venerdì 13 febbraio 2009

THIRD EAR BAND - The Magus (1972)




E' cosa abbastanza acclarata che la Banda del Terzo Orecchio abbia dato il meglio di sè con i primi tre album (e non sarà certo io ad esprimere un parere contrario a questa saggia diffusa convinzione).

Quando uscì "Macbeth", sorprendente colonna sonora per il truculento omonimo film di Roman Polanski, era il 1972 ed il gruppo era forse arrivato al proprio capolinea creativo. Per questo motivo nonostante si sapesse che proprio alla fine di quell'anno il gruppo aveva effettuato delle registrazioni rimaste inedite, negli anni, è stata alimentata dagli appassionati di quella stagione musicale la leggenda di queste introvabili testimonianze dell'ultima dimensione creativa di Glen Sweeney, Mike Marchant, Simon House, Paul Minns e Ron Kort.

Quando nel 2005 finalmente l'indie label Angel Air ha dato proprio a Kort (custode del prezioso reperto per tutti questi anni) un budget ritenuto sufficiente per produrre finalmente un disco ufficiale, gli amanti del gruppo si sono immediatamente divisi in merito al giudizio da dare all'operazione.

Pur condividendo molte delle osservazioni negative che riguardano questo "non lavoro" (mancanza di vera originalità, dimensione creativa forse confusa ed evidente non completa cura nella produzione sonora) in questi anni, riascoltandolo con una certa disponibilità mi sono fatta un'opinione molto più benevola e favorevole nei confronti di questo materiale.
Alcune delle atmosfere contenute in The Magus sono davvero inquietanti, così a cavallo tra una psichedelia ormai esausta ed una volontà di approdare alla filosofia dell'elettronica applicata, in grado di offrire una possibile alternativa sonora all'acusticità tradizionale del sound della Third Ear Band.

C'è del "gotico" nelle oscure narrazioni presenti nell'album e in particolare le ossessionanti percussioni rappresentano una interessante chiave di lettura per una possibile (ma non realizzata) prospettata deriva creativa del gruppo.

Magici riverberi e improbabili "tremolo" si alternano nel definire la generale atmosfera sonica che a volte raggiunge una ipnotica e convincente ripetitività espressiva.

Io, una riascoltatina, gliela darei ...

JOHN OSWALD - Plunderphonics 69/96



Non so ve vi sia mai capitato di sentire parlare di un progetto chiamato PLUNDERPHONICS, ma se non avete mai avuto l'opportunità di confrontarvi con il paradosso musicale opera di JOHN OSWALD, vi consiglio una ricerca in rete o - meglio - un regalo da farvi nel nome della possibile deriva moderna creatività.
All'apparenza, è abbastanza semplice individuare l'origine del progetto Plunderphonics, ovvero la de-strutturazione di precedenti oggetti creativi completi, smembrati, de-composti e ri-composti con una mentalità da moderno musicista contemporaneo, dove l'unità di base della stesura musicale non è LA SINGOLA NOTA, quanto piuttosto un EVENTO MUSICALE (facilmente gestibile grazie alla tecnica del "campionamento").

In questo modo elementi UNICI di un determinato brano musicale vengono assemblati e riproposti insieme ad altri elementi UNICI di altri brani in un procedimento che si pone a metà strada tra la "concréte musique" ed il "cut-up" sonoro dei primi sperimentatori magnetici.
Il risultato è un DISTILLATO UNICO (ma non IL SOLO POSSIBILE) dell'interazione/collisione di unità sonore differenti per anni, stili e filosofie.

Non che questa idea sia frutto di assoluta originalità, dal momento che altri prima di Oswald hanno percorsa la strada dello "sfregamento da pietra focaia" di differenti musiche tra loro (Charles Ives, Ferruccio Busoni, The Residents, Frank Zappa per citarne alcuni) ma nel progetto PLUNDERPHONICS il nuovo contesto generale del mercato in cui questa operazione si va a compiere (siamo spesso nella metà dei rutilanti anni 80) offre implicazioni che vanno dal "rispetto" del diritto d'autore alla dignità del nuovo manufatto come "elaborazione e prodotto" della pura realtà sonica contemporanea.

Una filosofia che ha creato nuove interessanti prospettiva della potenziale funzione della comunicazione artistica (non ovviamente dell'intrattenimento audio) e che promette ulteriori sviluppi nel prossimo futuro sperimentale.

Limitandomi solo all'aspetto della "prassi" artistica mi viene spontaneo segnalare come l'ascolto di queste NUOVE COMPOSIZIONI talvolta si presenta davvero complesso e molto esigente in termini di concentrazione, soprattutto perchè si ci si ritrova costretti a seguire (INEVITABILMENTE inconsciamente) un dato frammento sonoro magari a noi ben noto e ritrovarlo nel suo nuovo contesto compositivo ... pur rimanendo legati contemporaneamente al ricordo della sua originaria collocazione nel NOSTRO passato d'ascolto e nel nostro relato immaginario musicale.

Con questa fatica l'ascolto pluri-elaborato in tempo reale diventa davvero un'impresa, foriera di potenziale mal di testa, ma anche di nuove e suggestive dinamiche creative.

Consigliato quasi esclusivamente ad ascoltatori ardimentosi e curiosi.