mercoledì 10 luglio 2019

TURN ON ... TUNE IN ... DROP OUT (Verona 2019)



TURN ON ... TUNE IN ... DROP OUT

... quanto tempo ci vuole per metabolizzare correttamente un concerto completo dei King Crimson versione 2019?

Difficile a dirsi.

Riuscire a smaltire la magia della serata in sè e per sè è faccenda che dipende dal numero di emozioni che si sono accumulate nello stargate (in questo caso in Arena a Verona) aperto da questi sette (dis)umani appartenenti alla artistica categoria dei "musicisti" ed intrattenitori ("my lords and ladies ... for your entertainment" come ricordava il buon vecchio esperto in salmoni Ian Anderson qualche decennio fa).

Ma il viaggio di lunedì sera è iniziato già a partire dall'opening tape che quest'anno è di gran lunga diverso dai precedenti ... evidentemente e palesemente ironico e meno serioso di quello tratto dalle sessioni di Islands che apriva i tour precedenti. Qui infatti ci sono echi di conversazioni recenti, di auguri di compleanno e un selezione casuale (?) di bizzarri rumori preparatori ... senza nessuna istruzione  d'arrangiamento per oboe o archi.
Rimane la scansione del beat "one ... two ... three ... two ... two ... three" di Mr. Fripp (che fu di riferimento per gli orchestrali impegnati a registrare il preludio di "Song of the gulls" ai Command Studios di Piccadilly nel lontano 1971) ma altro non è che il segnale per le tre batterie in prima linea sul palco di "iniziare le danze" con la rigorosa e colta tribalità delle 4 sequenze poliritmiche di "The Hell Hounds Of Krim" (spesso indicata nelle recenti tracklists dei concerti con la più breve denominazione di "Drumsons").

E' ovviamente solo l'aperitivo preparatorio per "Pictures of a city" che ormai è presente abbastanza spesso (direi ...) nelle scalette dei concerti (già a partire dal 2014) e che sembra avere un posto speciale nel cuore dei Crimsoniani di prima era ... un brano che all'epoca ebbe a competere con il fulminante inizio del primo album, quell'insuperabile scarica adrenalinica data da "21st Century Schizoid Man" che diede fuoco alle polveri di uno degli album più rivoluzionari della storia musicale del secolo scorso e che era davvero difficilmente raggiungibile per intensità solo qualche mese dopo, nel 1970. Però, a ben guardare, POAC ha una sua intrinseca solidità che probabilmente è il motivo stesso per cui è stata riscoperta e riproposta così tanto spesso in questo lustro con la formazione a sette/otto teste (a seconda). La versione di questo millennio è forte, muscolare, aggressiva ed anche in questa performance a Verona _(come lo è stato anche nelle precedenti occasioni, peraltro) aggredisce letteralmente il pubblico presente. Peccato per la sbavatura iniziale - attribuibile al fonico principale - per non aver aperto il microfono di Jakko in tempo per ascoltare le prime note della parte cantata ... una distrazione chissà dettata da quale preoccupazione contingente (pazienza, succede). Fripp aggredisce il pubblico con un primo assolo feroce (ma non sarà la prima volta in questa serata in Arena) per dare poi spazio alla voce inconfondibile del sax alto dell'intramontabile Mel Collins che tra mezze citazioni, snorks e fraseggi crea una dimensione solistica parallela che permette nuovamente a Fripp di riproporre le sue laceranti sequenze d'accordi, uniche ed inconfondibili.

Una serie clusters di pianoforte di Jeremy Stacey introduce uno dei pochi brani del repertorio contemporaneo di corte "Suitable Grounds For The Blues" ... una "bluesy song" scritta a due mani da Jakko e Fripp con un evidente ricercato DNA crimsonikco (a me personalmente piace molto, ma comprendo le riserve dei crimsoniani più integralisti). Difficile comprendere in questo caso il finale dissonante di Fripp che sembra quasi essere "andato lungo" rispetto alla band, ma l'effetto è molto "Crimson" comunque, diverso dall'efficace rauco wha wha che concludeva ed evaporava misterioso nell'originale versione (per me) di riferimento contenuta in "Radical Action To Unseat The Hold Of Monkey Mind (disco 2)" del 2016.

Salto quantico di cinquant'anni con la successiva "Epitaph" ... chi mai avrebbe detto fino a dieci anni fa che sarebbe stata risuonata live davanti ad un qualsiasi pubblico con l'ufficialità della corte completa? Naturalmente questa considerazione vale per quasi tutti i brani del recente repertorio proposto da questi KC ed è ogni volta motivo di profonda riflessione per me che li ho seguiti in tutte le loro stagioni peripezie ed avventure sonore. Sono sempre emozioni difficili da contenere forse perchè appartengono ad una generazione d'ascolto che era ingenuamente più incline a "credere" e "cedere" alle emozioni di una musica così "vicina" al proprio sentire post-adolescente (ed oltre). Collins manifesta (come ultimamente è solito fare quasi ad ogni concerto) la sua soddisfazione per essere riuscito ad eseguire l'ultima nota acuta di soprano nel tema d'interludio e pre-finale ... forse un gesto scaramantico e propiziatorio per la successiva serata (ma Collins è davvero fatto così, di una gentile disponibilità e sincera semplicità ... quasi disarmante per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo direttamente).

A seguire "One more red nightmare" che forse (per me almeno) non è tra le riproposte più riuscite del vecchio repertorio. E le ragioni forse sono che in primis le tre batterie non riescono a competere "concettualmente" con il drumming originale di Bruford (l'intelligenza musicale di quella stagione dell'ex Yes è a tutt'oggi ancora insuperata) e che la voce di Jakko fatica a mantenere corpo timbrico quando viene spinta in una dimensione più rauca. Indubbiamente però la massa sonica che travolge il pubblico è notevole ed è sicuramente sempre un piacere ascoltarne e subirne fisicamente la potenza sonora (soprattutto il finale con un Mel Collins ancora scatenato).

La bestia a sette teste riprende a macinare suono con la muscolare prima parte di  "Radical Action (To Unseat The Hold Of Monkey Mind)", una composizione geometrica in pieno stille frippiano post-Exposure ... è sempre un privilegio assistere ad una sua esecuzione così compatta e densa. la stratificazione delle tre batterie ha del diabolico qui e ci sarebbe da perdersi nell'ascoltarne le parti individuali.

Improvvisamente, magicamente tutto si calma per lasciare spazio all'accordo di pianoforte che inequivocabilmente fa emergere la profonda emozione che si andrà a vivere a breve ... "Island". In questo caso la riflessione del "chi l'avrebbe mai detto" è forse quella che mi sono ripetuto di più in questi anni ... e ricordo anche di averlo detto a Jakko in occasione del suo concerto a Mestre nel 2006, quando con mia massima soddisfazione la eseguì in coppia con il solo Collins ... ascoltarla anche questa sera nella cornice completa della corte ufficiale mi emoziona tantissimo e mi fa riflettere sul fatto che probabilmente questa è la "vera "starless" dei King Crimson, o per lo meno è la più rigorosamente frippiana (ovvio che il brano che concludeva "red" vive di una straordinaria luce propria ... sempre). Credo sia opportuno sottolineare cone questa "nuova" versione di "Island" sia evidentemente figlia della meravigliosa rielaborazione che Jakko aveva proposto nel suo eccellente album "The bruised romantic glee club" del 2006 ... apprezzata all'epoca anche dallo stesso Fripp (ospite peraltro nell'album). Peccato che - a differenza di quanto accaduto a Venezia l'anno scorso - l'entusiasmo del pubblico dell'Arena abbia iniziato ad applaudire a finale non ancora concluso, nascondendo lo stupendo e concettuoso rumore dello spegnimento dell'armonium originale che Fripp ha voluto lasciare come ultimo "rumore" di questo incredibile brano ... come dire se c'è questo "rumore" un motivo ci dovrà pur essere no? ... alla Fenice fu magico, qui meno.

"Cat food" (che avevo ascoltato nel soundcheck di Palmanova, ma che era stata omessa dalla scaletta abbreviata dopo il diluvio) era uno dei brani che avrei da sempre voluto ascoltare live. Tutto regge, il brano rimane profondamente sexy e coinvolgente (grazie ancora una volta al sax alto di Collins) ... tranne forse la voce che (anche in questo caso) necessiterebbe di maggiore potenza e corpo per essere gridata "look-a-Lake" e la scelta di cambiare l'armonia del ritornello non sembra la più riuscita.
E a proposito di "cose" non completamente riuscite (a mio modestissimo avviso ovviamente) è la nuova "Frame by Frame" ... ma confido nel fatto che sia solo la seconda volta che la ascolto in questa particolarissima rielaborazione (a Palmanova mi aveva davvero lasciato basito ... anche durante il breve soundcheck). E' però  sicuramente un buon segno che si sia voluto rileggere un brano simbolo dell'era con Belew e che si sia cercato di portarlo in una dimensione leggermente diversa, aggiornata, ma qualcosa non mi convince e sembra tutto abbastanza slegato (il flauto di Collins a volte sembra un po' forzato nell'evoluzione della tonalità) ... chissà che alla fine di questo tour non siano riusciti a migliorarla e renderla definitivamente compatta e coerente con l'intero repertorio.

"Drumzilla" è uno dei nuovi momenti poliritmici e spettacolari del trio di moderni multitamburini fronte palco. E' una gioia per gli occhi vederli alle prese con queste composizioni rigorose e allo stesso tempo apparentemente multimensionali. Dedicata a tutti i detrattori di questa scelta a tre batterie.

"Radical II" ritorna alla dimensione più muscolare del settetto e ricorda sempre l'origine dello stile dell'ultimo Fripp, spigoloso ma allo stesso tempo capace di coinvolgere l'ascolto con un "rock-no-rock-groove" unico nel suo genere. Personalmente è una di quelle indicazioni di stile che apprezzo tantissimo in un musicista creativo ed innovativo come Fripp (soprattutto a 73 anni).

Ma di fatto è solo un interludio per "Level five", più propriamente identificata come la quinta parte di "Larks' tongues in aspic", l'idea "senza fine" che Fripp porta avanti ormai dal 1973. Poderosa, imponente con il baritono di Collins (nonostante qualche indecisione) a sottolineare l'incedere marziale e minaccioso dell'intero combo regimentato in una dimensione decisamente rigoroso ma ugualmente ritmicamente esplosivo. Peccato per il mix in ascolto dove le due chitarre (ed il basso) risultano un po' troppo impastate per poter apprezzare l'intricata rete di unisoni e non ... ma non è certo una facile impresa rendere perfettamente distinguibili le parti in una dimensione sonora così complessa. ancora una volta la "voce" inconfondibile del sax alto di Collins (72 primavere anche lui) emerge sul rigoroso riff centrale, portante e ossessivo.

E pensare che a questo punto sono solo all'intervallo ... "quello che avviene dopo la prima parte e prima della seconda parte" ... come acutamente ci ricorda Fripp.

Annoto che la ripresa del concerto è stata affidata a "The Sheltering sky" (che avevo sentito nell'assolato soundcheck pre-cataclisma di Palmanova) ed è stata una piacevolissima sorpresa anche se l'impressione che ho avuto io è che sia stato de facto una specie di invito sonoro al "disordinato" pubblico ritardatario di recuperare il proprio posto per il vero inizio della seconda parte dello spettacolo. Brano suggestivo e propiziatorio nell'auspicio di uno "scudo del cielo" contro le intemperie ... ho pensato di come non fosse stato efficace due giorni prima e scaramanticamente ho temuto il peggio. Una versione sospesa, eccellente con il flauto di Collins ed i cluster pianistici di Stacey a fare da contrappunto alle evoluzioni chitarristiche di Fripp.

"The construkction of light" riprende a macinare musica con ordine e disciplina crimsoniana, una composizione di un momento creativamente straordinario (2000-2003) che poi di fatto è l'ultima manifestazione completamente progressiva ed evolutiva delle composizioni di corte ... l'ultima stagione totalmente creativa (sia nell'atteggiamento compositivo che nella dimensione radicalmente e selvaggiamente free). Come ormai cosolidato dagli ultimi anni si tratta della versione esclusivamente strumentale, logicamente emendata del contributo vocale che fu di Belew all'epoca.

Inaspettatamente (credevo foose stato escluso oggi) arriva uno dei brani amo di più dell'intero repertorio crimsoniano ... quel rivoluzionario "Circus" che ancora oggi mantiene inalterate tutte le emozioni dell'epoca grazie anche ad un arrangiamento accuratissimo e fedelissimo all'originale ... dalla reazione di tutte le platee che ho potuto verificare è decisamente un brano fondamentale per molti appassionati (e - del resto - come potrebbe essere diversamente???) ... un'altra ottima ragione per ringraziare questa formazione per averlo fatto risuonare ovunque dopo un destino d'oblio che sembrava ormai segnato.

Altro salto quantico per raggiungere "Neurotica" nella versione riadattata e priva di parte delle liriche originali di Belew. Un brano potentissimo dove lo stile ruvido e pesante di Stacey mescolato all'ondivago basso di Tony Levin offre un perfetto tappeto per le evoluzioni di Mel Collins e l'orchestrale arrangiamento chitarristico. La parte cantata più propriamente "song" del brano risulta comunque efficace nonostante la limitazione ed il taglio del testo originale e Jakko riesce ad offrire anche alcune sfumature interpretative originali che confermano la sua straordinaria versatilità vocale.

Solo a questo punto, realizzo che dall'inizio della seconda parte, ho puntati contro gli occhi tutti i fari d'ambiente posti nella parte alta delle americane sul palco. Probabilmente all'inizio, concentrato e motivato dalla musica non ho fatto caso a questa presenza, probabilmente considerandola inconsciamente legata alla necessità di offrire una minima illuminazione al pubblico che ritardava a riprendere il proprio posto dopo la pausa (volutamente ridotta dal gruppo).
Invece questa luce sugli occhi me la ritrovo ancora dopo un quarto d'ora dall'inizio del secondo set e realizzo quanto fastidiosa sia ... quanto devastante sia per toglier una parte della magia dell'Arena di Verona e del palco stesso. E mi è tornata in mente la polemica nata a Venezia, alla Fenice quando duranta la prima delle due serate (27 luglio) il pubblico (ed io tra tutti) della platea fu costretto ad assistere all'INTERO concerto con due paia di fastidiosissimi par puntati sugli occhi ... una sofferenza difficilmente giustificabile razionalmente. Ricordo di aver espresso a fine concerto parecchie lamentele al personale di sala credendo si fosse trattato di una mancanza delle italiche maestranze (incompetenti). Ed invece ricordo che all'incontro pomeridiano del giorno successivo il monarca in persona, sicuramente avvisato del malumore serpeggiato tra il pubblico la sera prima, disse che in realtà la luce sulla platea era stata una sua esplicita richiesta perchè voleva "vederci in viso" per aumentare il contatto e generare empatia ... giuro che rimasi a bocca aperta per una simile assurda giustificazione ... ma fui confortato dall'assicurazione della massima autorità di corte che durate il secondo spettacolo quelle luci sarebbero state ampiamente ridimensionate (e così fu, lasciando "solamente" un paio di par sfumati negli occhi del pubblico).
Ora, mi sono domandato se anche in questo caso Doc Robert avesse voluto "interagire con noi" ma mi sono particolarmente risentito perchè pur comprendendo appieno (senza condividerla altrettanto convintamente però) la politica del "no photo/no video" durante il concerto richiesta dai musicisti non riesco a capire come gli stessi possano imporre ad un pubblico pagante una presenza costante di luci negli occhi durante uno spettacolo ... è una questione di rispetto reciproco oppure il pubblico davvero deve ritenersi "suddito" non solo concettualmente e per passione creativa, ma anche come "gentil selvaggio" da domare? E' solo la mia stima per l'arte di questi musicisti che mi fa accettare questa scandalosa imposizione ... ma probabilmente sarà l'ultima volta (proprio per rispetto anche al mio ruolo di appassionato spettatore).

Ad ogni modo le sognanti note di "Moonchild" e la meravigliosa voce filtrata di Jakko prendono forma nell'aria (rendendo ancora più stridente la presenza delle luci negli occhi ... al punto che decido di indossare gli occhiali da sole) e mi riportano alla musica, al vero motivo della mia presenza in un luogo sì promiscuo. Sono contento abbiano deciso di "espandere" l'oasi sonora del brano (che fu di rivoluzionaria importanza nel 1969, meglio ricordarselo!) inserendo quelle che vengono chiamate "Cadenzae" caratterizzate da brevi interludi di Levin, Fripp (magico ... avrebbe potuto andare avanti per ore se fosse stato per me!!!) e Stacey che fungono da preludio al brano successivo, il maestoso "In the Court of the Crimson King".

Ben poco da dire a proposito, se non che avevo già notato la puntualizzazione nelle ultime scalette dell'indicazione "+ Coda" in calce al titolo ... ed è stata una piacevole sorpresa (solo parziale dato che l'avevo già sentita già a Palmanova comunque) dell'aggiunta del finalino conclusivo originale, venato di puro caos dove Jakko utilizza finalmente la piccola tastiera davanti a lui  ma soprattutto dove brilla -  assoluta - l'attitudine "full arm on the keyboard" a-la-Jerry Lee Lewis di Fripp alla tastiera "gusto mellotron" (amabile sorprendente goliardica novità ed indimenticabile come i suoi baci alle chitarre all'inizio e alla fine dei concerti di qualche anno fa).

Indubbiamente tra i momenti più spettacolari di questi ultimi anni cremisi è quello dedicato alla riproposizione di "Indiscipline", dove la triade batteristica fa sfoggio di bravura, intelligenza, misura e umorismo nello stesso tempo, spettacolarizzando i primi cinque minuti di un ostinato in continuo crescendo che davvero offre eccellente preludio per l'esplosione del grintoso tema principale del brano (datato 1981). Sicuramente tra i momenti visivamente più entusiasmanti dell'intero concerto (anche se devo dire che a mio avviso a Palmanova c'era tutt'altra voglia di fare casino). Non finirò mai di sottolineare l'intelligente di-versione e adattamento di Jakko della parte cantata origiariamente di Belew, un quasi-scat che aggiunge personalità musicale al brano in sostituzione all'estemporanea e nevrotica interpretazione originale. Inutile cercare di "imitare" Belew, meglio di gran lunga "rinnovare" la sua parte. Complimenti! (anche se so che a molti questa scelta non è mai piaciuta). Mi preme anche ricordare l'assalto chitarristico di Fripp dopo il primo stop ... una cattiveria che alla sua età è davvero invidiabile.

Siamo verso la fine evidentemente dato che le note di mellotron di "Starless" iniziano a tracciare il primo segno che la separazione dalla corte è vicina, molto vicina ... troppo forse. Un flash immediatamente prima è il preludio ad un inaspettata indecisione di Fripp alla seconda esposizione dell'immortale tema della canzone ... certo, è umano anche lui ed in questi momenti ci si rende conto di quanto sia  estremamente vulnerabile nel suo momento performantico (nonostante tutti questi anni) ... peccato per chi (in parecchi vicino a me) ha voluto sottolieare subito questa indecisione quasi con invidiosa soddisfazione (non è certo il mio caso). 

MALEDETTE LUCI !!! come è possibile ascoltare e guardare contemporaneamente l'universo intorno alla band diventare rosso fuoco con delle luci bianche puntate sul viso ??? Come rovinare un momento destinato al ricordo definitivo !!! Imperdonabile (qualunque sia la motivazione). 

"Starless" è un lungo addio ... ed è probabilmente il vero addio che bisognerà dare alla band alla fine di questa tournee celebrativa (non è un mio auspicio e tantomeno un mio augurio, ma è ragionevole pensare che dopo tutti questi anni in cui ci è stato regalato un viaggio nel mondo anche passato remoto dei suoni della corte cremisi sia ora e tempo di rivedere il progetto, secondo i ben noti canoni frippiani e le sue stagioni creative). Io sono personalmente convinto che in futuro, negli anni, si racconterà dei concerti di questa band come di qualche cosa di incredibile, di mitico ... rivolgendosi inevitabilment alle numerose documentazioni video fortunatamente disponibili, ma esserci stato di persona sarà privilegio unico del nostro presente ... mentre arriva il tema finale ... fin de partie.

A poco serve il travolgente rientro sul palco della "bestia a sette teste" per una fiammeggiante versione di "Schizoid man" caratterizzata da quattro elementi essenziali:
1 - la violenza del solo di Mel Collins ...
2 - l'altrettanta spropositata violenza di Fripp nel far deragliare nello spazio di un solo secondo musicale l'ennesimo "treno in per Sugar Hill in Harlem" evidentemente preso ancora una volta da Mel Collins ...
3 - l'alieno assolo di batteria di Gavin Harrison
4 - l'idiozia degli urletti del pubblico nelle pause finali
Ma in fondo in fondo è davvero l'ultimo rito collettivo che mancava quest'oggi per completare questo inevitabile lungo addio ... ricordare cioè da dove tutto è partito ... dalla profezia/indicazione dell'esistenza di una nuova forma evolutiva umanoide, quegli uomini schizoidi del 21mo secolo che (per loro fortuna) nonostante le brutture vissute e prodotte hanno avuto l'opportunità di accompagnare le proprie giornate anche con una musica unica ed irripetibile come quella dei King Crimson.

Amen