lunedì 8 febbraio 2010

MATCHING MOLE - Matching mole (1972)




Un bellissimo disco che lascia una traccia incancellabile, definitiva.

Quanto avanti fosse andato Robert Wyatt rispetto alla già straordinaria dimensione progressiva dei "suoi" Soft Machine probabilmente non era stato abbastanza evidente e chiaro fino a quando nel 1972, raccolti tre vecchi amici della zona Canterburyana, non ha dato alle stampe questo primo capo-lavoro del suo nuovo progetto denominato - in modo evidentemente sarcastico - MATCHING MOLE (che suona in inglese come l'improbabile "Talpa che incontra", ma che letto con accento francese "Machine Molle" significa chiaramente "Macchina morbida" ... vedete voi il nesso).

Le due struggenti ballate della prima facciata del disco (l'eterna "O Caroline" e "Signed curtain") descrivono con straordinaria potenza evocativa un limite, una nuova frontiera dove la forma canzone può incontrare il nuovo jazz elettrico ed l'oscuro nuovo suono progressivo non per raccontare semplici storie d'amore, ma per proporre istantanee di vita vissuta da musicisti nel loro angusto - talvolta claustrofobico - spazio creativo.

This is the first verse
The first verse
The first
First verse
And this is the chorus
Or perhaps is a bridge
Or just another part
Of the song that I am singing
Never mind
It doesn't hurt
And only means that I
Lost faith in this song
'Cause it won't help me reach you...
(Signed Curtain)

Quando poi il suono raggiunge il nuovo livello necessario di "elettricità progressiva", si scatena tutta la carica creativa, tutta la potenza di una consapevole direzione comune e meravigliosamente compatta, resa tale dalla grandissima interazione tra la dolcemente geometrica chitarra di PHIL MILLER, l'aggressivo basso di BILL Mac CORMICK, le magmatiche tastiere di DAVE SINCLAIR ed il drumming unico dello stesso WYATT.

Quel fastidioso senso di possibile "neo snob" della svolta jazz della prima macchina soffice (cfr "Fourth") scompare nelle cupe atmosfere contorte ed allucinate di brani come "Part of the dance" o "Instant kitten" dove la batteria privata dal suono brillante e caratteristico della cordiera del rullante e le chitarre e le tastiere inacidite dall'uso abbondante di distorsioni ed effetti raccontano di inquetudini difficili da ricondurre a quel senso di "intelligente" che invece un'atmosfera "jazz" può - forse - evocare.

Le quattro talpe sembrano musicisti dalle mani sporche di quella terra progressiva mescolata con l'humus jazz incombente ... di quella massa scavata per cercare nuove possibili gallerie per venire allo scoperto e provare ad "incontrare" chiunque all'epoca fosse stato disponibile ad attraversare quel confine concettuale tra il rock ed il jazz elettrico moderno.

E alla fine, superato quel confine la talpa esce allo scoperto ... ma l'impietoso racconto della siderea solitudine della ricerca creativa è tutto nella conclusiva desolata "Immediate curtain" ... provate ad ascoltarla con gli ... "occhi della talpa" e tutto sarà assolutamente CHIARO!


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