venerdì 30 gennaio 2009

TALK TALK - Spirit of eden (1988)



Uno dei dischi a cui sono più legato in assoluto nella mia personale collezione è SPIRIT OF EDEN dei Talk Talk.

Possibile che una band che è stata al top delle classifiche internazionali nella metà degli anni 80 con canzoni (apparentemente) banali e scontate possa annoverare tra i suoi lavori un'opera che meriti tanto riguardo per un'ascoltatore (credo) svezzato come il sottoscritto?

Certo, potrei non essere affidabile, non lo metto in dubbio, ed i miei gusti sono sicuramente discutibili come quelli di chiunque e quindi lungi da me l'idea di voler sembrare una sorta di "guru dell'ascolto" illuminato.

Ma ...

... se per caso non avete mai incrociato sulla vostra strada questo supporto digitale, cercatelo per dargli una chance ... e provate ad ascoltarlo.

Potrà rendervi interminabili e noiosi i successivi quaranta minuti circa, oppure potrà aprirvi delle "vie musicali" davvero nuove ed impensabili fino al momento prima di selezionare il tasto PLAY del vostro lettore cd.

Non esiste un disco altrettanto sconnesso in grado di attirare l'attenzione e capace di dare forma quasi fisica alle emozioni, in grado di catturare frammenti di qualsiasi minimo pensiero e di riportarli alla superfice, facendovi confrontare con emozioni quali rabbia, solitudine, gioia, dubbio, rassegnazione, euforia, delusione e tristezza con una sequenza imprevedibile di cangianti successioni musicali.

La lunga iniziale THE RAINBOW ed i suoi due successivi movimenti EDEN e DESIRE è una inaspettata suite che non lascia scampo e benchè le liriche estremamente ermetiche di Mark Hollis risultino a volte disturbanti nella loro voluta incomprensibilità, il senso di non rassegnata delusione verso qualcosa o qualcuno ti si attacca all'anima e non ti molla più per 23 minuti.
Le chitarre elettrificate pesantemente e al limite della saturazione sanciscono territori dove il "ritmo" delle percussioni è solo un velato scandire del tempo ed i colori sono acustici e prodigiosamente "veri". Uno struggente organo Hammond travolge la scena di tanto in tanto, e le tastiere fanno sentire la loro presenza che è fonte di serenità e mai di tensione (quest'ultima emozione è affidata sempre al colore della chitarra).
E quando alla fine la voce finalmente grida e prende la responsabilità di farsi sentire tutto lo scenario musicale cambia di conseguenza e tutti gli strumenti aggrediscono l'attimo. La rabbia prende il sopravvento sulle mille possibili emozioni fino allora vissute.

La successiva INHERITANCE è una song nella più improbabile delle accezioni, ma in effetti è una bellissima canzone lasciata sospesa sui suoni "che non ci sono" ... ciò che sorregge il tutto sembra essere solo un fragile appiglio per tutti gli strumenti coinvolti che si aggrappano alle tastiere che offrono qualche momento di stabilità. Ma un incerto pianoforte, un oboe, un sax, qualche violino insieme, senza un sostegno solido, creano momenti di una nuova musica da camera totalmente aliena ed eterea. La batteria sussurra il tempo, o forse anche in questo caso scandisce un tempo che NON C'E'e vaga alla ricerca di qualcosa di stabile comunque.
E quando Hollis chiude il sipario con la frase
"Che il cielo ti benedica nella tua pace
Mio gentile amico
Che il cielo ti benedica"
si capisce che è una "dedica all'assenza" e tutto diventa limpido e chiaro.

Il "singolo" I BELIEVE IN YOU fortemente voluto dalla casa discografica, ma altrettanto fortemente osteggiato da Mark Hollis, è un'altra canzone più tradizionale. Una melodia sospesa, appoggiata ad un tappeto di tastiere che miracolosamente si dirada quando appare il "ritornello", rappresentato solo dalle parole sussurrate "spirit" e "how long" con un coro femminile che provene da un altrove (sicuramente più ... "alto").
L'instabilità riprende il sopravvento e rumori e suoni sconnessi ci ricordano che è questo il contesto dove si nasconde la straordinaria poesia di questa canzone. Il video per questo brano rispecchia perfettamente il senso di immobilità e di totale rifiuto commerciale da parte del gruppo (o di Hollis?).
I musicisti sono sovrapposti l'uno sull'altro quasi fossero una sola cosa e quando sul finale Hollis guarda verso un indecifrabile infinito sorridendo verso qualcosa che a noi sfugge ... ecco il senso del genio.

http://www.youtube.com/watch?v=_cIWsQuYVeg


(e le cose non cambiano nemmeno quando loro malgrado vengono chiamati alla esposizione
televisiva promozionale ... ed il documento
http://www.youtube.com/watch?v=Lr0TOwvM0fc&NR=1
lo dimostra)

A concludere questo disco il VERO CAPOLAVORO assoluto di QUESTI Talk Talk ... un brano intitolato semplicemente WEALTH che è insieme una richiesta di aiuto ed una sussurrata canzone d'amore.
Non ci sono esempi simili nella musica rock (ammesso che valga questo termine di riferimento) degli ultimi 50 anni, davvero.
Organo, piano, qualche chitarra ed una voce sommessa raccontano la bellezza e la malinconia del valore della libertà nel sentimento d'amore. Non esiste nulla come l'assolo centrale di organo, che non si può descrivere, posso solo provare ad immaginare come se fosse stato eseguito con ... le dita "spezzate" ... con il dolore e la difficoltà di una simile circostanza perchè quello che emerge da quel momento musicale è solo difficoltà e tensione verso una gioia superiore ... percepita, ma non ancora vinta. L'organo ed un basso accompagnano il finale, in una nuova dimensione quasi sacra, mentre la chitarra acustica solo ogni tanto si fa sentire con qualche nota o accordo che sembrano non voler disturbare il lungo abbandono.

Non vi sarà facile sostenere ancora una nota dopo l'ascolto di un disco simile, se anche solo per un momento sarete stati catturati da una dimensione musicale UNICA, IRRIPETIBILE.

Non sono sicuramente stato in grado di darvi una visione esaustiva di questo disco, ma almeno ho provato a segnalarvi un qualcosa che non può non essere stato ascoltato almeno una volta nella vita di un appassionato di musica.

Davvero.

Questo è sicuramente un disco da portarsi in un'isola deserta SOLO se non si ha paura di sè stessi.

Scusate la lunghezza e la passione.

r.i.p JOHN MARTYN (1948 - 2009)



Non c'è forse molto da dire a proposito ...
ma (per fortuna) resta ancora tanto da ascoltare!

Da adesso però ... siamo tutti un po' più soli.




L'archivista