma sicuramente più simili agli Strawbs), ma il risultato finale non permette alla band di recitare un ruolo di una qualche rilevanza nello scenario artistico allora in inesorabile crescita.

Nemmeno quando si avventurano nell'ambiziosa suite (comunque pregevole) "Dark now my sky" i BJH riescono nell'intento di convincere sulla loro "seriosità" e nonostante l'impegnativo apparato orchestrale che li accompagna rimane sempre presente un senso di ridondanza eccessiva.

Ciònonostante meritano comunque un ascolto rispettoso ed attento.


GRAHAM CENTRAL STATION - Now do-u-wanta dance (1977)



Quinto grandissimo album dello straordinario bassista LARRY GRAHAM e della sua formidabile funkband, vero e proprio vulcano creativo nell'ambito della black-music.

E' insolto pensare alla musica funk con una ottica differente dalla musica di intrattenimento, specie nella decade del Philly Sound di KC & The Sunshine Band o del "glamorous" soul-funky-sound" di gruppi come Earth Wind & Fire. Eppure a certe band del movimento va riconosciuto il tentativo assolutamente encomiabile di spostare il baricentro della propria creatività istintiva verso qualche forma più elaborata ed imprevedibile dello schema funky-soul più tradizionale e banale.

FUNKADELIC ed i primi KOOL & THE GANG sono stati alcuni degli ottimi testimonials di questa sorprendente ibridazione di un sound nato per far ballare il corpo con elementi di stimolo anche mentale (necessari per apprezzare alcune sfumature del suono generale)

"Now do-u-wanta dance" contiene così elementi di Doo-Wop, Heavy Rock e strane influenze europee che si mescolano sapientemente al funky groove di base con cui far muovere la platea.

La title track è straordinaria in questa direzione, ma il devastante basso distorto (molto europeo in verità) dell'apocalittica "Earthquake" o nell'inquietante ballata soul "Lead me on" propongono davvero una musica meritevole di grandissima attenzione per un pubblico sensibile alla vera creatività-di-contesto, dove alcune trovate sono palesemente "fuori-standard" (il romantico "mellotron" sempre in "Lead me on") ma per questo indice di elaborazione cercata e ostinatamente voluta.

... inoltre - come ultima 'nota di colore' - gli appassionati del grandissimo PRINCE dovrebbero partire da QUI per ... ascoltarlo e capirlo!

lunedì 21 dicembre 2009

SAD CAFE' - Fanx ta-ra (1977)



Nella caotica transizione tra il Progressive e la New Wave attraverso la devastazione punk (non in senso negativo, ma dirompente) la musica considerabile semplicemente pop ha rischiato di perdere la sua stessa funzione di semplice intrattenimento, dal momento che ... quansi non esisteva più nessuno da ... INTRATTENERE ... appunto.

Per fortuna in quegli anni a cavallo tra il 1976 ed il 1980 una serie di band inglesi hanno provato a reinventare il linguaggio della musica pop alleggerendo le pomposità del progressive mantenendone la qualità evocativa e la brillantezza della tecnica compositiva ed al contempo aggiungendo una certa ironia tipica della trasgressione allora "in movimento" per alimentare un semplice divertimento superficiale ed epidermico.

Gruppi come 10.CC o SUPERTRAMP sono sicuramente stati all'avanguardia nel trovare in questa modalità una loro propria strada originale per declinare una materia molto difficile e delicata.

In questo contesto musicale quindi si inseriscono a pieno diritto questi sorprendenti (e sconosciutissimi) SAD CAFE' capitanati da Paul Young (omonimo del più celebre cantante brit pop-soul, ma che avrà solo successivamente la sua piccola oasi di popolarità collaborando con Mike Rutherford nell'off-shoot Genesisiano di Mike and the Mechanics) e completati dalla presenza di Ashley Mulford (chitarra solista) Tony Cresswell (batteria, percussioni e voci) John Stimpson (basso, chitarra acustica e voci) Vic Emerson (tastiere) Ian Wilson (chitarra e voci) e Lenni (sax, tastiere).

Raffinati, intelligenti ed eccellenti musicisti i SAD CAFE' con questo album "Fanx ta-Ra" (slang storpiato della formula colloquiale "Thanks to you") hanno prodotto uno dei dischi di pop-rock sicuramente più belli e validi per quella generazione di musicisti alle prese con un pubblico davvero in crisi di identità (o - forse meglio - con troppe identità musicali da considerare).

Non un vero e proprio CAPOLAVORO, certo, ma assolutamente da ascoltare con grande rispetto ed attenzione.


TRAFFIC - Low Spark Of High Heeled Boys (1971)



Disco - a mio parere - forse ingiustamente sottovalutato nell'ambito intera produzione Traffic, anche se realisticamente si pone all'inizio di una inequivocabile parabola creativa inesorabilmente in discesa.

Con la memoria rivolta ai brillanti inizi ancora acustici e post-folk, Winwood, capaldi e Wood si permettono un album più eterogeneo dei precedenti con sonorità anche molto vicine alla - da poco trascorsa - stagione psichedelica della quale sembrano scriverne un degno capitolo finale con l'opening-track "Hidden trasure".

Il brano che da il titolo all'album invece è una solida canzone in pieno "stile traffic" che rimane a cavallo tra una attitudine progressive sottolineata dai sassofoni di Wood ed una tradizione palesemente post-freak in grado di sfiorare con gusto e sensibilità anche traiettorie quasi-jazz per approccio (emblematico, in questo senso, l'assolo di organo clamorosamente distorto nelle title track).

Anche la solidità del riff dominante di "Rock & Roll Stew" contribuisce al meglio (soprattutto nella versione single riproposta nella ristampa in CD) per evidenziare comunque una buona vena creativa.

Compaiono però con una certa chiarezza anche le prime avvisaglie di una qualche perdita progressiva di lucidità nella produzione che sembra spostarsi verso registrazioni quasi estemporanee e scarsamente curate (basti pensare all'evidente voce registrata in precedenza e poi ritenuta non definitiva che però si distingue nettamente in background sempre nella title track ... o le evidenti imprecisioni di chitarra in "Light up or leave me alone") che danno sicuramente più "naturalezza" al sound del gruppo, ma sembrano raccontare anche di una difficoltà a mantenere alta l'attenzione artistica.

TRAFFIC - Shoot out at the fantasy factory (1973)



Non sarà forse il disco più riuscito di Winwood & C ma, se ascoltato con la giusta disposizione d'animo, ancora a distanza di tempo riesce ad avere dei momenti brillanti e degni della storia di un gruppo che ha alternato capolavori a pericolose derive scarsamente ispirate.

La voce filtrata con un banale (ma efficacissimo) "phaser" nella title-track è solo uno degli esempi che rendono bene l'idea della raffinata potenzialità creativa della band, esattamente come - al contrario - le eccessive ridondanze e ripetizioni musicali che sembrano allungare e diluire eccessivamente alcuni brani sono il manifesto palese di una certa difficoltà nello sviluppare ed evolvere maggiormente un'idea qualsiasi.

Nel sound generale sono ovviamente sempre più in grande evidenza le percussioni di Rebop mentre risulta più sommesso il sax di Chris Wood che (nonostante il suo - peraltro onestamente trascurabile - contributo compositivo con il brano "Tragic magic") non sembra proprio in grandissimo spolvero.

Forse - alla fin fine - la chiave di tutto sta proprio nel brano intitolato "(Sometimes i feel so) Unispired" che onestamente vede Steve Winwood raccontare con grande sincerità una fase piuttosto contraddittoria della storia sua personale e - di conseguenza - del gruppo, ponendo lperò contemporaneamente le basi della clamorosa (seppur effimera) rinascita creativa del gruppo avvenuta con la pubblicazione del successivo album in studio (dopo il mediocre doppio live "On the road") "When the eagle flies" poco più di un anno dopo.


giovedì 17 dicembre 2009

PHIL JUDD - Love is a Moron (2008)



Che strano disco questo per l'ex Split Enz ormai da tempo avviato ad una sua propria carriera musicale che però sembra sempre più rivolta ad una stretta cerchia di fedeli appassionati e/o nostalgici della sua creatività.

Dai tempi - ormai davvero lontani - degli Split Enz il suo metodo compositivo si è evo(in)voluto pur mantenendo una sostanziale affinità con la dimensione prevalentemente acustica che caratterizzava il suo contributo alla banda di origine neozelandese.

Judd a questo aspetto ha volutamente aggiunto con sempre più determinazione una "instabilità elettrica trasversale" che rende il suo sound senza dubbio molto (forse troppo) personale ed originale, tendenza questa confermata anche dal tono generale dei testi dove l'autore si mette a nudo e propone una narrazione (talvolta estremamente cruda ed impietosa) tutta incentrata sulla propria vita e le proprie travagliatissime vicissitudini personali.

A quest'ultimo aspetto fa unica eccezione nel disco una canzone palesemente dedicata a SYD BARRETT che si conferma come una delle sue figure di riferimento creativo.


mercoledì 2 dicembre 2009

SPLIT ENZ - The beginning of the Enz (1979)



Breve pubblicazione antologica (solamente 29 minuti scarsi) delle prime realizzazioni discografiche della band immediatamente prima della svolta elettrica rappresentata dalla registrazione ufficiale di MENTAL NOTES nel 1975 (con la band strutturata ormai professionalmente).

In questo prezioso album è contenuto il materiale che documenta la dimensione acustica della primissima idea degli SPLIT ENDS, voluti da Tim Finn, Jonathan Chunn e Philip Judd.

(01) - SPLIT ENDS (aprile 1973)
Accompagnati dal violino di Miles Golding e dal flauto di Mike Howard ecco le prime idee acustiche del trio Judd/Finn/Chunn pubblicate nel 1973 nel tentativo di iniziare una carriera professionistica. Ballatina quasi folk molto frizzante ed allegra.

(02) - FOR YOU (aprile 1973)
Ancora nella formazione con violino e flauto (ma con la batteria di tale Div Vercoe) una canzone del primo Finn sicuramente, ma con un curioso impasto vocale ed uno sviluppo vagamente prog sebbene acustico. Si capisce la passione per i MOVE inglesi e certe sonorità di quello specifico giro (anche la prima ELO). Forse ingenuo, ma interessante.

(03) - 129 (novembre 1973)
Qui iniziano le prime tracce dell'avventura che sarà ... infatti 129 è il primo titolo del brano che poi diventerà 'Matinee Idyll' (senza poi tante modifiche, tra l'altro) e l'atmosfera è già evidentemente SPLIT ENZ. Interessante l'uso degli archi e dei fiati in generale per un arrangiamento piuttosto insolito, che successivamente verrà sviuppato con la band in modo molto personale.

(04) - HOME SWEET HOME (ottobre 1973)
Una bella canzone psichedelica ma allo stesso tempo molto ben costruita, qui la band è quasi completa con Wally Wilkinson, Rob Gillies e Geoff Chunn (fratello di Jonathan) alla batteria. Echi di GENESIS lontani ed ancora qualcosa di brit-psychedelia.
Avrebbe dovuto essere il nuovo singolo della band, ma incomprensibilmente viene lasciato nell'archio della casa discografica.

(05) - SWEET TALIKG SPOON SONG (novembre 1973)
Sulla vena acustica di '129' questo brano dallo stile volutamente cabarettistico ed old-fashioned. Secondo singolo di discreto successo nell'area del continente australiano che dimostra anche una certa scelta promozionale di humour clownesco in parte del repertorio.

(06) - NO BOTHER TO ME (1974)
Oscura concept-song più impegnata di Tim Finn perchè complessa nell'organizzazione armonica per le tantissime influenza facilmente identificabili, dal prog al country al soul al glam ... un interessante guazzabuglio.

(07) - MALMSBURY VILLA (1974)
Inevitabile ulteriore clownerie a corredo dell'atteggiamento pubblico promozionale apparentemente 'fuori di testa' della band mentre l'organico si è ulteriormente espanso giungendo ad avvalersi del nuovo acquisto Eddie Rayner che rinforza in maniera incontrovertibile l'impianto musicale generale.

(08) - LOVEY DOVEY (1974)
Prima versione del brano che figurerà poi solamente nell'album di esordio euroepeo, intelligentemente recuperata da una delle tante felici intuizioni di Phil Manzanera.

(09) - SPELLBOUND (1974)
Non molto diversa dalla versione che comparirà l'anno successivo nel primo album downunder (e d'altronte i musicisti e l'idea è esattamente la stessa) se non per qualche battuta in più e per una sostanziale variazione sul cantato (che qui è a cura di Tim Finn .... mentre nell'album canterà - in modo completamente diverso e stravolto - Phil Judd).


SPLIT ENZ - Dizrhythmia (1977)



... ovvero del 'Jet lag' sofferto nei lunghi viaggi (circadian dysrhythmia) probabilmente all'origine anche dei primi dissapori nella band.

L'apparizione televisiva nel programma BBC 'Sight & Sounds' (visibile solo parzialmente nel DVD Split Enz) sembra cambiare la prospettiva professionale del gruppo ormai trasferitosi stabilmente a Londra. Quando di conseguenza esce sul mercato il secondo nuovo lavoro, i presupposti per una maggiore attenzione da parte del pubblico sembrano esserci tutti.

E' cambiata la produzione artistica, affidata questa volta a Geoff Emmerick, ma soprattutto sono cambiati gli equilibri all'interno del gruppo con la fuoriuscita di Phil Judd e Jonathan Chunn, una rivoluzione per nulla 'marginale'.

Anche se qualche cosa di Judd rimane in alcune composizioni presenti nella raccolta (una è addirittura completamente sua) è evidente che diventa Tim Finn il referente principale per l'aspetto creativo - coadiuvato di volta in volta da Eddie Rayner e Robert Gillies. I risultati sono tutt'altro che trascurabili qualitativamente, benchè molto più 'educati' delle instabili canzoncine trasversali di Judd. Il sound si fa più compatto e si allontana definitivamente dalle influenze del morente progressive per abbracciare con entusiasmo - e troppo opportunismo forse - una certo 'glam attitude' dell'epoca.

Altro particolare importante da notare è l'arrivo del fratellino Neil Finn alla chitarra ... che in realtà non una 'prima scelta' quanto un vero e proprio ripiego - dato che altri chitarristi avevano rinunciato all'impiego in una band così particolare - ma nel tempo questa soluzione 'in-house' si rivelerà incredibilmente vincente.

(01) - BOLD AS BRASS
A ben ascoltare ... sicuramente il brano migliore per cominciale il nuovo album e per attirare l'attenzione di nuovi potenziali fans e per consolidare quelli antichi, mantenendo quel mix di bizzarria e melodia che è stata fin qui la caratteristica principale della band.
Furbo ritornellino incastonato in un pop trasversale che diventerà il secondo singolo europeo (senza successo).

(02) - MY MISTAKE
Ecco il primo vero tentativo di approdo commerciale con questa canzoncina che - pur mantenendo efficacemente tutti i colori degli Enz - diventa il manifesto evidente della ricerca del consenso di mercato. Il risultato in Europa non sarà quello auspicato comunque mentre al contrario avrà invece pieno effetto sul mercato Australiano e Neozelandese.

(03) - PARROT FASHION LOVE
Uno dei brani più riusciti del disco perchè sostanzialmente vicino alle cose precedenti, con un più aggressivo e solido impianto rock, scritto con grande intelligenza da Rayner ed interpretato al meglio dall'intero gruppo. Una strizzatina al glam emergente con i fiati roboanti, ma una sana origine blues danno al brano un'atmosfera davvero interessante. Si sente la mancanza del basso di Chunn e delle potenziali 'diversioni' chitarristiche dello stralunato Judd, ma bisogna pure farsene una ragione.

(04) - SUGAR AND SPICE
Ed in qualche modo lo spettro di Judd emerge in questo brano (di sua composizione ... e si sente!) dove, nonostante il pesante trattamento 'glammy' generale, lo spirito sostanzialmente psichedelico del suo scrivere riappare nella sua vera genialità.

(05) - WITHOUT A DOUBT
Il contrappasso ideale alla memoria di Judd è invece questo brano del solo Finn, che indica in maniera molto evidente la strada verso una comunicazione comunque più immediata e meno instabile, con un gusto per la melodia decisamente più solido. Una ballata di pregio sicuramente meritevole di attenzione d'ascolto (anche se a volte - forse a causa del pianoforte - ricorda troppo il primo Elton John).

(06) - CROSSROADS
L'esuberanza (costruita e cavalcata promozionalmente con foto surreali e clownesche) del live set degli Enz viene proposta nell'album con questo pastiche che offre però ancora una volta l'occasione di apprezzare la quantità di soluzioni sonore presenti nel gruppo. Spiritoso e ben riuscito.

(07) - CHARLIE
Altra ballata, forse un po' 'più decentrata' dal 'nuovo suono' intrapreso in questo album, ma assolutamente efficace nell'interpretazione vocale di Finn e destinata ad essere un brano di punta nel live set. Memorabile qui l'arrangiamento delle tastiere di Rayner (organo, synth, mellotron e
soprattutto pianoforte) nella parte centrale, capace di raccontare una 'storia nella storia' evocando continui cambiamenti emotivi.

(08) - NICE TO KNOW
Una nuova sterzata rock/blues decisamente molto più grintosa e - per certi versi - più verosimile a quello che avrebbero potuto essere gli Enz se avessero mantenuto la formazione originale (e non è un caso se gli autori sono infatti Judd/Finn/Rayner). Probabilmente il brano che ancora oggi - dopo milioni di ascolti - ancora personalmente preferisco.

(09) - JAMBOUREE
Un bel divertissement 'in aroma prog' per concludere l'avventura. E' di fatto il lato più sperimentale del gruppo (l'aroma prog, nella sezione centrale appunto) ma il crescendo iniziale e finale sono di grande impatto emotivo. Inutile sottolineare il fatto che gli autori riconosciuti del brano sono - neanche a dirlo - Chunn, Crombie, T. Finn, Green, Judd, Rayner ... come a dire SPLIT ENZ mark 1b (!!!)


martedì 1 dicembre 2009

TUXEDOMOON - Bardo Hotel soundtrack (2006)



Anche se in maniera indiretta, i Tuxedomoon tornano a collaborare con quella San Francisco che avevano momentaneamente lasciato nella seconda metà degli anni ottanta per rifugiarsi nell'europa dalla cultura molto più affine alla loro espressione musicale (ma era poi vero?).

La collaborazione con il regista George Kakanakis (amico incontrato ai tempi del collettivo di San Francisco appunto) si concretizza con questa colonna sonora strumentale molto malinconica e decadente del film THE BARDO HOTEL ispirato dal romanzo omonimo di Brion Gysin.

Anche dopo tanti anni comunque la musica dei Tuxedomoon continua ad avere un suo proprio fascino particolare e merita sempre un grande rispetto.


TORI AMOS - Midwinter graces (2009)



Con un'intelligente operazione Tori Amos riesce ad assestare un colpo da maestra alla sua già luminosa carriera pubblicando un album di non-natale, ricco di emozioni popolari con personalissime reinterpretazioni di semi-sconosciuti canti di stagione ed eccellenti nuove composizioni.

Si sa bene della sua stessa vita vissuta non proprio allineata ai dettami del padre ministro religioso in quel di casa, e per questo la scelta di di Myra Ellen è ancora più densa di significato e per nulla ipocrita.

Non ho idea di quando lo standard qualitativo della musa di Baltimora scemerà definitivamente, certo è che per il momento la sua straordinaria voce ed il suo talento compositivo continuano a colpire con grande intensità.


ps: ... unico rammarico ... ma come si fa a pubblicare una copertina così ORRIBILE ? argh!


CAMEL - I can see your house from here (1979)



Non sarà certo il migliore album della band di Andrew Latimer ma è senza dubbio uno dei più sinceri e disimpegnati in assoluto, senza orpelli da intellettuali late-prog (se non forse per l'eccessiva copertina). Il tentativo di proporre una musica semplice e più diretta ('Your love is stranger than mine', 'Remote romance' o 'Neon Magic') non è da considerarsi per forza come uno scadimento della qualità in assoluto, quanto invece un ardito tentativo di togliere una patina d'impegno (con anche una buona dose di autoironia ... come evidenzia la citazione di ''Snow goose' con un organetto ad aria sul finale proprio di 'Neon Magic') francamente ben poco difendibile dato il periodo storico (i 'meravigliosi' anni ottanta sono alle porte ... meglio prepararsi).

Kit Watkins (ex-Happy the man) condivide il reparto tastiere con l'ex-Caravan Jan Schelhaas ed il suono ne guadagna in virtuosismo (ascoltare l'opening track 'Wait' per conferma), spostando ed allontanando ancora di più l'atmosfera di questi nuovi Camel dalla dimensione musicale precedente (eccellente soft-prog) per provare a traghettarli altrove.

L'inevitabile presenza di Mel Collins (vero prezzemolo sonoro del periodo) aggiunge un ulteriore motivo di sincero piacere d'ascolto senza alcun riferimento con i trascorsi inquieti del suo stesso progressive più agitato.

Comunque non mancano i momenti 'tipici' del suono Camel ('Hymn to her', 'Ice') e sebbene siano in evidente inferiorità quantitativa, mantengono anch'essi una grandissima dignità musicale.

Un disco onesto che merita di essere presente nell'audioteca di chi vuole conoscere la musica inglese nella transizione tra due decadi così drammaticamente differenti tra loro.