giovedì 12 febbraio 2015

SYLVIA HALLETT - Let's fall out (1994)






















... Sylvia Hallett è un ennesimo esempio di patrimonio del mondo musicale degli ultimi trent’anni che passa sistematicamente inosservato anche ai più volonterosi ricercatori di suoni sperimentali e contaminazioni musicali multilivello.

E’ dalla fine degli anni settanta che questa eccellente musicista inglese lavora a contatto con musicisti dell’intellighenzia sonora d’oltremanica e non solo, collaborando a numerosi progetti con illustri colleghi quali Lol Coxhill, Maggie Nicols, Phil Minton, Evan Parker o gli ensemble Accordions Go Crazy, LaXula, British Summer Time Ends, Arc e The London Improvisers Orchestra.

Violinista di primo strumento, ma in realtà una vera e manipolatrice di suoni e supporti audio, ha costantemente portato la sua prospettiva musicale verso traiettorie originali e sapientemente in equilibrio tra provocazione sonora, scrittura tradizionale e tradizione popolare.

Alle elaborazioni soniche, Sylvia Hallett aggiunge anche la sua voce … non una “voce” particolare, non certo capace dei virtuosismi della sua (quasi) collega Iva Bittova, ma proprio nella “normalità” del suo timbro si nasconde uno dei valori di preziosa espressività naturale che quando viene in contatto con stridii laceranti di corde graffiate dal suo archetto riporta tutta la dimensione ad una umanità di rara bellezza ed efficacia.

A volte è possibile fare un paragone anche con il crooning di Ivor Cutler (genio obliquo ed incompreso d’Albione) e nella mansueta e composta dimensione di voce-strumento e rumori ambientali tutto sembra estremamente naturale e collocabile nello spirito più traditional e folk. Ed invece quella di Sylvia Hallett è musica che si protende verso una forma d’avanguardia insinuante e sempre pronta a prendere il sopravvento, pronta cioè a cancellare la fragile resistenza delle tradizioni popolari a vantaggio di oblique miniature di un futuro grottesco e fulminante.

“Let’s fall out” del 1994 contiene tutte queste caratteristiche e molte altre sfumature che sono lasciate alla sensibilità individuale dell’ascoltatore, alla sua disponibilità ad essere preso per mano e portato a spasso in un parco di divertimenti anomalo, dove lo stesso significato di “divertimento” deve essere ridefinito.

Un piccolo capolavoro, prezioso e dimenticato come solo i piccoli (ma in realtà grandi) capolavori sembrano essere destinati a rimanere.