... aka Pink nel Punk ...
Ammesso che sia possibile dire qualcosa di nuovo in merito ad uno dei monumenti della discografia dei PINK FLOYD, di per certo questo non accadrà in questa paginetta cavernosa. Anche perchè è talmente impossibile cercare di reinterpretare la genesi e la realizzazione stessa di questo "concept" senza tornare nel risaputo.
Sappiamo tutti infatti della fortissima impronta paranoica di Waters che permea tutta la vicenda raccontata nell'avventura di Pink (almeno così è chiamato nella versione cinematografica) con il suo proprio disagio interiore ed i suoi traumi psicologici irrisolti.
Ma questa conoscenza così largamente condivisa del tema non dovrebbe distogliere l'ascoltatore dall'apprezzare in toto l'ambiziosa operazione artistica messa in atto in quel 1979, archiviato negli annali per la inevitabile "estinzione" dei dinosauri rock con l'esplosione definitiva del devastante fenomeno punk.
Eppure, se un album come THE WALL, doppio, ponderoso, verboso e per niente alla moda è riuscito a ritagliarsi un suo proprio spazio nella cultura giovanile dell'epoca non credo lo debba solo all'accattivante singolo massificante di "Another brick in the wall" ... in fondo sono solo poco più di tre minuti estratti da un lavoro globale di oltre 70 minuti complessivi.
No, c'è dell'altro alla base del successo planetario di un disco così.
E se anche volessimo ragionare sulla pressione che l'industria discografica ha saputo esercitare sul giornalismo musicale di competenza dell'epoca, a conti fatti non risponderebbe alla domanda del PERCHE' un disco come THE WALL sia diventato così popolare.
La risposta sta invece nella matura magia musicale del "suono floyd" ... languido quando necessario ed inquietante quando inevitabilmente tale ... semplice nella sua essenzialità (basta ricordare l'esecuzione di batteria di Nick Mason nell'introduttiva "In the flesh" così caratterizzata da incredibili "silenzi ritmici nel pattern di base" da risultare semplicemente PERFETTA nel suo essere fin troppo elementare) o l'arpeggio suadente di "Goodbye blue sky" con i suoi intramontabili echi della antica psichedelia di "Grandchester meadow".
In questo CAPOLAVORO nulla è fuori posto (nemmeno la pantomima verbale del processo nella quarta facciata dell'album) e TUTTO risulta prepotentemente immaginifico nello scorrere della puntina sui solchi (o del raggio laser sulla superfice del CD) ... ogni singolo elemento sonoro racconta una storia allontanando il brano precedente od introducendo il successivo in un continuum che impedisce una qualsiasi soluzione di continuità ... almeno fino alla scena della caduta del muro dopo il processo.
Qualunque sia il percorso che un artista intraprende per arrivare a simile straordinaria potenza evocativa è da considerare con grande rispetto ed ammirazione, soprattutto in un caso come questo dove non sono poi così nascoste le paure, i vizi e le pessime componenti autobiografiche.
Quando poi, arriva la TERZA FACCIATA di questo album ... e la sequenza drammatica fino all'inarrivabile "Confortably numb" allora posso dire di esser davvero contento di aver vissuto quelle emozioni in tempo reale ... e di non averle recuperate dal cassetto del fratello maggiore.
L'avevo scritto all'inizio ... qui niente di nuovo ... solo la consapevolezza di aver potuto apprezzare un grande momento d'arte della mia generazione.
Ammesso che sia possibile dire qualcosa di nuovo in merito ad uno dei monumenti della discografia dei PINK FLOYD, di per certo questo non accadrà in questa paginetta cavernosa. Anche perchè è talmente impossibile cercare di reinterpretare la genesi e la realizzazione stessa di questo "concept" senza tornare nel risaputo.
Sappiamo tutti infatti della fortissima impronta paranoica di Waters che permea tutta la vicenda raccontata nell'avventura di Pink (almeno così è chiamato nella versione cinematografica) con il suo proprio disagio interiore ed i suoi traumi psicologici irrisolti.
Ma questa conoscenza così largamente condivisa del tema non dovrebbe distogliere l'ascoltatore dall'apprezzare in toto l'ambiziosa operazione artistica messa in atto in quel 1979, archiviato negli annali per la inevitabile "estinzione" dei dinosauri rock con l'esplosione definitiva del devastante fenomeno punk.
Eppure, se un album come THE WALL, doppio, ponderoso, verboso e per niente alla moda è riuscito a ritagliarsi un suo proprio spazio nella cultura giovanile dell'epoca non credo lo debba solo all'accattivante singolo massificante di "Another brick in the wall" ... in fondo sono solo poco più di tre minuti estratti da un lavoro globale di oltre 70 minuti complessivi.
No, c'è dell'altro alla base del successo planetario di un disco così.
E se anche volessimo ragionare sulla pressione che l'industria discografica ha saputo esercitare sul giornalismo musicale di competenza dell'epoca, a conti fatti non risponderebbe alla domanda del PERCHE' un disco come THE WALL sia diventato così popolare.
La risposta sta invece nella matura magia musicale del "suono floyd" ... languido quando necessario ed inquietante quando inevitabilmente tale ... semplice nella sua essenzialità (basta ricordare l'esecuzione di batteria di Nick Mason nell'introduttiva "In the flesh" così caratterizzata da incredibili "silenzi ritmici nel pattern di base" da risultare semplicemente PERFETTA nel suo essere fin troppo elementare) o l'arpeggio suadente di "Goodbye blue sky" con i suoi intramontabili echi della antica psichedelia di "Grandchester meadow".
In questo CAPOLAVORO nulla è fuori posto (nemmeno la pantomima verbale del processo nella quarta facciata dell'album) e TUTTO risulta prepotentemente immaginifico nello scorrere della puntina sui solchi (o del raggio laser sulla superfice del CD) ... ogni singolo elemento sonoro racconta una storia allontanando il brano precedente od introducendo il successivo in un continuum che impedisce una qualsiasi soluzione di continuità ... almeno fino alla scena della caduta del muro dopo il processo.
Qualunque sia il percorso che un artista intraprende per arrivare a simile straordinaria potenza evocativa è da considerare con grande rispetto ed ammirazione, soprattutto in un caso come questo dove non sono poi così nascoste le paure, i vizi e le pessime componenti autobiografiche.
Quando poi, arriva la TERZA FACCIATA di questo album ... e la sequenza drammatica fino all'inarrivabile "Confortably numb" allora posso dire di esser davvero contento di aver vissuto quelle emozioni in tempo reale ... e di non averle recuperate dal cassetto del fratello maggiore.
L'avevo scritto all'inizio ... qui niente di nuovo ... solo la consapevolezza di aver potuto apprezzare un grande momento d'arte della mia generazione.
Nessun commento:
Posta un commento