giovedì 3 febbraio 2022

TITO SCHIPA JR. - "Orfeo 9" (1973)















qualche giorno fa il mio abituale "suggeritore" in/volontario d'ascolti preferito (il fratello sonico Andrea) ha postato sulla sua pagina questo reperto davvero storico ... e mi sono subito mi ricordato che, allora tredicenne e per qualche oscuro motivo, mi sono davvero ritrovato davanti alla televisione di casa (rigorosamente in bianco e nero) ad assistere a qualche scena di questo "non ben identificato" programma visionario e che, con curiosità maldestra, avevo annotato sul mio diario di post-adolescente il nome di "Tipo Schioppa" per un eventuale approfondimento futuro. In tempi non globalizzati però era difficile avere facilmente informazioni da reperire velocemente e sicuramente sono stato immediatamente distratto dalla straordinaria quantità e qualità dei suoni e delle idee musicali che provenivano d'altrove, (anche se mi era sempre rimasto impresso quel bizzarro nome - purtroppo storpiato - scritto sul mio diario).

Proprio quel ricordo maldestro mi ha portato, successivamente ed in tempi più recenti, a riascoltare il doppio disco di questa italica "opera rock" rimanendone molto colpito più dall'aspetto "antropologico" che da quello prettamente artistico (più o meno lo stesso effetto che mi ha fatto riascoltare "MU" di Richard Cocciante (!) che all'epoca, nonostante l'inflazionata e psichedelica sua copertina campeggiasse nelle vetrine dei negozi di dischi locali, non avevo ovviamente provveduto ad acquistare).

A distanza di tutti questi anni (50!) e considerate le esperienze d'ascolto nel mondo dei suoni intercorse nello stesso arco di tempo, la visione dell'intera operina mi ha realmente incuriosito e - per certi versi - perfino colpito per alcune sue caratteristiche che definire "visionarie" potrebbe sembrare eccessivo, ma che a conti fatti illuminano con una forza poderosa la nicchia creativa post-cattolica del movimento (pop)progressivo di inizio anni settanta italico.

"Avanguardia da parrocchia" (absit iniuria verbis) avrei pensato in maniera molto manichea qualche anno fa, ma ripensandoci invece mi sono sentito molto "solidale" con lo sforzo mastodontico messo in opera da Tito Schipa ed il suo gruppo di coorti per dare credibilità ad un libretto d'opera moderna in un'Italia ancora permeata dalla cultura post-bellica e solo all'inizio del suo reale ricongiungimento con l'arte giovanile che da anni ormai si stava affermando oltre i nostri confini.

Al netto di alcune scelte ingenue e grossolane, la vertigine discendente dell'esperienza del qui presente Orfeo errante è gravida di riferimenti al mondo classico che vengono via via modellati e riadattati al "nuovo linguaggio" emergente (altrove) con l'esplicito intento di provare a creare suggestioni in grado di ridefinire la nuova cultura giovanile italica portando al suo interno una apparente sfrontatezza concettuale (la psichedelia, le droghe, il bad behaviour, il protesta contro il mondo dei "matusa") ed una più consolidata tradizione narrativa "da operetta" pop.

Il risultato ottenuto da questa impostazione porta lo spettatore (contemporaneo) ad una visione in modalità "roller coaster", continue montagne russe di retoriche metafore e tentativi di colta manifestazione post-cattolica del superamento di un "Dio" ben amministrato da un Vaticano particolarmente potente nelle commissioni di censura artistiche allora contemporanee. La storia di per sè potrebbe sembrare davvero "poca cosa" e la sua trasposizione scenica/cinematografica potrebbe risultare ancora meno interessante se non fosse per numerosi sprazzi di ingegno creativo che - sebbene oggi possano sembrare ingenui e banali (troppo facile affermarlo adesso pero!) - in realtà riescono a trasmettere con efficacia il messaggio desiderato.

Sorprende (fino ad un certo punto, ovviamente) la presenza di Loredana Bertè nel "coro greco" che accompagna la narrazione della storia e stupisce (sempre fino ad un certo punto) la performance di un Renato Zero ancora incendiario ed efficacemente nella parte, prima di diventare icona parallela di una gaudente generazione di "ribelli senza impegno culturale".

Una visione consigliatissima a cui sarebbe interessante aggiungere una "discussione post proiezione" contemporanea ... ne sentiremmo davvero delle belle.