12 giugno 1983
Una Fiat Panda si avvicina all’area parcheggio del Parco Nord di Bologna.
Tutto intorno non è poi così affollato, anzi, non si direbbe proprio che poco lontano è stato allestito un tendone pronto ad ospitare un “concerto” o forse meglio definirlo un “rito multimediale collettivo”.
Dalla celebre italica utilitaria scendiamo in quattro, entusiasti e quasi increduli di essere ormai a pochi minuti dal coronare un sogno, vedere dal vivo i leggendari RESIDENTS.
E’ ancora molto viva in noi la gioia di aver scoperto tra i dischi oscuri d’importazione del negozietto di campo San Barnaba (in Venezia) titoli come “Duck stab”, “Not Available”, “The Third Reich and Roll” e lo straordinario “Eskimo” o l’incredibile “Commercial album”.
Certo, sappiamo che questo appuntamento è dedicato alla presentazione di un unico lavoro, la trilogia oscura “The Mole Trilogy” di cui conosciamo già la prima e la seconda parte, ma per mille motivi non siamo davvero in grado di immaginare cosa davvero vedremo tra qualche minuto.
Ci siamo però premuniti di attrezzatura per registrare e fotografare il possibile, ma l’entusiasmo di questa potenziale impresa documentaristica viene immediatamente frustrato dalla presenza di alcuni carabinieri all’ingresso del grande tendone. Veniamo fatti oggetto di perquisizione e la macchina fotografica viene trattenuta momentaneamente … per fortuna però il registratore portatile (una specie di walkman smontabile … ed appositamente smontato alla bisogna) non viene individuate e requisito e grazie ad un microfono a forma di penna da taschino ci siamo garantiti la possibilità di immortalare l’audio dell’evento (ed infatti mentre scrivo adesso, quasi 32 anni dopo, sto ascoltando quella registrazione preziosa accuratamente conservata in memoria digitale).
Entrati nel tendone vediamo immediatamente un frenetico andirivieni di personaggi vestiti con delle tute nere e che indossano naso, baffi ed occhiali di plastica finti … è davvero tutto molto surreale eppure il fonico ha in effetti naso-baffi-occhiali come anche i tecnici sotto al palco.
La scenografia è stranissima, con questi due giganteschi teloni ai lati del palco (le due città oggetto del concept delle talpe) e delle gabbie (o qualcosa di simile) al centro del palco, sembrano postazioni desertiche mimetizzate dei DAK (Deutsches Afrikakorps) e all’interno di esse si intuisce la presenza delle allora immaginifiche macchine sonore chiamate E-Mu.
Le luci si spengono ed incredibilmente viene diffusa ad altissimo volume una musica a noi completamente sconosciuta (non era stato ancora pubblicato infatti l’EP “Intermission”) ma assolutamente coinvolgente.
Ci siamo davvero !!!
Inizia da quel momento un viaggio a doppio binario tra le note della musica sotterranea e quella “di superficie”, melodie mutanti e mutate capaci di descrivere due vite possibili (in un contesto irreale), e le multicolori coreografie dei ballerini contribuiscono con grande forza all’impatto della performance. Penn Jillette si aggira sul palcoscenico blaterando in modo esagitato qualcosa riferito alla storia dei due mondi, difficile capre tutte le sue parole, ma l’atmosfera che si respira sembra davvero averci catapultato “altrove” … esattamente dove i quattro “non-bulbi” volevano portarci con questo rito quasi sciamanico di cui siamo protagonisti passivi.
Tutto fila via liscio senza pause e senza intoppi, con una naturalezza seconda solo ad uno spettacolo teatrale di terza o quarta replica … a parte forse qualche tipica vibrata lamentela sonora del pubblica generata dal comportamento maleducato delle prime file (ovviamente ed italianamente abusivamente) in piedi ad oscurare la visuale alle file successive.
Ad un certo punto, quando la storia delle “talpe” sta per concludersi la scena si anima e Jillette appare sul proscenio visibilmente esagitato ed inizia ad urlare qualcosa di non ben comprensibile, relativo ad un compenso troppo basso, ad un trattamento professionale poco adeguato.
Tutto sembra molto “vero” e “credibile”, tanto che dalpalco Penn scende addirittura immediatamente davanti alle prime file e continua ad inveire contro il palco fino a quando non viene afferrato da tre energumeni (rigorosamente con naso-baffi-occhiali) che lo trascinano sul palco e lo legano ad una sedia dopo averlo imbavagliato.
Qualche minuto di suspance, poi un bizzarro balletto cattura l’attenzione mentre Jillette viene portato via legato ed imbavagliato alla sedia.
E’ la fine dello spettacolo con tanto di sipario che viene calato senza fretta.
Ci guardiamo ancora increduli, nella speranza che davvero non si sia trattato della conclusione dell’intero concerto … e dopo qualche minuto si illumina nuovamente il palcoscenico ed ecco arrivare sul palco i quattro “eyeballs” in tuxedo d’ordinanza … è il momento del bis “Satisfaction” che finalmente ci mostra più in luce i quattro misteriosi cavalieri dell’apocalisse sonora (mantenendone comunque rigorosamente celate le sembianze all’interno dei quattro giganteschi bulbi oculari). E’ davvero spassoso vedere letteralmente fatta-a-pezzi una canzone simbolo della musica giovanile di qualche decade addietro (che di fatto completa l’opera di santificazione della stessa iniziata qualche anno prima con la versione De-evoluta da Akron).
Ma è solo il preludio ad un fantastico finale collettivo.
Infatti dal fondo del palcoscenico iniziano ad avvicinarsi molte persone (naso-baffo-occhiale munite) che portano con loro ognuno una bandiera.
Sono davvero tanti … sicuramente molti di più di tutti i vari protagonisti della serata (tra tecnici, ballerini e security) visti all’opera … e tra loro c’è anche il narratore Penn Jillette, evidentemente liberato dalla messa in scena della sua costrizione coatta.
Sulle note maestose di “Happy Home” tutte queste bandiere lentamente si raggruppano al centro della scena mentre altre bandiere compaiono ai lati del palco e la luce dall’alto diventa ancora più abbagliante in un crescendo che termina improvvisamente facendo piombare nel buio tutta la scena.
Un momento davvero indimenticabile.
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