martedì 6 ottobre 2009

GARY BOYLE - The dancer (1977)



Il Jazz-rock inglese ha avuto una stagione straordinaria tra la fine degli anni sessanta e la prima metà della decade successiva, portando all'attenzione degli appassionati di nuove contaminazioni musicali interessanti talenti creativi ed eccellenti strumentisti.
Ogni stagione ovviamente ha i suoi punti fermi, di riferimento e soprattutto nella musica è quanto mai facile identificare in uno o due musicisti - per esempio - le "voci" principali di un particolare strumento musicale o di una particolare corrente compositiva. Per questo motivo la chitarra jazz-rock per eccellenza (o rock-jazz, come correttamente si tendeva a sotto-distinguere uno stile di per sè abbastanza controverso già all'epoca) è sempre stata identificata nella figura dell'inglese John McLaughlin che - a dire il vero - ha portato certamente una ventata innovativa ed estremamente stimolante nel campo in questione sia con la sua Mahavishnu Orchestra che con le sue opere soliste.
Ciò nonostante, altri interessanti virtuosi delle sei corde elettriche si sono messi in luce e tra questi non è per nulla fuori luogo indicare GARY BOYLE.
Indiano di nascita (24.11.1941 a Patna nel nordest dell'India nello stato del Bihar) dopo aver lavorato con musicisti quali Brian Auger, Keith Tippett e Stomu Yamash'ta, nel 1974 ha formato la band ISOTOPE con la quale ha poi prodotto solo due brillanti album: "Isotope" nel 1974 e "Illusion" l'anno successivo (in quest'ultimo con la collaborazione prestigiosa di Hugh Hopper).
Dopo lo scioglimento della band, Boyle ha intrapreso una carriera solista che non ha mai avuto l'attenzione che meritava probabilemnte per la sostanziale staticità del suo percorso creativo e del suo stile.
"The dancer" è l'album che di fatto inaugura questa sua carriera.
Prodotto da Robin Lumley (Brand X) e realizzato in compagnia alcuni "amici" di altissimo livello quali Rod Argent (tastiere), Morris Pert (percussioni) e Simon Phillips (batteria) il disco è uno spettacolare showcase delle doti chitarristiche di Boyle, che alternandosi tra l'elettrica pesantemente distorta e "phase-shifted" ed una acustica delicata ed emotiva riesce a proporre una gamma di colori davvero interessanti (compreso un omaggio al vecchi maestro Brian Auger con una bella versione della sua "Maiden Voyage").
Benchè sia condivisibile la tesi di chi sostiene che Boyle sia una sorta di McLaughlin "meno spirituale" a distanza di anni forse questa caratteristica non è poi da considerarsi propriamente un "limite".

Ascolto consigliato.

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