Documento di grande curiosità questa performance datata 20 giugno 1970 del "black yodler" Thomas e la appena nata band di brit-jazz capitanata dall'eccellente e compianto IAN "Redhead" CARR.
Frutto dell'estemporanea collaborazione preparata appositamente per il più famoso jazz festival elvetico, questo improbabile connubio si spinge in territori concessi probabilmente proprio solo in quella fase sperimentale di intreccio tra la musica jazz ed altre possibili derive ritenute - fino a quel momento - aliene.
Ad aprire le danze l'intramontabile eterno concept di "The creator has a master plan" (Pharoah Sanders) dove le qualità canore di Leon Thomas danno pieno sfoggio delle loro possibilità (Thomas verrà poi successivamente proiettato nel mondo variopinto e cangiante del rock quando nel 1973 collaborerà con Carlos Santana, ma sarà una parentesi relativamente breve).
A seguire il blues stravolto di "Damn Nam (i'm not going to Viet Nam)" dove l'intensità dell'interpretazione della band è oltremodo notevole considerati i protagonisti presenti sul palco ... KARL JENKINS, JON MARSHALL, l'immancabile BRIAN SMITH e JEFF CLYNE (che personalmente faccio fatica ad immaginare in un contesto blues). A questi va aggiunto l'estroso CHRIS SPEDDING alla chitarra che in effetti è l'unico che si avventura in efficaci improvvisazioni di bottleneck-blues guitar.
"One" è un vero e proprio showcase per la tecnica solistica vocale di Thomas ... e se qualcuno non dovesse conoscere il suo bizzarro modo di cantare la sorpresa è senza dubbio garantita. A seguire i soli di una band - a mio avviso - in piena rotta di collisione con il jazz tradizionale (nonostante le strutture di base sembrino appoggiarsi sulle classiche modalità della musica afro-americana). Brian Smith e Ian Carr la fanno da padroni negli assoli mentre un rigoroso Jenkis contrappunta qua e là il tutto al Fender Rhodes ed un "nevrotico" Spedding mette in atto curiose incursioni a clusters ritmico-atonali con la sua chitarra.
Un altro inaspettato blues ("Chains of love") e la conclusiva "Journey" permettono una ulteriore riflessione sul delicato equilibrio che questo progetto (benchè estemporaneo) stava cercando di proporre. Anche in questo caso Spedding è semplicemente inafferrabile nel suo sempre imprevedibile bottle-neck style (a volte sembra più il chitarrista di ... Capt. Beefheart che non di una brit-jazz-band).
Data la straripante notorietà (nell'ambito jazz tradizionale) di Thomas è fin troppo evidente notare il fatto che NUCLEUS è nient'altro che la band di supporto al cantante ben lontana dalle sue traiettorie innovative nell'ambito dell'emergente rock-jazz (la band infatti pubblicherà il suo primo album ELASTIC ROCK proprio nel 1970 e gran parte dell'interesse inziale ottenuto dagli addetti ai lavoro sarà determinato proprio dalla serata al Montreux Jazz Festival).
Frutto dell'estemporanea collaborazione preparata appositamente per il più famoso jazz festival elvetico, questo improbabile connubio si spinge in territori concessi probabilmente proprio solo in quella fase sperimentale di intreccio tra la musica jazz ed altre possibili derive ritenute - fino a quel momento - aliene.
Ad aprire le danze l'intramontabile eterno concept di "The creator has a master plan" (Pharoah Sanders) dove le qualità canore di Leon Thomas danno pieno sfoggio delle loro possibilità (Thomas verrà poi successivamente proiettato nel mondo variopinto e cangiante del rock quando nel 1973 collaborerà con Carlos Santana, ma sarà una parentesi relativamente breve).
A seguire il blues stravolto di "Damn Nam (i'm not going to Viet Nam)" dove l'intensità dell'interpretazione della band è oltremodo notevole considerati i protagonisti presenti sul palco ... KARL JENKINS, JON MARSHALL, l'immancabile BRIAN SMITH e JEFF CLYNE (che personalmente faccio fatica ad immaginare in un contesto blues). A questi va aggiunto l'estroso CHRIS SPEDDING alla chitarra che in effetti è l'unico che si avventura in efficaci improvvisazioni di bottleneck-blues guitar.
"One" è un vero e proprio showcase per la tecnica solistica vocale di Thomas ... e se qualcuno non dovesse conoscere il suo bizzarro modo di cantare la sorpresa è senza dubbio garantita. A seguire i soli di una band - a mio avviso - in piena rotta di collisione con il jazz tradizionale (nonostante le strutture di base sembrino appoggiarsi sulle classiche modalità della musica afro-americana). Brian Smith e Ian Carr la fanno da padroni negli assoli mentre un rigoroso Jenkis contrappunta qua e là il tutto al Fender Rhodes ed un "nevrotico" Spedding mette in atto curiose incursioni a clusters ritmico-atonali con la sua chitarra.
Un altro inaspettato blues ("Chains of love") e la conclusiva "Journey" permettono una ulteriore riflessione sul delicato equilibrio che questo progetto (benchè estemporaneo) stava cercando di proporre. Anche in questo caso Spedding è semplicemente inafferrabile nel suo sempre imprevedibile bottle-neck style (a volte sembra più il chitarrista di ... Capt. Beefheart che non di una brit-jazz-band).
Data la straripante notorietà (nell'ambito jazz tradizionale) di Thomas è fin troppo evidente notare il fatto che NUCLEUS è nient'altro che la band di supporto al cantante ben lontana dalle sue traiettorie innovative nell'ambito dell'emergente rock-jazz (la band infatti pubblicherà il suo primo album ELASTIC ROCK proprio nel 1970 e gran parte dell'interesse inziale ottenuto dagli addetti ai lavoro sarà determinato proprio dalla serata al Montreux Jazz Festival).
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