giovedì 12 novembre 2009

dEUS - Pocket revolution (2005)



Questa è una band che AMO fin dalla prima loro nota che mi è capitato di ascoltare per sbaglio quando ancora facevo il Dj radiofonico (quando c'era spazio per proporre dei ragionamenti di musica indipendentemente dai palinsesti commerciali).

Era il 1995 e dall'ombroso Belgio, improvvisamente, senza avvertire, ecco una esplosione di intelligenza, cattiveria e sensibilità tutte raccolte in un unico progetto ("Worst Case Scenario") proposto da una band dall'ambiziono nome di dEUS (con quella vezzosa "d" minuscola prima delle rimanenti lettere rigorosamente maiuscole).
E come se non bastasse ... nel suono della band frammenti di Beefheart e Zappa con improbabili lontani echi di Nick Drake ... una rivoluzione che non poteva rimanere inascoltata da chi aveva già esperienza d'ascolto superiori alla media ... troppi riferimenti e troppe citazioni più o meno nascoste ... tutto molto intrigante.

Ho avuto modo di vederli live (prima del concerto dei RESIDENTS ad Arezzo nel 1997!!!!) in una condizione d'ascolto pazzesca ... avevo il volume dell'intera band che mi strappava i vestiti di dosso ... una esperienza davvero interessante (ripetuta 'fisicamente' solo qualche anno dopo con i KRAFTWERK ... ma questa è un'altra storia).

Ho seguito con la passione del fan (nonostante le primavere) tutta la produzione del gruppo senza MAI rimanerne deluso ... anzi ... acquisendo sempre maggiore certezza che dEUS sia stato davvero il miglior prodotto della sonnacchiosa Europa post new wave.

POCKET REVOLUTION è di fatto un disco di una maturità addirittura "ingombrante" ... e sebbene non sia indicatissimo per rappresentare l'ideale "entry level" per un potenziale appassionato è un lavoro che non può non stupire per la quantità di "umori" presenti tra nota e nota, fin dall'iniziale ossessiva (ma intensissima) "Bad Timing" che ti stacca dalla sedia con un crescendo pari a ben pochi nella storia del rock (in studio).

In sostanza, a mio modestissimo avviso, un disco da avere, (per un gruppo da SEGUIRE) da proporre alle nuove generazioni, da conservare ma soprattutto ... DA ASCOLTARE SPESSO!!!!

AUNT SALLY - Aunt Sally (1979)



Non mi è stato facilissimo affrontare un disco di New Wave giapponese, ma non per una questione di una qualche personale antipatia - anzi - quanto piuttosto per una mia sostanziale difficoltà ad immaginare quale fosse la percezione di una musica come quella, in Europa così legata alla post distruzione del progressive egocratico e così (spesso chimicamente) depressa rispetto all'animalità del punk.

Ma la cosa sorprendente (non nuova in realtà dal momento che le isole del sol levante sono sempre state musicalmente imprevedibili) è che questo progetto della cantante PHEW di fatto mescola ed amalgama, sapientemente, una moltitudine di molecole di idee presenti nell'atmosfera terrestre in quella fine anni settanta producendo un disco estremamente interessante e stimolante.

E non deve suonare allora poi così improbabile prima la sua collaborazione con la star Ryuichi Sakamoto (nel 1980), e poi il fatto che due grandi della musica creativa europea (già abituati all'idioma) come Hoger Czuckay e Jaki Liebezeit poco tempo dopo (esattamente nel 1981) si sarebbero presi la briga di produrle un clamoroso album.

Ascoltare per esempio la finale, devastata/devastante "Frere Jacques" ... per credere.

CEDRIC 'IM' BROOKS - United Africa (1978)



Pubblicato ovviamente cercando di sfruttare la favorevole onda della popolarità riscossa da un certo afro-jazz dell'epoca, questo album del sassofonista CEDRIC BROOKS è però un ottimo esempio di "fusion" tra jazz e "Rastafarian" reggae in chiave popolare.

Non si può parlare certo di prodotto di grandissimo spessore, ma l'ascolto non è semplicemente piacevole perchè le lunghe composizioni, fluide ed avvolgenti mantengono sempre un entusiasmo musicale decisamente alto.

Il connubio tra le percussioni tribali ed una corposa sezione fiati (costantemente e rigorosamente ai limiti della stonatura bandistica ...) è il principale elemento sonoro che distingue questo disco per quanto anche il lavoro della chitarra - essenzialmente di sostegno ritmico - a volte aggiunge una certa quale originalità con brillanti brevi assoli o cesellature armoniche.

Un disco molto consigliabile per un ascolto non troppo impegnativo.

HOWARD ROBERTS - Spinning wheel (1969)



In questo caso la lucidità come produttore di David Axelrod giova in maniera esponenziale alla qualità della realizzazione di questo album datato 1969 del chitarrista HOWARD ROBERTS.

I suoni dell'album sono assolutamente perfetti, brillanti e soprattutto estremamente vivi e reali (ad esempio non ci sono parole per descrivere la chitarra acustica nel groovy-boogie "Country scuffle") e mantengono frizzante l'atmosfera del disco, anche quando di tanto in tanto l'atteggiamento dei musicisti è meno compiaciuto e gigione e diventa più "sperimentale" e free (come nella sezione centrale del ben noto standard "Cataloupe island").

Molto interessante il contributo creativo di John Guerin (con un suono di batteria così vicino a quello udibile nelle improvvisazioni di HOT RATS di Zappa e registrate nello stesso anno) e Chuck Domanico al basso oltrechè diventa inevitabile notare l'apporto di altri due tipi interessanti quali Dave Grusin (piano) e Tom Scott (fiati).

Un gran bel disco che si ascolta con grande piacere.

DAVID AXELROD - Songs of Innocence (1968)



Un disco straordinario per un autore/produttore altrettanto leggendario che ancora troppo pochi conoscono.

Dalle eccellenti produzioni jazz con JULIAN 'Cannonball' ADDERLEY alle produzioni psichedelche di ELECTRIC PRUNES il lavoro di Axelrod non è stato solamente quello di mentore o guida, ma il suo metodo di orchestrare ed arrangiare alcune parti e produzioni lo hanno reso di fatto fondamentale per la cifra stilistica delle sue stesse supervisioni artistiche.

Se poi - come in questo caso - si prendono in esame i lavori a suo nome diventa incredibilmente evidente la forza creativa di questo ex pugile dal gusto musicale innovativo e visionario. L'uso ampio e quasi-commerciale dell'orchestra a pieno regime, in un contesto caratterizzato allo stesso tempo da batterie "groovy" e fortemente "riverberate" (... e del resto David era nato musicalmente come batterista) e da chitarre elettriche piuttosto "acide" è stato uno degli elementi distintivi del suo suono rapsodico e multiforme.

Axelrod crea con questi ingredienti sonori i presupposti per una musica unica e difficilmente riproponibile ad un pubblico o troppo "concettuoso" o troppo "devastato" socialmente, ed infatti per almeno 15 anni (tra il 1975 ed il 1990) quella stessa musica viene colpevolmente dimenticata e lasciata ad un apparentemente inesorabile oblio.

Ma fortunatamente a resuscitare questo stile unico arrivano in soccorso le nuove generazioni di musicisti/DJ che negli anni 90 iniziano a rovistare nel passato in formato pvc per scovare interessanti eventuali possibili vecchie combinazioni ritmico-acustiche per creare un nuovo "hip sound". Ed infatti sono soprattutto le ritmiche a colpire alcuni nuovi "talenti" della produzione e della musica emergente (DJ Shadow o Lauryn Hill tra i tanti) che in questo modo vengono ampiamente campionate/saccheggiate creando un notevole impatto su un pubblico (soprattutto quello degli Hip-hoppers) totalmente ignaro di quelle particolari colte combinazioni sonore.