Ascoltando questo primo esperimento sonoro di Robert Rich, questi due lunghi “drones” elettronici sospinti in uno spazio virtuale dell’immaginazione più dilatato e vicino alla percezione di un qualche misterioso “vuoto”, mi torna in mente il principio primo della “musique d’ameublement” elaborato dal leggendario Eric Satie e realizzo - una volta di più e con molta soddisfazione - che questa "musica che non ha bisogno di essere ascoltata” in effetti riempie lo spazio circostante e diventa “compagna di viaggio” nella sua dimensione "discreta", trasformandosi in etereo profumo sonoro che pervade lo spazio delle nostre azioni (o della nostra immobile concentrazione).
Qui, il suono non racconta nient’altro che se stesso, condizionando l’ascoltatore ad ascoltare nient’altro che se stesso … una perfetta dimensione sospesa in un equilibrio che ricorda molto la vasca di deprivazione sensoriale che Ken Russell racconta in un suo film di inizio 1980 (Altered States - Stati di Allucinazione).
Certo, questi suoni algidi non inducono le allucinazioni ancestrali del protagonista del claustrofobico film del geniale Russell ma proprio per questa dimensione apparentemente neutrale offrono alla coscienza la possibilità di proiettare e proiettarsi in tutte le direzioni possibili.
In caso di mancanza di auto-suggestioni in partenza è comunque possibile cercare di farsi coinvolgere dalle tanto evocative quanto volubili possibili interpretazioni di titoli di brani quali “Dervish dreamtime” o “Oak spirits” … che - volendo - già da soli indicano il punto di partenza, il luogo immaginario da dove iniziare eventualmente il … viaggio.
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