TURN ON ... TUNE IN ... DROP OUT
... quanto tempo ci vuole per metabolizzare correttamente un concerto completo dei King Crimson versione 2019?
Difficile a dirsi.
Riuscire
a smaltire la magia della serata in sè e per sè è faccenda che dipende
dal numero di emozioni che si sono accumulate nello stargate (in questo
caso in Arena a Verona) aperto da questi sette (dis)umani appartenenti
alla artistica categoria dei "musicisti" ed intrattenitori ("my lords
and ladies ... for your entertainment" come ricordava il buon vecchio
esperto in salmoni Ian Anderson qualche decennio fa).
Ma il
viaggio di lunedì sera è iniziato già a partire dall'opening tape che
quest'anno è di gran lunga diverso dai precedenti ... evidentemente e
palesemente ironico e meno serioso di quello tratto dalle sessioni di
Islands che apriva i tour precedenti. Qui infatti ci sono echi di
conversazioni recenti, di auguri di compleanno e un selezione casuale
(?) di bizzarri rumori preparatori ... senza nessuna istruzione
d'arrangiamento per oboe o archi.
Rimane la scansione del beat
"one ... two ... three ... two ... two ... three" di Mr. Fripp (che fu
di riferimento per gli orchestrali impegnati a registrare il preludio di
"Song of the gulls" ai Command Studios di Piccadilly nel lontano 1971)
ma altro non è che il segnale per le tre batterie in prima linea sul
palco di "iniziare le danze" con la rigorosa e colta tribalità delle 4
sequenze poliritmiche di "The Hell Hounds Of Krim" (spesso indicata
nelle recenti tracklists dei concerti con la più breve denominazione di
"Drumsons").
E' ovviamente solo l'aperitivo preparatorio per
"Pictures of a city" che ormai è presente abbastanza spesso (direi ...)
nelle scalette dei concerti (già a partire dal 2014) e che sembra avere
un posto speciale nel cuore dei Crimsoniani di prima era ... un brano
che all'epoca ebbe a competere con il fulminante inizio del primo album,
quell'insuperabile scarica adrenalinica data da "21st Century Schizoid
Man" che diede fuoco alle polveri di uno degli album più rivoluzionari
della storia musicale del secolo scorso e che era davvero difficilmente
raggiungibile per intensità solo qualche mese dopo, nel 1970. Però, a
ben guardare, POAC ha una sua intrinseca solidità che probabilmente è il
motivo stesso per cui è stata riscoperta e riproposta così tanto spesso
in questo lustro con la formazione a sette/otto teste (a seconda). La
versione di questo millennio è forte, muscolare, aggressiva ed anche in
questa performance a Verona _(come lo è stato anche nelle precedenti
occasioni, peraltro) aggredisce letteralmente il pubblico presente.
Peccato per la sbavatura iniziale - attribuibile al fonico principale -
per non aver aperto il microfono di Jakko in tempo per ascoltare le
prime note della parte cantata ... una distrazione chissà dettata da
quale preoccupazione contingente (pazienza, succede). Fripp aggredisce
il pubblico con un primo assolo feroce (ma non sarà la prima volta in
questa serata in Arena) per dare poi spazio alla voce inconfondibile del
sax alto dell'intramontabile Mel Collins che tra mezze citazioni,
snorks e fraseggi crea una dimensione solistica parallela che permette
nuovamente a Fripp di riproporre le sue laceranti sequenze d'accordi,
uniche ed inconfondibili.
Una serie clusters di pianoforte
di Jeremy Stacey introduce uno dei pochi brani del repertorio
contemporaneo di corte "Suitable Grounds For The Blues" ... una "bluesy
song" scritta a due mani da Jakko e Fripp con un evidente ricercato DNA
crimsonikco (a me personalmente piace molto, ma comprendo le riserve dei
crimsoniani più integralisti). Difficile comprendere in questo caso il
finale dissonante di Fripp che sembra quasi essere "andato lungo"
rispetto alla band, ma l'effetto è molto "Crimson" comunque, diverso
dall'efficace rauco wha wha che concludeva ed evaporava misterioso
nell'originale versione (per me) di riferimento contenuta in "Radical
Action To Unseat The Hold Of Monkey Mind (disco 2)" del 2016.
Salto
quantico di cinquant'anni con la successiva "Epitaph" ... chi mai
avrebbe detto fino a dieci anni fa che sarebbe stata risuonata live
davanti ad un qualsiasi pubblico con l'ufficialità della corte completa?
Naturalmente questa considerazione vale per quasi tutti i brani del
recente repertorio proposto da questi KC ed è ogni volta motivo di
profonda riflessione per me che li ho seguiti in tutte le loro stagioni
peripezie ed avventure sonore. Sono sempre emozioni difficili da
contenere forse perchè appartengono ad una generazione d'ascolto che era
ingenuamente più incline a "credere" e "cedere" alle emozioni di una
musica così "vicina" al proprio sentire post-adolescente (ed oltre).
Collins manifesta (come ultimamente è solito fare quasi ad ogni
concerto) la sua soddisfazione per essere riuscito ad eseguire l'ultima
nota acuta di soprano nel tema d'interludio e pre-finale ... forse un
gesto scaramantico e propiziatorio per la successiva serata (ma Collins è
davvero fatto così, di una gentile disponibilità e sincera semplicità
... quasi disarmante per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo
direttamente).
A seguire "One more red nightmare" che
forse (per me almeno) non è tra le riproposte più riuscite del vecchio
repertorio. E le ragioni forse sono che in primis le tre batterie non
riescono a competere "concettualmente" con il drumming originale di
Bruford (l'intelligenza musicale di quella stagione dell'ex Yes è a
tutt'oggi ancora insuperata) e che la voce di Jakko fatica a mantenere
corpo timbrico quando viene spinta in una dimensione più rauca.
Indubbiamente però la massa sonica che travolge il pubblico è notevole
ed è sicuramente sempre un piacere ascoltarne e subirne fisicamente la
potenza sonora (soprattutto il finale con un Mel Collins ancora
scatenato).
La bestia a sette teste riprende a macinare suono
con la muscolare prima parte di "Radical Action (To Unseat The Hold Of
Monkey Mind)", una composizione geometrica in pieno stille frippiano
post-Exposure ... è sempre un privilegio assistere ad una sua esecuzione
così compatta e densa. la stratificazione delle tre batterie ha del
diabolico qui e ci sarebbe da perdersi nell'ascoltarne le parti
individuali.
Improvvisamente, magicamente tutto si calma per
lasciare spazio all'accordo di pianoforte che inequivocabilmente fa
emergere la profonda emozione che si andrà a vivere a breve ...
"Island". In questo caso la riflessione del "chi l'avrebbe mai detto" è
forse quella che mi sono ripetuto di più in questi anni ... e ricordo
anche di averlo detto a Jakko in occasione del suo concerto a Mestre nel
2006, quando con mia massima soddisfazione la eseguì in coppia con il
solo Collins ... ascoltarla anche questa sera nella cornice completa
della corte ufficiale mi emoziona tantissimo e mi fa riflettere sul
fatto che probabilmente questa è la "vera "starless" dei King Crimson, o
per lo meno è la più rigorosamente frippiana (ovvio che il brano che
concludeva "red" vive di una straordinaria luce propria ... sempre).
Credo sia opportuno sottolineare cone questa "nuova" versione di
"Island" sia evidentemente figlia della meravigliosa rielaborazione che
Jakko aveva proposto nel suo eccellente album "The bruised
romantic glee club" del 2006 ... apprezzata all'epoca anche dallo
stesso Fripp (ospite peraltro nell'album). Peccato che - a differenza di
quanto accaduto a Venezia l'anno scorso - l'entusiasmo del pubblico
dell'Arena abbia iniziato ad applaudire a finale non ancora concluso,
nascondendo lo stupendo e concettuoso rumore dello spegnimento
dell'armonium originale che Fripp ha voluto lasciare come ultimo
"rumore" di questo incredibile brano ... come dire se c'è questo
"rumore" un motivo ci dovrà pur essere no? ... alla Fenice fu magico,
qui meno.
"Cat food" (che avevo ascoltato nel soundcheck di
Palmanova, ma che era stata omessa dalla scaletta abbreviata dopo il
diluvio) era uno dei brani che avrei da sempre voluto ascoltare live.
Tutto regge, il brano rimane profondamente sexy e coinvolgente (grazie
ancora una volta al sax alto di Collins) ... tranne forse la voce che
(anche in questo caso) necessiterebbe di maggiore potenza e corpo per
essere gridata "look-a-Lake" e la scelta di cambiare l'armonia del
ritornello non sembra la più riuscita.
E a proposito di "cose"
non completamente riuscite (a mio modestissimo avviso ovviamente) è la
nuova "Frame by Frame" ... ma confido nel fatto che sia solo la seconda
volta che la ascolto in questa particolarissima rielaborazione (a
Palmanova mi aveva davvero lasciato basito ... anche durante il breve
soundcheck). E' però sicuramente un buon segno che si sia voluto
rileggere un brano simbolo dell'era con Belew e che si sia cercato di
portarlo in una dimensione leggermente diversa, aggiornata, ma qualcosa
non mi convince e sembra tutto abbastanza slegato (il flauto di Collins a
volte sembra un po' forzato nell'evoluzione della tonalità) ... chissà
che alla fine di questo tour non siano riusciti a migliorarla e renderla
definitivamente compatta e coerente con l'intero repertorio.
"Drumzilla"
è uno dei nuovi momenti poliritmici e spettacolari del trio di moderni
multitamburini fronte palco. E' una gioia per gli occhi vederli alle
prese con queste composizioni rigorose e allo stesso tempo
apparentemente multimensionali. Dedicata a tutti i detrattori di questa
scelta a tre batterie.
"Radical II" ritorna alla
dimensione più muscolare del settetto e ricorda sempre l'origine dello
stile dell'ultimo Fripp, spigoloso ma allo stesso tempo capace di
coinvolgere l'ascolto con un "rock-no-rock-groove" unico nel suo genere.
Personalmente è una di quelle indicazioni di stile che apprezzo
tantissimo in un musicista creativo ed innovativo come Fripp
(soprattutto a 73 anni).
Ma di fatto è solo un interludio
per "Level five", più propriamente identificata come la quinta parte di
"Larks' tongues in aspic", l'idea "senza fine" che Fripp porta avanti
ormai dal 1973. Poderosa, imponente con il baritono di Collins
(nonostante qualche indecisione) a sottolineare l'incedere marziale e
minaccioso dell'intero combo regimentato in una dimensione decisamente
rigoroso ma ugualmente ritmicamente esplosivo. Peccato per il mix in
ascolto dove le due chitarre (ed il basso) risultano un po' troppo
impastate per poter apprezzare l'intricata rete di unisoni e non ... ma
non è certo una facile impresa rendere perfettamente distinguibili le
parti in una dimensione sonora così complessa. ancora una volta la
"voce" inconfondibile del sax alto di Collins (72 primavere anche lui)
emerge sul rigoroso riff centrale, portante e ossessivo.
E
pensare che a questo punto sono solo all'intervallo ... "quello che
avviene dopo la prima parte e prima della seconda parte" ... come
acutamente ci ricorda Fripp.
Annoto
che la ripresa del concerto è stata affidata a "The Sheltering sky"
(che avevo sentito nell'assolato soundcheck pre-cataclisma di Palmanova)
ed è stata una piacevolissima sorpresa anche se l'impressione che ho
avuto io è che sia stato de facto una specie di invito sonoro al
"disordinato" pubblico ritardatario di recuperare il proprio posto per
il vero inizio della seconda parte dello spettacolo. Brano suggestivo e
propiziatorio nell'auspicio di uno "scudo del cielo" contro le
intemperie ... ho pensato di come non fosse stato efficace due giorni
prima e scaramanticamente ho temuto il peggio. Una versione sospesa,
eccellente con il flauto di Collins ed i cluster pianistici di Stacey a
fare da contrappunto alle evoluzioni chitarristiche di Fripp.
"The
construkction of light" riprende a macinare musica con ordine e
disciplina crimsoniana, una composizione di un momento creativamente
straordinario (2000-2003) che poi di fatto è l'ultima manifestazione
completamente progressiva ed evolutiva delle composizioni di corte ...
l'ultima stagione totalmente creativa (sia nell'atteggiamento
compositivo che nella dimensione radicalmente e selvaggiamente free).
Come ormai cosolidato dagli ultimi anni si tratta della versione
esclusivamente strumentale, logicamente emendata del contributo vocale
che fu di Belew all'epoca.
Inaspettatamente (credevo foose
stato escluso oggi) arriva uno dei brani amo di più dell'intero
repertorio crimsoniano ... quel rivoluzionario "Circus" che ancora oggi
mantiene inalterate tutte le emozioni dell'epoca grazie anche ad un
arrangiamento accuratissimo e fedelissimo all'originale ... dalla
reazione di tutte le platee che ho potuto verificare è decisamente un
brano fondamentale per molti appassionati (e - del resto - come potrebbe
essere diversamente???) ... un'altra ottima ragione per ringraziare
questa formazione per averlo fatto risuonare ovunque dopo un destino
d'oblio che sembrava ormai segnato.
Altro salto quantico
per raggiungere "Neurotica" nella versione riadattata e priva di parte
delle liriche originali di Belew. Un brano potentissimo dove lo stile
ruvido e pesante di Stacey mescolato all'ondivago basso di Tony Levin
offre un perfetto tappeto per le evoluzioni di Mel Collins e
l'orchestrale arrangiamento chitarristico. La parte cantata più
propriamente "song" del brano risulta comunque efficace nonostante la
limitazione ed il taglio del testo originale e Jakko riesce ad offrire
anche alcune sfumature interpretative originali che confermano la sua
straordinaria versatilità vocale.
Solo a questo punto,
realizzo che dall'inizio della seconda parte, ho puntati contro gli
occhi tutti i fari d'ambiente posti nella parte alta delle americane sul
palco. Probabilmente all'inizio, concentrato e motivato dalla musica
non ho fatto caso a questa presenza, probabilmente considerandola
inconsciamente legata alla necessità di offrire una minima illuminazione
al pubblico che ritardava a riprendere il proprio posto dopo la pausa (volutamente ridotta dal gruppo).
Invece questa luce sugli occhi me la ritrovo ancora dopo un quarto d'ora dall'inizio del secondo set e realizzo quanto fastidiosa sia ... quanto devastante sia per toglier una parte della magia dell'Arena di Verona e del palco stesso. E mi è tornata in mente la polemica nata a Venezia, alla Fenice quando duranta la prima delle due serate (27 luglio) il pubblico (ed io tra tutti) della platea fu costretto ad assistere all'INTERO concerto con due paia di fastidiosissimi par puntati sugli occhi ... una sofferenza difficilmente giustificabile razionalmente. Ricordo di aver espresso a fine concerto parecchie lamentele al personale di sala credendo si fosse trattato di una mancanza delle italiche maestranze (incompetenti). Ed invece ricordo che all'incontro pomeridiano del giorno successivo il monarca in persona, sicuramente avvisato del malumore serpeggiato tra il pubblico la sera prima, disse che in realtà la luce sulla platea era stata una sua esplicita richiesta perchè voleva "vederci in viso" per aumentare il contatto e generare empatia ... giuro che rimasi a bocca aperta per una simile assurda giustificazione ... ma fui confortato dall'assicurazione della massima autorità di corte che durate il secondo spettacolo quelle luci sarebbero state ampiamente ridimensionate (e così fu, lasciando "solamente" un paio di par sfumati negli occhi del pubblico).
Ora, mi sono domandato se anche in questo caso Doc Robert avesse voluto "interagire con noi" ma mi sono particolarmente risentito perchè pur comprendendo appieno (senza condividerla altrettanto convintamente però) la politica del "no photo/no video" durante il concerto richiesta dai musicisti non riesco a capire come gli stessi possano imporre ad un pubblico pagante una presenza costante di luci negli occhi durante uno spettacolo ... è una questione di rispetto reciproco oppure il pubblico davvero deve ritenersi "suddito" non solo concettualmente e per passione creativa, ma anche come "gentil selvaggio" da domare? E' solo la mia stima per l'arte di questi musicisti che mi fa accettare questa scandalosa imposizione ... ma probabilmente sarà l'ultima volta (proprio per rispetto anche al mio ruolo di appassionato spettatore).
Invece questa luce sugli occhi me la ritrovo ancora dopo un quarto d'ora dall'inizio del secondo set e realizzo quanto fastidiosa sia ... quanto devastante sia per toglier una parte della magia dell'Arena di Verona e del palco stesso. E mi è tornata in mente la polemica nata a Venezia, alla Fenice quando duranta la prima delle due serate (27 luglio) il pubblico (ed io tra tutti) della platea fu costretto ad assistere all'INTERO concerto con due paia di fastidiosissimi par puntati sugli occhi ... una sofferenza difficilmente giustificabile razionalmente. Ricordo di aver espresso a fine concerto parecchie lamentele al personale di sala credendo si fosse trattato di una mancanza delle italiche maestranze (incompetenti). Ed invece ricordo che all'incontro pomeridiano del giorno successivo il monarca in persona, sicuramente avvisato del malumore serpeggiato tra il pubblico la sera prima, disse che in realtà la luce sulla platea era stata una sua esplicita richiesta perchè voleva "vederci in viso" per aumentare il contatto e generare empatia ... giuro che rimasi a bocca aperta per una simile assurda giustificazione ... ma fui confortato dall'assicurazione della massima autorità di corte che durate il secondo spettacolo quelle luci sarebbero state ampiamente ridimensionate (e così fu, lasciando "solamente" un paio di par sfumati negli occhi del pubblico).
Ora, mi sono domandato se anche in questo caso Doc Robert avesse voluto "interagire con noi" ma mi sono particolarmente risentito perchè pur comprendendo appieno (senza condividerla altrettanto convintamente però) la politica del "no photo/no video" durante il concerto richiesta dai musicisti non riesco a capire come gli stessi possano imporre ad un pubblico pagante una presenza costante di luci negli occhi durante uno spettacolo ... è una questione di rispetto reciproco oppure il pubblico davvero deve ritenersi "suddito" non solo concettualmente e per passione creativa, ma anche come "gentil selvaggio" da domare? E' solo la mia stima per l'arte di questi musicisti che mi fa accettare questa scandalosa imposizione ... ma probabilmente sarà l'ultima volta (proprio per rispetto anche al mio ruolo di appassionato spettatore).
Ad
ogni modo le sognanti note di "Moonchild" e la meravigliosa voce
filtrata di Jakko prendono forma nell'aria (rendendo ancora più
stridente la presenza delle luci negli occhi ... al punto che decido di
indossare gli occhiali da sole) e mi riportano alla musica, al vero
motivo della mia presenza in un luogo sì promiscuo. Sono contento abbiano
deciso di "espandere" l'oasi sonora del brano (che fu di rivoluzionaria
importanza nel 1969, meglio ricordarselo!) inserendo quelle che vengono
chiamate "Cadenzae" caratterizzate da brevi interludi di Levin, Fripp
(magico ... avrebbe potuto andare avanti per ore se fosse stato per
me!!!) e Stacey che fungono da preludio al brano successivo, il maestoso
"In the Court of the Crimson King".
Ben poco da dire a
proposito, se non che avevo già notato la puntualizzazione nelle ultime
scalette dell'indicazione "+ Coda" in calce al titolo ... ed è stata una
piacevole sorpresa (solo parziale dato che l'avevo già sentita già a
Palmanova comunque) dell'aggiunta del finalino conclusivo originale,
venato di puro caos dove Jakko utilizza finalmente la piccola tastiera
davanti a lui ma soprattutto dove brilla - assoluta - l'attitudine
"full arm on the keyboard" a-la-Jerry Lee Lewis di Fripp alla tastiera
"gusto mellotron" (amabile sorprendente goliardica novità ed
indimenticabile come i suoi baci alle chitarre all'inizio e alla fine
dei concerti di qualche anno fa).
Indubbiamente tra i momenti
più spettacolari di questi ultimi anni cremisi è quello dedicato alla
riproposizione di "Indiscipline", dove la triade batteristica fa sfoggio
di bravura, intelligenza, misura e umorismo nello stesso tempo,
spettacolarizzando i primi cinque minuti di un ostinato in continuo
crescendo che davvero offre eccellente preludio per l'esplosione del
grintoso tema principale del brano (datato 1981). Sicuramente tra i
momenti visivamente più entusiasmanti dell'intero concerto (anche se
devo dire che a mio avviso a Palmanova c'era tutt'altra voglia di fare
casino). Non finirò mai di sottolineare l'intelligente di-versione e
adattamento di Jakko della parte cantata origiariamente di Belew, un
quasi-scat che aggiunge personalità musicale al brano in sostituzione
all'estemporanea e nevrotica interpretazione originale. Inutile cercare
di "imitare" Belew, meglio di gran lunga "rinnovare" la sua parte.
Complimenti! (anche se so che a molti questa scelta non è mai piaciuta).
Mi preme anche ricordare l'assalto chitarristico di Fripp dopo il primo
stop ... una cattiveria che alla sua età è davvero invidiabile.
Siamo
verso la fine evidentemente dato che le note di mellotron di "Starless"
iniziano a tracciare il primo segno che la separazione dalla corte è
vicina, molto vicina ... troppo forse. Un flash immediatamente prima è
il preludio ad un inaspettata indecisione di Fripp alla seconda
esposizione dell'immortale tema della canzone ... certo, è umano anche
lui ed in questi momenti ci si rende conto di quanto sia estremamente
vulnerabile nel suo momento performantico (nonostante tutti questi anni)
... peccato per chi (in parecchi vicino a me) ha voluto sottolieare
subito questa indecisione quasi con invidiosa soddisfazione (non è certo
il mio caso).
MALEDETTE LUCI !!! come è possibile ascoltare e guardare
contemporaneamente l'universo intorno alla band diventare rosso fuoco
con delle luci bianche puntate sul viso ??? Come rovinare un momento
destinato al ricordo definitivo !!! Imperdonabile (qualunque sia la
motivazione).
"Starless" è un lungo addio ... ed è probabilmente il vero
addio che bisognerà dare alla band alla fine di questa tournee
celebrativa (non è un mio auspicio e tantomeno un mio augurio, ma è
ragionevole pensare che dopo tutti questi anni in cui ci è stato
regalato un viaggio nel mondo anche passato remoto dei suoni della corte
cremisi sia ora e tempo di rivedere il progetto, secondo i ben noti
canoni frippiani e le sue stagioni creative). Io sono personalmente
convinto che in futuro, negli anni, si racconterà dei concerti di questa
band come di qualche cosa di incredibile, di mitico ... rivolgendosi
inevitabilment alle numerose documentazioni video fortunatamente
disponibili, ma esserci stato di persona sarà privilegio unico del
nostro presente ... mentre arriva il tema finale ... fin de partie.
A
poco serve il travolgente rientro sul palco della "bestia a sette
teste" per una fiammeggiante versione di "Schizoid man" caratterizzata
da quattro elementi essenziali:
1 - la violenza del solo di Mel Collins ...
2
- l'altrettanta spropositata violenza di Fripp nel far deragliare nello
spazio di un solo secondo musicale l'ennesimo "treno in per Sugar Hill
in Harlem" evidentemente preso ancora una volta da Mel Collins ...
3 - l'alieno assolo di batteria di Gavin Harrison
4 - l'idiozia degli urletti del pubblico nelle pause finali
Ma
in fondo in fondo è davvero l'ultimo rito collettivo che mancava
quest'oggi per completare questo inevitabile lungo addio ... ricordare
cioè da dove tutto è partito ... dalla profezia/indicazione
dell'esistenza di una nuova forma evolutiva umanoide, quegli uomini
schizoidi del 21mo secolo che (per loro fortuna) nonostante le brutture
vissute e prodotte hanno avuto l'opportunità di accompagnare le proprie
giornate anche con una musica unica ed irripetibile come quella dei King
Crimson.
Amen
1 commento:
Non si può condividere tutto, le luci ad esempio non mi hanno dato fastidio, ed ero in quinta fila, però nella sostanza ho apprezzato lo sforzo di Mel Collins, lasciato solo a riempire spazi in origine coperti da violini, trombe e tromboni. Avendo però scelto di riproporre i brani storici, si è sentita la mancanza un vero tastierista. Tippett è insostituibile, ma qualcosa di meglio si poteva fare.Direi in definitiva, molto mestiere da parte di tutti, piacevoli le tre batterie, ma con la leggiadria dei primi KC c'entrano poco. Da Varese sono andato a Verona come unica tappa.....non ho preso l'acqua, è già qualcosa.
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