Stagione irripetibile per suggestioni musicali nuove e destinate a far credere in vere rivoluzioni culturali.
Ma il tempo ha dimostrato che in realtà si trattava di un momento di profondo cambiamento nello scenario della cultura giovanile, uno spostamento necessario per qualcuno per non essere travolti dall'energia fisica della musica "del corpo" sempre più invadente (lo strumento più efficace messo allora in atto dalle case discografiche per riprendersi il controllo del mercato) e provara a mettere in salvo la musica della "mente", quella dell'eredità post progressiva della fine degli anni settanta quella musica con un significato "da capire ascoltando" e non "da usare ballando".
"Desire" in questo contesto è davvero un manifesto, probabilmente non per tutti, ma è significativo che siano degli americani a riportare in Europa una certa attitudine all'arte concettuale che si stava perdendo tra le vetrine del nuovo mezzo promozionale (videoclip) e la nuova imprenditoria del divertimento.
TUXEDOMOON qui suona amaro, greve, deprimente e buio e racconta un mondo sostanzialmente brutto, mutato nei valori ed incapace di comunicare al suo interno perfino con il significato dei "suoni" che per questo motivo si aggrovigliano formando con i "rumori" un nuovo alfabeto volgare.
"Desire" è quindi un disco spietato, senza conforto alcuno, una landa sonora pressochè desolata dove riconoscere l'incomunicabilità per poterla superare, un gesto fondante la nuova frontiera di quello che un tempo era il "rock" giovanile.
Alla band purtroppo non è mai stato riconosciuto appieno il ruolo innovativo e rivoluzionario che la sua musica ha saputo rendere intanto concreta, in attesa di una nuova generazione che possa rilanciare l'avventura partendo proprio dai solchi scricchiolanti dei vecchi vinili della Ralph Records di Minna Street in quel di San Francisco.
Ma il tempo ha dimostrato che in realtà si trattava di un momento di profondo cambiamento nello scenario della cultura giovanile, uno spostamento necessario per qualcuno per non essere travolti dall'energia fisica della musica "del corpo" sempre più invadente (lo strumento più efficace messo allora in atto dalle case discografiche per riprendersi il controllo del mercato) e provara a mettere in salvo la musica della "mente", quella dell'eredità post progressiva della fine degli anni settanta quella musica con un significato "da capire ascoltando" e non "da usare ballando".
"Desire" in questo contesto è davvero un manifesto, probabilmente non per tutti, ma è significativo che siano degli americani a riportare in Europa una certa attitudine all'arte concettuale che si stava perdendo tra le vetrine del nuovo mezzo promozionale (videoclip) e la nuova imprenditoria del divertimento.
TUXEDOMOON qui suona amaro, greve, deprimente e buio e racconta un mondo sostanzialmente brutto, mutato nei valori ed incapace di comunicare al suo interno perfino con il significato dei "suoni" che per questo motivo si aggrovigliano formando con i "rumori" un nuovo alfabeto volgare.
"Desire" è quindi un disco spietato, senza conforto alcuno, una landa sonora pressochè desolata dove riconoscere l'incomunicabilità per poterla superare, un gesto fondante la nuova frontiera di quello che un tempo era il "rock" giovanile.
Alla band purtroppo non è mai stato riconosciuto appieno il ruolo innovativo e rivoluzionario che la sua musica ha saputo rendere intanto concreta, in attesa di una nuova generazione che possa rilanciare l'avventura partendo proprio dai solchi scricchiolanti dei vecchi vinili della Ralph Records di Minna Street in quel di San Francisco.
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