domenica 24 novembre 2019

MASSIMO GIUNTOLI & ELOISA MANERA (HOBO) - "Edmund" (2019)

























Era da qualche settimana che aspettavo il momento giusto per ascoltare queso ultimo lavoro di Massimo Giuntoli qui impegnato nel progetto HOBO in valida compagnia di Eloisa Manera.
Si, perchè ci vuole il "momento giusto" per apprezzare appieno la prepotente carica creativa trasversale di Giuntoli, musicisti tra i più originali ed intelligenti di un panorama nazionale spesso scarsamente osservato in patria.

La versatilità creativa di Giuntoli lo porta a cambiare spesso il "format" della proposta artistica ed in questo caso siamo di fronte ad una riuscitissima interazione (ed integrazione) tra harmonium, flauto dolce glockenspiel e violino, in una dimensione acustica straordinariamente riuscita tanto nelle parti più "astratte" quanto nelle composizioni più rigorose.

E' una dimensione sonora confortevole all'ascolto e particolarmente raffinata nel miscelarsi delle voci protagoniste molto ben calibrate nel proprio ruolo di "parte del tutto".

L'atmosfera creata con questa combinazione non può non riportarci ad una coinvolgente dimostrazione del valore del suono acustico, una tradizione sonora troppo spesso dimenticata in rutilanti ere tecnologicamente condizionanti.

E' un assoluto piacere apprezzare un uso creativo di suoni che sembrano venire da un'altra realtà (per fortuna davvero esistente) evocata attraverso un linguaggio musicale attento e particolarmente ben amalgamato.

Un disco, ma soprattutto, un compositore che meriterebbero una più attenta considerazione da parte di un pubblico che sicuramente esiste e che sarebbe in grado di apprezzare l'essenziale intelligenza nascosta tra i numeri digitali di questo cd... se solo ne venisse esposto con una adeguata frequenza.

E allora, visto che questa frequenza viene negata dall'appiattimento artistico globalizzato (e funzionale solo alla dimensione economica) invito modestamente tutti a compiere l'atto rivoluzionario di acquistarne documentazione, per sostenere concretamente anche chi ha il coraggio e la costanza di pensare ancora ad una musica capace di viaggiare nel tempo e verso un tempo nuovo ... unica speranza per lasciarsi alle spalle il vuoto del mero intrattenimento comandato e coatto.

www.massimogiuntoli.com

venerdì 8 novembre 2019

La mia ritrovata passione per Steve


... non ho idea se si tratti di un tipico caso di nostalgia senile (o quasi), ma non nascondo il fatto che molto spesso (molto più di quanto in effetti lo notifichi in questo spazio social) accompagno la fine del giorno con la visione di uno dei numerosi DVD live che documentano il percorso di riproposizione dei classici dei Genesis ad opera di Steve Hackett ... ed è una cosa piuttosto strana dato che fino a due anni fa avevo letteralmente snobbato l'operazione "revisited" iniziata dal chitarrista londinese già nel lontano 1996. In effetti quell'album mi aveva provocato una discreta "orticaria d'ascolto" per le scelte di arrangiamento e rielaborazione - anche troppo azzardate - dei classici della (per me) leggendaria band della Charterhouse.

Il caso ha però voluto che, in un inaspettato impeto di curiosità, decidessi di acquistare il CD/DVD della sua performance all'Hammersmith Apollo in Londra della primavera del 2013 e dal quel momento in avanti non ho più smesso di seguire le sue uscite discografiche (spesso poi solo parzialmente) antologiche dedicate al repertorio dell'epopea progressiva dei Genesis. In effetti non ho mai avuto una grande passione per la sua produzione solista fatta eccezione per "Voyage of the acolyte" (1975), "Please don't touch" (1978), "Sketches of Satie (del 200 con il fratello John) e - più recentemente - "Wild orchids" (2006) ... e non mi hanno scaldato il cuore nemmeno le operazioni in compagnia di altri grandi della stagione d'oro ("The Tokyo tapes" con John Wetton e Ian McDonald). Invece questa nostalgica passione per il suo modo così educato (a volte quasi impacciato) di proporre quelle pagine fondamentali per il mio ascolto post-adolescenziale (ed oltre) è esplosa definitivamente con quell'album/DVD del 2013 portandomi a riflettere a lungo sul valore delle riproposte antologiche ad opera di protagonisti delle produzioni originali. Il dibattito sulla effettiva  opportunità di creare intorno a se una "coverband di se stesso" lascia aperte molte perplessità e critiche spesso non del tutto immotivate. Ma nel caso in specie, Hackett ha ricostruito parte di quel clamoroso repertorio (snobbato dagli altri componenti della band, impegnati evidentemente a perseguire creatività - Gabriel - e business - gli altri tre) elaborando strategie di eprformance estremamente raffinate ed intelligenti. Tra esse la prima e più evidente è l'utilizzo geniale del sax soprano di Rob Townsend (eccellente polistrumentista) a contrappunto del suono della sua tipica chitarra (peraltro enormemente più consolidato e preciso degli anni precedenti). Anche la scelta del cantante a cui affidare la delicata ed ingombrante riproposizione del ruolo di Peter Gabriel si è rivelata clamorosamente azzeccata con la prorompente statuaria figura dello svedese (ma americano di nascita) Hugh Eric Stewart aka Nad Sylvan, il cui timbro vocale, pur avvicinandosi spesso all'inflessione originale gabrieliana, è andato via via evolvendosi fino all'ultima eccellente dimensione interpretativa offerta dal più recente album con la Heart Of England Orchestra registrato alla Royal Festival Hall. Anche la scelta di affiancargli spesso altri vocalist d'eccezione ospitati nelle varie occasioni (dall'immortale John Wetton a Jakko Jakszyk, Nick Kershaw, Steve Rothery, Amanda Lehmann e Steven Wilson) in grado di offrire nuove "sfumature" a grandi classici del repertorio Genesis.

A queste scelte sicuramente intelligenti che mostrano palesemente una grande sensibilità artistica, non possono non affiancarsi anche la preziosissima collaborazione al progetto di altri maiuscoli interpreti/interlocutori quali Roger King alle tastiere, Gary O'Toole alla batteria e alla voce oltre che i differenti bassisti che si sono alternati negli anni, da Lee Pomeroy a Jonas Reingold passando per Nick Beggs ovviamente.

Questa mia rinata passione per Hackett mi ha anche portato ad assistere ad un suo concerto del suo Tour de Force del 2018 e ne sono uscito ancor più convinto della bontà del suo lavoro e della sua quasi imbarazzante semplicità d'approccio quasi cabarettistica con il pubblico presente (leggendaria la sua introduzione al concerto della Royal Albert Hall qualche anno fa: "... benvenuti al Royal Albert Pub!!!").


Ora, all'ascolto di questo ultimo prodotto di rielaborazione, mi sono posto con uno spirito critico particolarmente appuntito perchè la presenza dell'orchestra in contesti "progressivi" ha spesso rappresentato una addizionale ed indigesta melassa sonora, capace di enfatizzare a dismisura solo la retorica di alcuni passaggi compositivi di quella particolarissima generazione di musicisti degli anni settanta. In questo caso invece mi sono ampiamente ricreduto e le orchestrazioni sono particolarmente discrete ed amalgamate al resto del suono del gruppo (tranne forse in uno o due momenti quasi incomprensibili per scelta). Un connubio ampiamente riuscito quindi che rinnova la sensazione di quanto incredibili fossero state quelle pagine scritte da musicisti poco più che ventenni con nessuna certezza di raggiungere una notorietà ed una stabilità commerciale futura, alimentati dalla sola voglia di creare "nuove combinazioni creative" e sostenuti da generazioni di ascoltatori/spettatori avidi di curiosità e partecipi protagonisti dell'importante testimonianza creativa dei tempi.

Mi è anche subito tornata in mente l'occasione nel 2015 in cui Hackett aveva già provato ad interagire come ospite (ma con suo repertorio) con la band islandese Todmobile e dove forse la prepotente voce del cantante Eyþór Ingi Gunnlaugsson (prodotto di un "talent" televisivo islandese) aveva messo in discussione il registro interpretativo scelto da Sylvan, ma a ben vedere la strabordante interpretazione del ragazzo dal nome impronunciabile altro non ha fatto se non mettere ancora più in luce l'algida e raffinata scelta dello svedese americano ... probabilmente è stato un bene poter apprezzare due performer così diversi alle prese con uno stesso delicato repertorio.
E lo stesso discorso può essere fatto anche per le due Orchestre a confronto, più esuberante e prepotente l'orchestra islandese Sinfonia Nord & Chorus e più misurata e discreta la Heart Of England Orchestra, capace di restare all'ombra della band sul palco.

Tornando al DVD della Royal Festival Hall ... dato per superato l'esame "orchestrale" non posso esimermi dal segnalare la mostruosa evoluzione interpretativa di Nad Sylvan che finalmente rende sue (per quanto possibile, ovviamente) tutte le pagine che furono di Gabriel e Collins, imponendo nuove preziose sfumature vocali dove le caratteristiche dei due sopracitati non sarebbero mai andati a parare ... e mi spingo a dire che alcune delle interpretazioni di Sylvan adesso possono ampiamente competere (ed inqualche caso addirittura superare) con le suggestioni originali, aggiungendo nuova modernità e raffinatezza a contesti considerati forse ingustamente intoccabili.

Un unica considerazione finale la vorrei dedicare al repertorio "originale" di Hackett che mai come in questo ultimo caso perde il confronto con le "antiche gesta" ... il suo peculiare stile lo porta ad essere tra i più confusi e scomposti, a cavallo tra banalità tematiche davvero insostenibili e scelte spigolose talmente coraggiose da risultare anche esse incomprensibili. Ma è nella sua apparentemente innocente naturalezza che Hackett mi costringe a perdonarlo ... la sua ombrosa simpatia me lo rende quasi familiare e non posso non continuare ad ascoltare/vedere le sue soniche gesta sul palco attraverso le sue periodiche pubblicazioni.

Bravo Steve ... e bravi tutti !!!

martedì 5 novembre 2019

1979-2019 - The men who make the music (e non solo quella)

... a distanza di 40 anni è ancora complicato ricostruire il clamoroso debutto multimediale della band di Akron, quel mini-film concepito, scritto e fortemente voluto da Gerry Casale e Mark Mothersbaugh nel 1979 ed affidato alla regia di Chuck Statler.
Il "film" in realtà non vide mai la luce nella sua forma integrale e la copia che girò nei primi anni ottanta come "definitiva" in realtà tralasciava alcuni episodi girati ma mai definitivamente inclusi.

In effetti, non esiste una vera e propria versione definitiva e completa di questo magistrale guazzabuglio di idee rivoluzionarie, ma solamente una serie di edizioni che tra loro contengono spezzoni ed elementi omessi da tutte le altre ... la mia quarantennale DEVOzione mi ha spinto a cercare di rimettere in ordine quanto prodotto in quel 1979 per quel mini-film originariamente intitolato "DEVO Vision" ma poi ribattezzato "THE MEN WHO MAKE THE MUSIC" ma conosciuto anche come "THE TRUTH ABOUT THE DE-EVOLUTION".

E' interessante notare come il primissimo progetto originale fosse stato concepito PRIMA del grande successo internazionale ed in effetti nella versione iniziale non esistevano i personaggi collaterali quali Daddy Knowitall, Rod Rooter e Penny non erano stati nemmeno concepiti nella trama. Al loro posto erano state usate delle riprese amatoriali di alcuni concerti della band prodotti da Marina Yakubic (fidanzata con Mark all'epoca).





Sequenze presenti nella versione pubblicata nel 1981:

* Opening (late Booji Boy & General Boy)
"Have you got the papers that Chinamen gave you?"
* General Boy speech
* MECHANICAL MAN (solo intro)
* JOKO HOMO (videoclip)
* General Boy speech
* WIGGLY WORLD (live)
* General Boy speech
* THE DAY MY BABY GAVE ME A SURPRISE (videoclip)
* Roll out the barrell (aka Rod Rooter Big Reamer)
including
- Daddy Knowitall calls Rod Rooter
(background music: "SMOZART" by Mark Mothersbaugh)
- Rod Rooter calls Devo
- Big Entertainment: Penny's job
- Devo (no Alan) meet Rod Rooter
- Devo with Alan spyed at Club Devo
* PRAYING HANDS (live)
* General Boy speech
* UNCONTROLLABLE URGE (live)
* SATISFACTION (videoclip)
* General Boy speech
* JOCKO HOMO (live)
* SECRET AGENT MAN (demo)
* Devo speech
* SMART PATROL (live)
* MR DNA (Live)
* Devo speech
* General Boy speech
* COME BACK JONEE (videoclip)
* General Boy final speech
* (THE WORDS GET) STRUCK IN MY THROAT (finale) feat. Booji Boy
* RED EYE feat. Booji Boy
* Devo final credits
* DEVO CORPORATE ANTHEM

regia di Chuck Statler
con
Mark Mothersbaugh
Gerald V. Casale
Robert "Bob1" Mothersbaugh
Robert "Bob2" Casale
Alan Myers
Michael Swartz (Rod Rooter)
Robert Mothersbaugh Sr. (General Boy)

Nel 2000 la Rhino Records scrittura il gruppo e annuncia la pubblicazione di un DVD intitolato "THE COMPLETE TRUTH ABOUT THE DE-EVOLUTION (Unexpurgated)" che vedrà la luce solo tre anni dopo.
Il titolo ed il contenuto di questa edizione risulta però onestamente fuorviante per chi avesse sperato di trovare finalmente in un unico supporto l'integrale girato dell'epoca. Infatti,  il materiale del film originale, pur beneficiando della qualità della elaborazione digitale (ma attenzione ... molto "relativa" comunque già in partenza), in realtà è un non-generoso estratto dal film completo.
Nonostante questo aspetto negativo, l'appassionato DEVOto può sicuramente perdonare questa mutilazione del film originale perchè a "compensazione" vengono per la prima volta pubblicati alcuni gustosi spezzoni inediti che documentano l'incontro tra Rod Rooter e la sorella (Daughter Donut che probabilmente faceva parte di una ulteriore estensione della trama e della sceneggiatura) e soprattutto il finale originariamente previsto" con l'emblematico "smascheramente e sacrificio" di Booji-Boy commentato da una incredibile "Because" beatlesiana letteralmente demolita e sonicamente calpestata da suoni elettronici scarsamente codificabili ad un primo ascolto.
Nella stessa edizione del 2003 sono presenti diversi bonus tra cui il più significativo (per la relazione con il progetto originale) è quello che documenta un ulteriore "sacrificio" di Booji Boy (decisamente molto più cruento) che ricordavo di aver visto proiettato sul palco in conclusione del concerto nel tour del 1980 di "Freedom of choice", ma di interesse è anche lo spin-off del 1982 con un'introduzione al video di "Through Being Cool" (mai davvero utilizzata nei tempi contigentati dei canali di video-musica) che vede protagonista nuovamente Rod Rooter e la partecipazione stupefacente - e straordinaria - di Timothy Leary nei panni di Doctor Bruthfood)

Nel 2014 la MVD ha nuovamente pubblicato questo progetto, integrandone il contenuto con un intero concerto del 1996 al Sundance Film Festival. Nel tentativo di migliorare la "scarsa" qualità del video originale, la postproduzione di questa edizione risulta sicuramente più nitida, ma un po' meno convincente nei contrasti colore.Ma soprattutto questa ultima edizione è priva di tutti i bonus presenti in quella della Rhino.

Comunque sia andata ... uno di documenti che (per me) hanno segnato profondamente un'epoca di presa di coscienza e consapevolezza della molteplicità dell'arte pop contemporanea ... e ancora oggi, quando lo guardo ne apprezzo la carica creativa e rivoluzionariamente de-evoluta.