martedì 25 novembre 2008

DAVID STOUGHTON - Transformer (1968)

Ieri notte in caverna è ri-esplosa una bomba sonora rimasta silente per molto tempo, ma i cui effetti si faranno sentire nell'ordine musicale della mia porzione di antro nostalgico.

Non ho idea se, tra le tante gesta musicali del secolo scorso, vi sia capitato di incrociare quelle di tale David Stoughton, raccolte (che io sappia) nel suo unico album "TRANSFORMER" pubblicato dalla Elektra USA nel lontano 1968.

In caso affermativo, sapete già di cosa sto parlando e non vi stupirà l'entusiasmo assoluto con cui ne commenterò le gesta. In caso contrario, vi suggerisco davvero di provare a cercare ovunque una copia di questo "capolavoro perduto" di un talento di cui si sono perse le tracce musicali già qualche mese dopo la pubblicazione del suo unico album.

Credetemi, non ve ne pentirete.


David Stoughton
Transformer
US (Elektra EKS-74034) 1968 Stereo

David Stoughton - voce, chitarre
Devi Klate - voce
John Nicholls - voce
Peter Chapman - fiati
Steve Tanzer - flauto, piccolo
Mal Mackenzie - basso
Joe Livols - batteria e percussioni


The Sun Comes Up Each Day
Quella che all'inizio sembra una imitazione dell'allora contemporaneo talento straordinario di Tim Buckley (peraltro della stessa etichetta discografica) presto si distingue per una maggiore sostanziale imprevedibilità.
Innanzitutto la struttura musicale ha un andamento psycho-folk con un flautino interpolato a due trombe che sembrano spesso vagare per traiettorie melodiche del tutto indipendenti tra loro, salvo qualche volta trovarsi a proporre la stessa melodia come una sorta di "cesello barocco" nei confronti della linea vocale.

The Summer Has No Breeze
La voce solista qui è affidata alla sconosciuta Devi Klate e l'atmosfera è davvero estraniante.
Acid-folk di grandissima presa, sempre con la medesima situazione strumentale, flauto, trombe, chitarra, batteria minimale ed un basso acrobatico che ricorda le avventure bassistiche di Rockette Morton alle prese con l'imitazione della maschera da trota alla corte del Capitano Cuore-di-Bue. Talvolta prendono forma degli scatti "free-form" che danno nuove scosse sonore all'ascolto, rendendolo ancora più instabile.

The Anecdote of Horatio & Julie
Se si sapesse quali erano le sostanze presenti nello studio durante la registrazione di questo disco, forse ci sarebbe più chiara la genesi di brani come questo.
Su un letto di continui cut-up rumoristici la voce di Devi canta l'improbabile (ma inarrivabile!) seguente verso:

"Orazio, Orazio
mi annoio talmente tanto
che quasi quasi
mi butto dalla finestra"

Echi dello Zappa contemporaneo sembrano addensarsi nella già impenetrabile atmosfera caotica presente fino a quando l'altra voce maschile del disco, quella di John Nicholls, risponde al bizzarro intendimento con un interessante "safer suggestion"

"Julie, Julie
se davvero sei così annoiata,
perchè non ti limiti a scaraventare
fuori dalla finestra
solamente un bicchiere?"

Wow, addirittura nel passaggio successivo le due voci si raccontano l'un l'altra le relative intenzioni incrociando armonie e linee melodiche improbabili e completamente indipendenti tra loro. Nel frattempo rumori elettrici e percussioni filtrate da riverberi e "reverse tapes" fanno da cornice alla situazione, anche quando una terza voce narrante (Stoughton stesso) stentorea e ripetitiva racconta:

"E così, nel tentativo di liberarsi dalla noia
Julie decide di scagliare un bicchiere
fuori dalla finestra"

e nel caotico proseguire del magma rumoristico tra feedback ed effetti vari ecco di nuovo Julie ripetere con tono allucinato e compulsivo

"Che te ne pare, Orazio?
Che te ne pare, Orazio?
Che te ne pare, Orazio?
Che te ne pare, Orazio?"

ma una ulteriore sorpresa è data proprio dalla risposta di Orazio

"Davvero noioso!"

La lucida sconnessione di questo siparietto è una delle più incredibili avventure nella creatività pura tipica di quella stagione senza compromessi della scena musicale internazionale.
I rimanenti quattro minuti scarsi del brano sono una stratificazione continua di tutti gli elementi precedentemente usati, feedback, tape loops, voci, noises, trombe e campane.
Io posso anche immaginare che a qualcuno questa forma di "stream of consciousness" creativo possa anche sembrare meno nobile nelle intenzioni artistiche data la sua assoluta imprevedibile estemporaneità. Eppure in un mondo musicale che ha via via cancellato l'espressione pura della creatività in ragione di una maggiormente controllata pianificazione commerciale risentire queste oasi di anarchia musicale mi ricorda come una volta l'espressione dell'individuo fosse il valore primo della manifestazione artistica ... ma forse mi sbaglio.

Saving for a rainy day
La struttura più propriamente musicale riprende il sopravvento in questa ballata obliqua sempre caratterizzata da trombe in libertà questa volta aiutate (per la prima volta nel disco) da una chitarra distorta. L'andamento melodico del brano è originalissimo, inafferrabile e impossibile a cantarsi (se non dopo un centinaio di ascolti con appunti cartacei).
Gli intermezzi musicali che separano le strofe sono veramente straordinari ed in questo brano in particolare viene raggiunto un livello di qualità compositiva tra i migliori di quegli anni, una dimensione orchestrale del tutto originale.

Evening song
Finalmente una gentle song con la voce suadente di Devi che racconta un crepuscolare incontro d'amore accanto al fuoco di un caminetto. Una sensazione di sostanziale disordine permea anche questa canzone tutta acustica, ma almeno adesso tutto è magico ed affascinante.

I don't know if it's you
Riecco tornare l'acid folk in piena forma, nella dimensione artistico compositiva davvero unica di David Stoughton. Le trombe ed il flauto a farla da padrona con incroci armonici "pericolosi" ed una chitarra acustica che si aggroviglia con un basso esuberante e sempre cangiante.
Il brano è lungo dieci minuti e questo aspetto prelude ovviamente ad una lunga sezione strumentale che infatti prende il via solo dopo due minuti. Forse il momento più innovativo del disco che da solo meriterebbe un posto nella top ten dei dischi "intelligenti e creativi" dell'epoca. Dopo una strutturata composizione orchestrale a-la-zappa, feedback, distorsioni e percussioni prendono il sopravvento e rimangono unici protagonisti del brano.
Qui non è l'estetica prettamente musicale che deve far riflettere, quanto invece il gusto per la contaminazione tra rumori e suoni, tra solido ed etereo, tra composto ed improvvisato.
Una dimensione paritaria per dignità e creatività che rende Stoughton uno dei più sensibili artefici di questa difficile convivenza.


In conclusione:
Un disco davvero difficile da dimenticare anche solo dopo il primo ascolto.
Oppure - per altri - un disco fin troppo facile da collocare tra gli "inascoltabili".

O si ama o si odia.

Io comunque so da che parte stare.

6 commenti:

CoachGeorge ha detto...

Non potevi scegliere disco migliore!
Io so dove questo disco puo' stare!

Ottimo inizio.

julianmaltese ha detto...

Thank you for your November comments about Transformer.

David Stoughton

CoachGeorge ha detto...

What a surprising message David.
Can you tell us more about you and your musical wherabouts?
Thank you
Giorgio

julianmaltese ha detto...

Is it possible to respond privately?

CoachGeorge ha detto...
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Anonimo ha detto...
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