venerdì 8 novembre 2019

La mia ritrovata passione per Steve


... non ho idea se si tratti di un tipico caso di nostalgia senile (o quasi), ma non nascondo il fatto che molto spesso (molto più di quanto in effetti lo notifichi in questo spazio social) accompagno la fine del giorno con la visione di uno dei numerosi DVD live che documentano il percorso di riproposizione dei classici dei Genesis ad opera di Steve Hackett ... ed è una cosa piuttosto strana dato che fino a due anni fa avevo letteralmente snobbato l'operazione "revisited" iniziata dal chitarrista londinese già nel lontano 1996. In effetti quell'album mi aveva provocato una discreta "orticaria d'ascolto" per le scelte di arrangiamento e rielaborazione - anche troppo azzardate - dei classici della (per me) leggendaria band della Charterhouse.

Il caso ha però voluto che, in un inaspettato impeto di curiosità, decidessi di acquistare il CD/DVD della sua performance all'Hammersmith Apollo in Londra della primavera del 2013 e dal quel momento in avanti non ho più smesso di seguire le sue uscite discografiche (spesso poi solo parzialmente) antologiche dedicate al repertorio dell'epopea progressiva dei Genesis. In effetti non ho mai avuto una grande passione per la sua produzione solista fatta eccezione per "Voyage of the acolyte" (1975), "Please don't touch" (1978), "Sketches of Satie (del 200 con il fratello John) e - più recentemente - "Wild orchids" (2006) ... e non mi hanno scaldato il cuore nemmeno le operazioni in compagnia di altri grandi della stagione d'oro ("The Tokyo tapes" con John Wetton e Ian McDonald). Invece questa nostalgica passione per il suo modo così educato (a volte quasi impacciato) di proporre quelle pagine fondamentali per il mio ascolto post-adolescenziale (ed oltre) è esplosa definitivamente con quell'album/DVD del 2013 portandomi a riflettere a lungo sul valore delle riproposte antologiche ad opera di protagonisti delle produzioni originali. Il dibattito sulla effettiva  opportunità di creare intorno a se una "coverband di se stesso" lascia aperte molte perplessità e critiche spesso non del tutto immotivate. Ma nel caso in specie, Hackett ha ricostruito parte di quel clamoroso repertorio (snobbato dagli altri componenti della band, impegnati evidentemente a perseguire creatività - Gabriel - e business - gli altri tre) elaborando strategie di eprformance estremamente raffinate ed intelligenti. Tra esse la prima e più evidente è l'utilizzo geniale del sax soprano di Rob Townsend (eccellente polistrumentista) a contrappunto del suono della sua tipica chitarra (peraltro enormemente più consolidato e preciso degli anni precedenti). Anche la scelta del cantante a cui affidare la delicata ed ingombrante riproposizione del ruolo di Peter Gabriel si è rivelata clamorosamente azzeccata con la prorompente statuaria figura dello svedese (ma americano di nascita) Hugh Eric Stewart aka Nad Sylvan, il cui timbro vocale, pur avvicinandosi spesso all'inflessione originale gabrieliana, è andato via via evolvendosi fino all'ultima eccellente dimensione interpretativa offerta dal più recente album con la Heart Of England Orchestra registrato alla Royal Festival Hall. Anche la scelta di affiancargli spesso altri vocalist d'eccezione ospitati nelle varie occasioni (dall'immortale John Wetton a Jakko Jakszyk, Nick Kershaw, Steve Rothery, Amanda Lehmann e Steven Wilson) in grado di offrire nuove "sfumature" a grandi classici del repertorio Genesis.

A queste scelte sicuramente intelligenti che mostrano palesemente una grande sensibilità artistica, non possono non affiancarsi anche la preziosissima collaborazione al progetto di altri maiuscoli interpreti/interlocutori quali Roger King alle tastiere, Gary O'Toole alla batteria e alla voce oltre che i differenti bassisti che si sono alternati negli anni, da Lee Pomeroy a Jonas Reingold passando per Nick Beggs ovviamente.

Questa mia rinata passione per Hackett mi ha anche portato ad assistere ad un suo concerto del suo Tour de Force del 2018 e ne sono uscito ancor più convinto della bontà del suo lavoro e della sua quasi imbarazzante semplicità d'approccio quasi cabarettistica con il pubblico presente (leggendaria la sua introduzione al concerto della Royal Albert Hall qualche anno fa: "... benvenuti al Royal Albert Pub!!!").


Ora, all'ascolto di questo ultimo prodotto di rielaborazione, mi sono posto con uno spirito critico particolarmente appuntito perchè la presenza dell'orchestra in contesti "progressivi" ha spesso rappresentato una addizionale ed indigesta melassa sonora, capace di enfatizzare a dismisura solo la retorica di alcuni passaggi compositivi di quella particolarissima generazione di musicisti degli anni settanta. In questo caso invece mi sono ampiamente ricreduto e le orchestrazioni sono particolarmente discrete ed amalgamate al resto del suono del gruppo (tranne forse in uno o due momenti quasi incomprensibili per scelta). Un connubio ampiamente riuscito quindi che rinnova la sensazione di quanto incredibili fossero state quelle pagine scritte da musicisti poco più che ventenni con nessuna certezza di raggiungere una notorietà ed una stabilità commerciale futura, alimentati dalla sola voglia di creare "nuove combinazioni creative" e sostenuti da generazioni di ascoltatori/spettatori avidi di curiosità e partecipi protagonisti dell'importante testimonianza creativa dei tempi.

Mi è anche subito tornata in mente l'occasione nel 2015 in cui Hackett aveva già provato ad interagire come ospite (ma con suo repertorio) con la band islandese Todmobile e dove forse la prepotente voce del cantante Eyþór Ingi Gunnlaugsson (prodotto di un "talent" televisivo islandese) aveva messo in discussione il registro interpretativo scelto da Sylvan, ma a ben vedere la strabordante interpretazione del ragazzo dal nome impronunciabile altro non ha fatto se non mettere ancora più in luce l'algida e raffinata scelta dello svedese americano ... probabilmente è stato un bene poter apprezzare due performer così diversi alle prese con uno stesso delicato repertorio.
E lo stesso discorso può essere fatto anche per le due Orchestre a confronto, più esuberante e prepotente l'orchestra islandese Sinfonia Nord & Chorus e più misurata e discreta la Heart Of England Orchestra, capace di restare all'ombra della band sul palco.

Tornando al DVD della Royal Festival Hall ... dato per superato l'esame "orchestrale" non posso esimermi dal segnalare la mostruosa evoluzione interpretativa di Nad Sylvan che finalmente rende sue (per quanto possibile, ovviamente) tutte le pagine che furono di Gabriel e Collins, imponendo nuove preziose sfumature vocali dove le caratteristiche dei due sopracitati non sarebbero mai andati a parare ... e mi spingo a dire che alcune delle interpretazioni di Sylvan adesso possono ampiamente competere (ed inqualche caso addirittura superare) con le suggestioni originali, aggiungendo nuova modernità e raffinatezza a contesti considerati forse ingustamente intoccabili.

Un unica considerazione finale la vorrei dedicare al repertorio "originale" di Hackett che mai come in questo ultimo caso perde il confronto con le "antiche gesta" ... il suo peculiare stile lo porta ad essere tra i più confusi e scomposti, a cavallo tra banalità tematiche davvero insostenibili e scelte spigolose talmente coraggiose da risultare anche esse incomprensibili. Ma è nella sua apparentemente innocente naturalezza che Hackett mi costringe a perdonarlo ... la sua ombrosa simpatia me lo rende quasi familiare e non posso non continuare ad ascoltare/vedere le sue soniche gesta sul palco attraverso le sue periodiche pubblicazioni.

Bravo Steve ... e bravi tutti !!!

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