Non sarà certo il migliore album della band di Andrew Latimer ma è senza dubbio uno dei più sinceri e disimpegnati in assoluto, senza orpelli da intellettuali late-prog (se non forse per l'eccessiva copertina). Il tentativo di proporre una musica semplice e più diretta ('Your love is stranger than mine', 'Remote romance' o 'Neon Magic') non è da considerarsi per forza come uno scadimento della qualità in assoluto, quanto invece un ardito tentativo di togliere una patina d'impegno (con anche una buona dose di autoironia ... come evidenzia la citazione di ''Snow goose' con un organetto ad aria sul finale proprio di 'Neon Magic') francamente ben poco difendibile dato il periodo storico (i 'meravigliosi' anni ottanta sono alle porte ... meglio prepararsi).
Kit Watkins (ex-Happy the man) condivide il reparto tastiere con l'ex-Caravan Jan Schelhaas ed il suono ne guadagna in virtuosismo (ascoltare l'opening track 'Wait' per conferma), spostando ed allontanando ancora di più l'atmosfera di questi nuovi Camel dalla dimensione musicale precedente (eccellente soft-prog) per provare a traghettarli altrove.
L'inevitabile presenza di Mel Collins (vero prezzemolo sonoro del periodo) aggiunge un ulteriore motivo di sincero piacere d'ascolto senza alcun riferimento con i trascorsi inquieti del suo stesso progressive più agitato.
Comunque non mancano i momenti 'tipici' del suono Camel ('Hymn to her', 'Ice') e sebbene siano in evidente inferiorità quantitativa, mantengono anch'essi una grandissima dignità musicale.
Un disco onesto che merita di essere presente nell'audioteca di chi vuole conoscere la musica inglese nella transizione tra due decadi così drammaticamente differenti tra loro.
Kit Watkins (ex-Happy the man) condivide il reparto tastiere con l'ex-Caravan Jan Schelhaas ed il suono ne guadagna in virtuosismo (ascoltare l'opening track 'Wait' per conferma), spostando ed allontanando ancora di più l'atmosfera di questi nuovi Camel dalla dimensione musicale precedente (eccellente soft-prog) per provare a traghettarli altrove.
L'inevitabile presenza di Mel Collins (vero prezzemolo sonoro del periodo) aggiunge un ulteriore motivo di sincero piacere d'ascolto senza alcun riferimento con i trascorsi inquieti del suo stesso progressive più agitato.
Comunque non mancano i momenti 'tipici' del suono Camel ('Hymn to her', 'Ice') e sebbene siano in evidente inferiorità quantitativa, mantengono anch'essi una grandissima dignità musicale.
Un disco onesto che merita di essere presente nell'audioteca di chi vuole conoscere la musica inglese nella transizione tra due decadi così drammaticamente differenti tra loro.
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