L'imponente meraviglia di "Moon in June" inaugura l'ascolto di questo primo compendio dedicato alla dimensione radiofonica dei SOFT MACHINE nell'arco di tempo tra il 1969 ed il 1971.
Ed in fondo un c'è un buon motivo per inziare questa selezione proprio dalla "canzone appositamente customizzata" da Robert Wyatt ... e non è solamente quello del criterio cronologico dal momento che proprio "Moon in June" è l'unico brano anche cantato dell'intera raccolta ed è di fatto il testamento musicale che l'altrimenti inquieto batterista di Bristol ha poi definitivamente lasciato ad imperituro ricordo tra le passate pieghe di un suono sempre più in evoluzione strumentale, significativa svolta intrapresa con sempre più convinzione dal gruppo che lui stesso aveva contribuito a fondare.
La voglia di grande massa sonora (forse anche dettata dal desiderio di "collettivizzare" l'esperienza musicale tra giovani aspiranti musicisti emergenti) spinge il gruppo ad integrare il proprio essenziale line-up con un ambizioso quartetto di fiati formato dal già precedentemente "arruolato" Elton Dean oltre ai tre giovani talenti Lyn Dobson, Marc Charig e Nick Evans.
Il risultato che emerge immediatamente da queste registrazioni è davvero la dedizione alla scrittura collettiva che il gruppo stava portando avanti in piena coerenza con certe ultra-big band quasi contemporanee (vedi ad esempio il progetto "Centipede").
Ovviamente le qualità dei singoli muscisti componenti la band viene messa comunque in grandissima evidenza (inutile dire che il basso di Hopper e la tastiera di Ratledge non siano semplicemente clamorosi) e la sensazione che SOFT MACHINE come band sia la punta di diamante di una "nuova musica intelligente" giovanile è assolutamente innegabile.
Semmai è altresì curioso pensare che queste stesse registrazioni, altre alla radio-diffusione del momento, abbiano dovuto attendere fino al 1977 per essere apprezzate solo parzialmente su un supporto replicabile (l'album era il leggendario visionario ed immaginifico antologico triplo vinile "Triple Echo"), e addirittura attendere fino alla edizione su cd (a cui mi riferisco) datata 1990 (ad opera dell'indipendente Strange Fruit).
Ovvero ... per fortuna adesso abbiamo recuperato quasi tutti i tasselli di quel percorso artistico in atto, ma a ben pensare la "macchina morbida" era realmente in azione ad una differente velocità dal resto dei contemporanei. Magari QUEL PARTICOLARE MOMENTO di assoluta eccellenza non sarebbe durato poi molto perchè già il "Fourth" benchè pregevole non è più figlio della stessa intenzione comune (e poco dopo anche la pubblicazione di "Fifth" sancirà la definitiva direzione).
Ed in fondo un c'è un buon motivo per inziare questa selezione proprio dalla "canzone appositamente customizzata" da Robert Wyatt ... e non è solamente quello del criterio cronologico dal momento che proprio "Moon in June" è l'unico brano anche cantato dell'intera raccolta ed è di fatto il testamento musicale che l'altrimenti inquieto batterista di Bristol ha poi definitivamente lasciato ad imperituro ricordo tra le passate pieghe di un suono sempre più in evoluzione strumentale, significativa svolta intrapresa con sempre più convinzione dal gruppo che lui stesso aveva contribuito a fondare.
La voglia di grande massa sonora (forse anche dettata dal desiderio di "collettivizzare" l'esperienza musicale tra giovani aspiranti musicisti emergenti) spinge il gruppo ad integrare il proprio essenziale line-up con un ambizioso quartetto di fiati formato dal già precedentemente "arruolato" Elton Dean oltre ai tre giovani talenti Lyn Dobson, Marc Charig e Nick Evans.
Il risultato che emerge immediatamente da queste registrazioni è davvero la dedizione alla scrittura collettiva che il gruppo stava portando avanti in piena coerenza con certe ultra-big band quasi contemporanee (vedi ad esempio il progetto "Centipede").
Ovviamente le qualità dei singoli muscisti componenti la band viene messa comunque in grandissima evidenza (inutile dire che il basso di Hopper e la tastiera di Ratledge non siano semplicemente clamorosi) e la sensazione che SOFT MACHINE come band sia la punta di diamante di una "nuova musica intelligente" giovanile è assolutamente innegabile.
Semmai è altresì curioso pensare che queste stesse registrazioni, altre alla radio-diffusione del momento, abbiano dovuto attendere fino al 1977 per essere apprezzate solo parzialmente su un supporto replicabile (l'album era il leggendario visionario ed immaginifico antologico triplo vinile "Triple Echo"), e addirittura attendere fino alla edizione su cd (a cui mi riferisco) datata 1990 (ad opera dell'indipendente Strange Fruit).
Ovvero ... per fortuna adesso abbiamo recuperato quasi tutti i tasselli di quel percorso artistico in atto, ma a ben pensare la "macchina morbida" era realmente in azione ad una differente velocità dal resto dei contemporanei. Magari QUEL PARTICOLARE MOMENTO di assoluta eccellenza non sarebbe durato poi molto perchè già il "Fourth" benchè pregevole non è più figlio della stessa intenzione comune (e poco dopo anche la pubblicazione di "Fifth" sancirà la definitiva direzione).
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